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martedì, Aprile 23, 2024

Andrea Gori:« Sì al vino democratico»

Andrea Gori è un professionista del vino, uno dei nomi più influenti del settore, che negli anni si è costruito la sua credibilità promuovendo idee, forse per il passato considerate troppo rivoluzionarie e pionieristiche, oggi diventate realtà. Schietto e diretto come il suo stile comunicativo, Andrea lavora nel mondo del vino su più livelli, lo vende nella storica trattoria di famiglia a Firenze, Da Burde, ne scrive e organizza eventi. Il Covid non l’ha fermato, ha adattato le proprie attività alla nuova realtà, modificando alcuni aspetti e riuscendo a rimanere sempre fedele a se stesso.

Com’è cambiato il mondo del vino dal tuo ingresso ad oggi?

Ho iniziato a occuparmi di vino nel 2004 e oggi si è verificato quello che sostenevo già quindici anni fa, ossia l’importanza del digitale nel settore enoico. All’ora mi prendevano in giro perché pensavano che volessi compiere una rivoluzione copernicana nel mondo del vino. Da un lato ne sono contento perché questo conferma quanto il vino italiano si stia svecchiando e lo noto in tanti produttori, che finalmente hanno ben compreso che non basta solo produrre vino di qualità se poi non lo si comunica bene. Il vino può essere poesia ma ricordiamo che deve vendere. Già dal 2004 facevo video ora noto che tutti li fanno anche con scarsi risultati, la mia fortuna è quella di essere arrivato nel mondo del vino da grande, avevo trent’anni quando ho iniziato. Ho sempre lavorato per essere considerato un guru del settore, forse sono arrivato troppo tardi, capendo di non poter essere il nuovo Cernilli ed essendo un impaziente per natura, ho intrapreso la mia strada, direzione web per una comunicazione più diretta e immediata.

Conosci il vino e lo tratti per aspetti differenti, quali sono le tue valutazioni in merito?

Vivo il vino su più livelli, lo vendo in trattoria Da Burde, qui a Firenze, lo racconto attraverso i miei articoli, lo giudico sulle guide. Parlare di un vino e venderlo sono due cose differenti io le faccio entrambi ed è questo che mi differenzia dagli altri. Devo ammettere che le guide ormai hanno fatto il loro tempo, in passato se conquistavi i tre bicchieri del Gambero Rosso avevi raggiunto l’apice del successo oggi non funziona più così, basti pensare ai vini naturali che hanno fatto il loro successo negando la critica. Attualmente il consumatore è più smaliziato è “smart” controlla i punteggi ma osserva anche le valutazioni sull’ online.

La situazione del Covid ha messo in difficoltà il mondo della ristorazione, dalla tua Firenze e dalla trattoria Da Burde che situazione ci racconti?

Il nostro locale sin dal 1901 è aperto dalle 9.00 di mattina alle 18.00 e solo il venerdì sera lavoravamo per delle serate di degustazione a tema, quindi prima che la Toscana diventasse zona rossa riuscivamo a fare il nostro servizio. In questo periodo ho notato l’abuso nell’utilizzo della parola resilienza credo che il termine più adatto e che preferisco usare è “antifragile”. Oggi ci vuole tanta elasticità mentale per reinventarsi e non bisogna fossilizzarsi, chiudendo i ristoranti si può fare il delivery, noi portiamo a casa anche la bistecca alla fiorentina già cotta ed è buonissima. Lavorando solo a pranzo abbiamo uno scontrino medio che è simile ai ristoranti che fanno servizio serale, il nostro segreto è quello di cambiare spesso il menù e di realizzare una carta dei vini semplice con una buona selezioni di vini al bicchiere. Durante il primo lockdown non ci siamo persi d’animo, abbiamo venduto i nostri piatti online e la settimana successiva il Corriere della Sera parlava di noi. Quest’estate nonostante Firenze fosse vuota ho fatto il 20% d’incasso in più grazie alla comunicazione messa in atto e perché la maggior parte dei locali in centro erano chiusi. Bisogna modificare il modello di business e non fare video e giochini sui social come hanno fatto alcuni ristoratori, la ristorazione non di qualità ha fatto fatica a sopravvivere. Sarà dura in questi mesi che erano quelli in cui si faceva gran parte del fatturato annuo.

Il mondo del vino oggi in che situazione si trova?

Un po’ caotica perché le modalità di consumo stanno cambiando, così anche gli stessi formati. Il tappo a vite e le lattine possono essere il futuro del vino per facilitarne il consumo in modo più veloce. Un plauso devo farlo ai ragazzi di Winelivery, che nel giro di mezz’ora riescono a portare a casa una bottiglia di vino alla giusta temperatura, mantenendo costi bassi di gestione. Il futuro del vino sarà nelle vendite online e nei Wine Club, che purtroppo qui in Italia non riescono a decollare. È il momento di inventarsi qualcosa di nuovo, bisogna essere più flessibili nelle vendite, i locali non sono nelle condizioni di acquistare grandi quantitativi di vino e farne magazzino e tutti dobbiamo sbatterci di più. Nessuno ha fatto quello scatto evolutivo, che gli permettesse di superare i cambiamenti avvenuti nel settore  a eccezione di Tannico e Vino75, che stanno realizzando tanto, dalle scuole di formazione, alle degustazioni e ai corsi.

Quali sono gli aiuti da mettere in campo?

La cassaintegrazione quando è arrivata per tempo ha permesso alle attività di sopravvivere, non si possono salvare tutti i ristoranti questa è la realtà. La gente si renderà conto che si può vivere anche senza discoteche, l’essenziale cambia e quello che prima lo era oggi non lo è più. Non vince chi è più forte ma il più adatto.

Siete riusciti a realizzare l’evento God Save the Wine, che edizione è stata?

Abbiamo realizzato un wine brunch con un menù fisso da degustare comodamente seduti, l’ultimo evento eravamo in settanta, il precedente in centocinquanta, rispetto ai passati eventi la gente non faceva più a cazzotti per prendere da bere, comprando il biglietto in anticipo e assicurandosi così un posto a sedere.

I vini che meritano di essere assaggiati?

I vini del nord ovviamente così fragranti, profumati, austeri e longevi, quelli del centro Italia più goderecci, infine il sud, che è il ponte sul mediterraneo con i suoi vini speziati pieni di energia considerati il barocco del vino italiano.

Sei il testimonial con Luca Gardini e Alessandro Pipero di una pubblicità sul Tavernello, come mai questa scelta? 

Uno dei grossi problemi del mondo del vino è che se ne beve sempre meno, io sono con chi vuole accrescerne i consumi senza dividere i consumatori tra quelli di serie A e quelli di serie B. Tavernello ha investito sempre in una comunicazione semplice e incentrata sulla quotidianità lavoro volentieri con loro perché propongono un’idea democratica del vino, aiutando con il loro modello di business tanti agricoltori. Non esiste solo la Ferrari come macchina e la stessa cosa vale anche per il settore del vino. Dopo aver realizzato questa pubblicità Daniele Cernilli mi ha buttato fuori dalla Guida Essenziale ai Vini d’Italia.

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