Due fratelli per una passione comune, produrre olio di qualità. Alessandro e Giammarco Marotta, trent’anni uno e trentotto l’altro, entrambi già impegnati a livello lavorativo, Alessandro come enologo e Giammarco architetto. Ma c’era qualcosa nelle loro vite che non andava, entrambi avvertivano l’esigenza di produrre qualcosa che fosse realmente loro, un cruccio portato dentro per troppo tempo e che nel 2017 è esploso in Tenimenti Marotta. Dal 2016 hanno iniziato ad acquistare degli uliveti per produrre olio di alta qualità da proporre alla ristorazione. Fra tutti i terreni analizzati decidono di puntare su quelli situati nella parte più alta della Sabina, verso Rieti, lungo la via Salaria, a Scandriglia più precisamente. In questo angolo di terra tra ulivi e macchia mediterranea, a ridosso della valle del Salto, la vista su Roma si percepisce all’orizzonte. Alessandro Marotta ha deciso di seguire i propri sogni, accettando il rischio che le scelte dettate dal cuore possono comportare.
Cosa ha spinto te e Giammarco a dar vita a Tenimenti Marotta?
Oltre alla nostra passione comune per l’olio extra vergine d’oliva, spesso andiamo insieme al ristorante e frequentemente ci troviamo in locali curati nei minimi dettagli, dall’arredamento, alle proposte dello chef, alla carta dei vini, dove l’olio gioca il ruolo della Cenerentola a tavola, quando in realtà deve essere parte integrante del piatto. Così abbiamo deciso che era arrivato il momento di produrre il nostro olio di qualità.
Come mai avete scelto la Sabina come territorio?
La Sabina è una delle zone più antiche d’Italia per la produzione olearia, dove negli ultimi anni si è assistito all’abbandono di questi terreni a causa della vicinanza con Roma, della scarsa propensione dei giovani a coltivare la terra e dalla presenza di un polo industriale come quello di Amazon a Fiano Romano, che ha portato via molta manodopera dai campi. Questo fenomeno ci ha permesso nel giro di tre anni di ampliare proprietà e produzione. Della Sabina mi sono completamente innamorato, è un territorio che per certi aspetti mi ricorda le Langhe, con distese infinite di ulivi al posto delle viti, pensa che anche qui le sottozone dei paesi confinanti hanno un proprio nome.
La vostra produzione non è certificata biologica per scelta.
Partiamo dal fatto che siamo nati nel 2017 e prima di essere certificati biologici devono trascorrere tre anni, acquistando o affittando terreni ogni anno ci saremo ritrovati con terreni biologici, altri in conversione. All’inizio volevo produrre in biologico, ma non è sempre fattibile farlo, per i microclimi, la burocrazia e non comprendo la motivazione per cui devo pagare un ente per ottenere la certificazione. In realtà mi definisco un biologico non certificato, non facciamo concimazioni chimiche, solo organiche, ho una convenzione con i pastori che portano le loro pecore a pascolare sotto i nostri ulivi, nel post potatura utilizziamo solo il rame, prodotti quindi bio, unico spiraglio che mi lascio per la chimica è in caso di attacco da parte della mosca.
Quante tipologie di olio producete?
Le varietà che noi coltiviamo sono: il leccino, la carboncella e l’itrana, dalle quali otteniamo tre oli. “Aurum” è il nostro blend composto da leccino e carboncella e gli altri due oli provengono da monocultivar di carboncella e itrana. Abbiamo iniziato nel 2017 con 120 piante e oggi siamo arrivati ad averne circa 500, con un progetto, che causa Covid abbiamo dovuto rimandare al 2021, per raggiungere le mille piante.
Quali ripercussioni ha subito la vostra azienda a causa del Covid?
In 3 anni ne abbiamo viste di tutti i colori, solo la prima stagione, la 2017, è stata fantastica, poi abbiamo subito una forte gelata nell’inverno 2018, che ha rovinato molte piante e seccato altre, con una produzione ridotta del 60%. La raccolta del 2019 è stata migliore, ma al momento dell’invaiatura della bacca e quindi della raccolta, la pioggia e i forti venti ci hanno fatto produrre meno delle aspettative e con grande difficoltà. È vero quello che mi diceva sempre mio nonno: «le aziende agricole sono negozi a cielo aperto ma senza vetrine». Poi arriva l’inverno 2020, nel quale nutrivamo tante speranze ed è arrivato il virus. Ristoranti chiusi e magazzino pieno di olio destinato alla ristorazione.
Come avete fronteggiato tutto questo?
Abbiamo deciso di iniziare a fare pubblicità sui social per incentivare la vendita del nostro olio verso i privati. Siamo rimasti colpiti dai risultati ottenuti in così poco tempo, riuscendo a terminare le confezioni da 5 litri e anche parecchie bottiglie destinate alla ristorazione. Con questa strategia siamo riusciti a essere più sereni, a completare i lavori di potatura, perché la natura non si ferma, e siamo riusciti a pagare i nostri fornitori. In questi mesi abbiamo avuto anche diverse proposte da importanti aziende oleari che ci chiedevano grossi quantitativi di olio a prezzi relativamente molto bassi, questo ci avrebbe permesso di non essere così tanto in affanno, ma abbiamo detto no, perché così facendo avremmo svenduto mesi dei nostri sacrifici. Aspettiamo anni migliori.
Dal 18 maggio hanno riaperto i ristoranti piano piano si cerca di tornare ad una certa normalità…
Loro sono il nostro futuro è già nei prossimi giorni andrò di persona a trovarli per salutarli e cercare insieme una soluzione che permetta la giusta ripresa ad entrambi. Il futuro è assolutamente roseo, lo sarà se ci aiutiamo tra di noi, ci guadagneremo tutto da soli, come abbiamo sempre fatto, andremo più piano, ma arriveremo in fondo, ne sono sicuro. Il mio auspicio è quello di contribuire anche con il mio lavoro a rendere il nostro olio italiano un simbolo di qualità, riuscendo a ritagliargli un ruolo da protagonista sulle tavole dei ristoranti e nelle dispense di casa.