Roma. Centro storico. E’ in via dei Banchi Vecchi che si nasconde l’inattesa meta iodata, sardo rifugio dal gusto moderno e dal sapore isolano: Osteria 140.
Un’osteria, in verità, molto lontana dalla sua definizione ufficiale, quella che la descriveva come “locale pubblico, di tono dimesso, con mescita di vini o servizio di trattoria dove, in passato, si poteva mangiare e trovare alloggio”, ma non nella sua sostanza. Qui, infatti, sono la familiarità e la piacevolezza della tavola a trovare accoglienza e ristoro. Questo “ristoro” da una manciata di mesi (Ottobre 2017) viene curato da un nuovo chef: Mirko Campoli, giovanissimo, romano e con recente passato da Pastry Chef.
Ebbene, mentre nell’Osteria 140, rinata nel 2015 in versione 2.0, continua a tirare un convinto vento di Sardegna, tutto il suo equipaggio ha impostato nuove coordinate per andare a ricercare materie prime ancorate alla tradizione e valorizzarle con tecniche puntuali nonché cura cromatica nel piatto; issando una fiera bandiera sulla qualità, con la determinazione di chi vuole continuare ad essere il fedele porticciolo degli amanti del buon mare e del buon stare.
“Da soli non si fa nulla”, lo sa bene Daniele Mannis, sardo orgoglioso, oratore per vocazione e capitano al timone che per questo viaggio ha voluto accanto a sé la moglie Vania Martini, premurosa padrona di casa; Dario, che amministra; e Giancarlo Mura, sardo anche lui nonché amico di una vita, che ha cura della cantina di bordo e di una carta dei vini che non è mero elenco di etichette, ma conta 120 referenze selezionate con uno speciale riguardo alle Bollicine.
L’accoglienza di chi sa esser un perfetto padrone di casa si fa subito sentire. Pochi passi dopo la soglia ci si ritrova in un cortiletto a cielo “aperto-coperto”. Lo scenario è rilassante, informale, vacanziero; uno di quei luoghi che offre a tutti la possibilità di attingere al Tempio della memoria per ricordare, tra suggestioni di pareti a calce, persiane, piante grasse e buganvillea, le piazzette isolane. Forse siamo a Procida, forse Capri, Ponza o Panarea.
Uno scenario perfetto sia per gustare Ostriche e Bollicine, di cui si fanno grandi selezionatori, tra le 8 e le 10 tipologie provenienti da Francia, Gran Bretagna, Inghilterra, Irlanda, Normandia, Sardegna, Chioggia, Sacca di Scardovari, Aquitania, Normandia, Kumamoto – Giappone, sia per assaporare un menu che annovera piatti come “Fregola sarda risottata con brodo di crostacei, ragù bianco di pesce e bottarga” (22€), “Anguilla alla brace con cotto di fichi e broccoletti” (23€) o “Quaglia affumicata al tabacco, pane alle erbe, cacao, cavoletti di Bruxelles” (18€), e che cambia con il mutare del tempo mantenendo inalterati i principi di Sapore, Equilibrio, Cromatismo e Tipicità: immancabili ingredienti della proposta di Osteria 140.
Ci racconta lo Chef Mirko Campoli: “forte della fiducia che mi è stata data, abbiamo deciso insieme di rivisitare piatti come la fregola e le linguine all’astice con una polvere di pomodoro di nostra produzione. Cerchiamo di prendere un classico e tirarne fuori un grande piatto.”
Presa posizione al nostro tavolo, poco dopo ci viene servito del pane caldo, migliorabile, con un buon olio Evo che Vania seleziona personalmente, spiegandone con dolcezza le caratteristiche.
Inizia così il nostro “viaggio degustazione”, che veleggia sicuro tra mare, terra, bosco, solcando accurati tecnicismi, sfidando accostamenti e consistenze virate sul salato, sfruttando le correnti dell’eredità di un dolce passato. Avere a disposizione un bacino di materie prime decisamente così ampio e la possibilità di giocare con gli ingredienti inebria, e questa abbondanza si traduce in una “gioia degli ingredienti” con cui Mirko formula piatti che non contano mai meno di 4-5 protagonisti. A questo punto, non rimane che sciogliere gli ormeggi e affidarsi alla corrente. Si salpa.
Dopo una veloce letta al Menu Degustazione (7 portate 55€ e 25€ per l’abbinamento vini in 4 tipologie), la traversata viene introdotta da un amuse bouche, una “morbidella di seppia, maionese di agrumi e caviale di cipolla” (ma può diventare di polpo, tonno o calamaro, secondo il pescato), che prepara il palato all’armoniosa sequenza di piatti che inizia con “Capesante, Zabaione di crostacei, Curry, Salicornia, Aria di lime”, un piatto che scansa il timore (o il timone) del protagonismo del curry e colpisce invece per l’equilibrio dei sapori, confermando la morbida piacevolezza delle capesante.
Ben predisposte approdiamo a “Foie gras, Pan brioche, Barbabietola, Arancia, Mandorle”. Ecco qui la menzione speciale va al felice impiattamento che, facilitato dall’intensità cromatica della barbabietola, ammalia l’occhio ancora prima del palato. Stupisce il notevole pan brioche che si fa piedistallo perfetto per il foie gras, che ho apprezzato in questa geometria invernale di sapori.
“Risotto, Liquirizia, Zafferano, Mirto, Crudo di Gamberi” è stata un’esperienza. Un risotto insolito, un sapore nuovo, che si rivela pian piano grazie alla componente aromatica del mirto, celebre pianta e bacca sarda, che lo arricchisce rendendolo caleidoscopico, tra note balsamiche, di zafferano e quelle temperate e sapide del gambero.
Planiamo leggeri sulla “Caramella di saraceno, Anatra, Parmigiano, Cardoncelli, Polvere di cipolla” che ci riporta ai sapori alla terra, e ritorniamo al mare con “Tonno, Pane nero, Topinambur, Basilico, Cavolfiore, Aria di caffè”, che strizza l’occhio al sushi e lo propone in versione mediterranea, senza però rimanere impresso; occhio al wasabi.
Prima del giro di boa arriva l’“Animella, Lenticchie, Sottobosco, Funghi, Riduzione di Montepulciano”. Ecco, se credevate che le sorprese fossero finite, non è così. Per me, grande estimatrice delle animelle in ogni loro preparazione, questo rimane uno dei piatti più interessanti del viaggio degustazione e non tanto per l’animella, ma per la tecnica applicata alle lenticchie le quali, essiccate, creano un controaltare di croccantezza alla cedevolezza dell’animella, che con il sottobosco e l’acidità della riduzione di Montepulciano chiudono i contorni dell’ultimo piatto per cedere il passo ai dolci.
Il Pre dessert arriva quatto quatto, come chi cammina sulla bordo di una barca ed ha paura di scivolare. E’ un candido gelato al fior di latte condito, sul momento, con olio Evo, che rinfresca il palato preparandolo all’ultima portata della degustazione: il dessert.
L’estrosa espressione pasticcera di Mirko Campoli, si traduce, anche qui, in un quintetto di elementi che vogliono essere un tributo alla terra ed ai suoi frutti con tutta l’esuberanza di chi pasticcere è nato. In “Terra al cioccolato, frutto della passione, frutti di bosco, sorbetto al tè verde e nocciola”, differenti sono le consistenze, bello è il cromatismo e le temperature variabili che vanno dal fondo di terra al cioccolato al sorbetto al tè verde, ma che rasentano il rischio di un’eccesiva quantità di sapori, che poco aiutano il gusto ad orientarsi. Ma la rotta è chiara, l’intento pure, l’equipaggio solido e tanto il mare da solcare, le terre e i boschi da conquistare. L’indirizzo rimane un porto sicuro per chi volesse ad esempio gustare l’anguilla, tipica della Sardegna e rarissima da trovare, soprattutto arrosto, soprattutto sulla terraferma romana.
About Food & Wine // Osteria 140
4 chiacchiere con Daniele Mannis e Giancarlo Mura
Sono presenti nel menù dei piatti caratteristici che in qualche modo vi rappresentano più di altri?
Daniele Mannis: “Dal nero di seppia al tiramisù, alla fregola al mare, al pre–dessert. Questi sono tutti piatti che ricordano l’Osteria. Come avrai notato abbiamo inserito l’anguilla, ardua da reperire altrove, questo perché io e Giancarlo, da sardi quali siamo, abbiamo voluto riportare e mantenere questa nostra passione e se vogliamo tradizione, motivo per il quale la cuociamo su una griglia a pietra lavica. Requisito principale è la qualità, una cucina mediterranea che ricerca i migliori prodotti. L’offerta del menù, possiamo dire, che è ben equilibrato tra piatti crudi e non.”
La carta dei vini com’è concepita, la scelta delle etichette è stata ponderata secondo quale filosofia?
Giancarlo Mura: “La carta è ideata su quello che serviamo, non c’è nulla o poco, di estemporaneo. È costruita con una selezione di vini nazionali, tranne alcuni champagne francesi e pochissime etichette internazionali, ci teniamo ad esser “fuori moda” sulla carta dei vini. Ritengo che ci sia talmente tanto in Italia.”
Avete prestato attenzione anche al biologico e al biodinamico?
Giancarlo Mura:” In realtà abbiamo un pubblico poco propenso al naturale, quando chiedono questo genere di vini, a seconda del periodo, ho quelle due o tre soluzioni in carta che riescono a soddisfare la loro richiesta. Proprio perché è una carta che presenta circa 120 etichette in costante rotazione, in realtà i vini biologici o biodinamici, tendo a proporli solamente se e quando è il cliente stesso a chiedermeli. Ultimamente soprattutto, in questa nuova era di rivoluzione del settore, i canoni cui deve rispondere un vino naturale sono gli stessi di un vino, per così dire, canonico e più classico. La nostra è una carta molto cangiante, non ha particolari prerogative, anche quando un’etichetta finisce, non necessariamente viene sostituita nuovamente con la medesima, si prende a pretesto per rinnovare. Dinamismo assoluto.”
Dinamica la carta, dinamico il menù. Seguite la stagionalità cambiando la proposta dei piati 4 volte l’anno, o 3 volte o 2 o 6?
Daniele Mannis: “Quest’anno è l’anno del dragone. La stagionalità è importantissima, per questo il menù varia spesso, a seconda anche della reperibilità della materia prima che è protagonista del piatto. Tre fattori, perciò, principi gestiscono l’andamento del cambiar del menù: creatività, prodotto di stagione e qualità”.
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