In via del Porto Fluviale la proposta all-day-long di BurBaCa
In via del Porto Fluviale la proposta all-day-long di BurBaCa
Da settembre 2016 BurBaCa fa capolino in via del Porto Fluviale, in una delle zone più in fermento della città. Un punto di riferimento per la clientela durante l'intero arco della giornata: dalla colazione al drink in seconda serata, passando ovviamente per la pausa pranzo e la cena.
L’arredamento è improntato su uno stile urbano industriale: tavolo sociale, lavagne, tavoli con legno e pietra, elementi di ferro, varietà nelle sedute con divani, sedie, sgabelli.
Ad accogliere i clienti un ampio bancone, di lato l'impianto di spillatura di birra artigianali: siamo nell'area Bakery e Caffè dove fare colazione o sorseggiare un drink all'ora dell'aperitivo o in tarda serata. Alle spalle del bancone si trova la “zona Burger”.
La perla nascosta è la sala del piano inferiore con tanto di camino funzionante, ideale per eventi privati o d'affari.
A supervisionare la cucina, l'occhio esperto dello chef Salvo Cravero, consulente dell'intero gruppo e Chef Executive.
Il cuore della proposta sono i burger; di carne, di pesce e vegetariani. Accostamenti originali di ingredienti stagionali studiati dallo chef Salvo Cravero e proposte di abbinamento con le birre artigianali curata da Salvatore Cosenza dell'Unione Degustatori Birre.
NATIONAL FETTUCCINE ALFREDO DAY
Stefano Marzetti/Storie di Chef
Giuseppe di Iorio/Storie di Chef
NATIONAL FETTUCCINE ALFREDO DAY
Era il 1920 e due divi di Hollywood, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, decidono di festeggiare la loro luna di miele in Europa. Durante il viaggio di nozze, a Roma, assaggiano le Fettuccine Alfredo presso il ristorante Alfredo alla Scrofa di Via della Scrofa, in pieno centro. Il piatto, preparato con estrema semplicità ma dal gusto unico e genuino, li conquista subito. Al loro ritorno in America racconteranno a tutti delle famose Fettuccine.
Da qui comincia la storia delle Fettuccine nel mondo, un piatto capace di travalicare i confini dell’Italia e conquistare gli Stati Uniti che omaggiano ancora oggi questa pasta con una festività nazionale, il National Fettuccine Alfredo Day. Per la prima volta dalla sua apertura, il ristorante Alfredo alla Scrofa che ha dato i natali alle famose fettuccine, vuole celebrare questa ricorrenza in ricordo delle origini assolutamente romane della pasta.
LA STORIA
Nel 1914 in Via della Scrofa compare un giovane dagli inconfondibili baffi neri. Alfredo Di Lelio trasforma la precedente bottega di oli e vini in un vero e proprio ristorante: Alfredo alla Scrofa. Negli anni il locale diventa talmente famoso e apprezzato da conquistare una fama internazionale, arrivando ad attirare l’attenzione di tutti gli ospiti illustri che transitano per la grande città.
A guidare oggi l’attività sono Veronica Salvatori e Mario Mozzetti, eredi del ristorante ceduto da Alfredo ai propri bisnonni, abili imprenditori capaci di portare alle stelle il locale proprio negli anni d’oro della capitale, quelli della Dolce Vita. Veronica e Mario promuovono oggi il valore delle Fettuccine Alfredo non solo come piatto della cultura gastronomica ma come patrimonio nazionale e storico italiano. Proprio per questo Alfredo alla Scrofa incarna anche un progetto di internazionalizzazione del brand per esportare il marchio all’estero e portare la vera italianità nel mondo.
“Il 7 febbraio vogliamo celebrare le Fettuccine come un simbolo del nostro paese che ha saputo attraversare indenne oltre un secolo di storia – afferma Mario - un piatto che hanno gustato i personaggi più importanti del mondo, un piatto per cui gli americani vanno pazzi senza conoscerne neanche le origini.”
LE FETTUCCINE
Le Fettuccine Alfredo nascono nel 1907 in Via della Scrofa 104. Quello che è oggi rinomato come uno dei capolavori della cucina italiana, venne creato da Alfredo per esaudire il desiderio della moglie Ines, incinta e desiderosa di un boccone che desse a lei e al suo bimbo energia, sapore, calore.
Una ricetta semplicissima che comprende tre soli ingredienti, ma di qualità straordinaria: la pasta, di una sottigliezza particolare, che richiede un tempo di cottura inferiore ai 30 secondi, il burro fresco e il parmigiano. Fin dalla sua apertura il ristorante realizza ogni giorno a mano le famose fettuccine, servite poi in tavola dal “mantecatore” che, amalgamando con un gesto abile le fettuccine con la salsa, realizza il “miracolo” delle Fettuccine Alfredo.
GLI OSPITI
I tanti volti che popolano le pareti del ristorante, così come la galleria con gli oltre 50 libri delle firme, testimoniano la risonanza internazionale del luogo, meta prediletta di personaggi come Salvador Dalì, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Federico Leopoldo Principe di Prussia, oppure il Gaetano Borbone principe di Parma che firma la dedica “Alfredo l’imperatore delle fettuccine” nella piccola e intima Sala dei Reali.
Ma Alfredo alla Scrofa fu soprattutto luogo d’elezione di attori, registi e personaggi del cinema del panorama internazionale, che venivano qui a mangiare le famose Fettuccine di cui parlavano tutti in America. Ancora oggi si ricorda di quando Tony Curtis, vestito da cameriere, si divertiva a servire ai tavoli, Ava Gardner e Walter Chiari venivano per il loro tavolo segreto, oppure Brigitte Bardot nell’uscire veniva assalita dai flash di mille obiettivi, come testimonia una delle foto della Sala Hollywood.
Alla Dolce Vita è dedicato il National Fettuccine Alfredo Day di Alfredo alla Scrofa che, con un evento privato, vuole ricordare gli anni in cui Roma, e non Hollywood, era la capitale del cinema mondiale, gli anni in cui attori di grande fama lavoravano nella capitale e si facevano ispirare dalla bellezza della città eterna, gli anni in cui Roma era il palcoscenico del mondo.
Dolce Alfredo, Dolce Vita sarà l’occasione per tornare in un luogo del cuore per i romani e assaggiare le Fettuccine Alfredo, preparate a vista durante la serata, ispirata agli anni ’60 e condita da interventi di personaggi che hanno fatto la storia del cinema e del locale.
Stefano Marzetti/Storie di Chef


Giuseppe di Iorio/Storie di Chef
di Manuela Zennaro
Hai la fortuna di lavorare in uno dei ristoranti con la vista più bella che si possa immaginare. Come giudichi questa esperienza? Da 5 anni sono executive chef del ristorante Aroma dell’hotel Palazzo Manfredi. In breve tempo ci siamo affermati nel panorama della ristorazione romana diventando uno degli indirizzi di riferimento. La location è bellissima, siamo l’unico ristorante al mondo con affaccio completo sul Colosseo e in questi 5 anni il percorso professionale intrapreso ci ha consentito di raggiungere traguardi importanti, che del resto erano quelli concordati con la proprietà. Durante il primo anno di attività siamo entrati nella Five Diamonds americana, dopo due anni e mezzo è stata la volta della guida Relais & Châteaux e nel 2014 è arrivata la meritata stella Michelin.
Raccontaci dei tuoi inizi. Il mio percorso professionale inizia all’età di 14 anni, frequentando la scuola alberghiera. Al termine degli studi ho lavorato presso un locale al centro di Roma per 8 mesi, dopodiché mi sono orientato verso i ristoranti d’albergo.
Come è nato il tuo amore per la cucina? Faccio parte di una famiglia numerosa, sono l’ultimo di sei figli. La passione per la cucina mi è stata trasmessa da mia madre che era una eccellente cuoca. All’epoca soldi non ce n’erano e lei, con pochissimi ingredienti, riusciva a realizzare pranzi favolosi. Io cerco sempre di ricordare e riproporre quei sapori che mi hanno fatto appassionare alla cucina.
Sappiamo che il mestiere dello chef comporta sacrifici in termini di tempo libero. Cosa fa Giuseppe Di Iorio quando non lavora? Questo è un lavoro che ti dà enormi soddisfazioni, indispensabili per andare avanti perché l’impegno è tanto, passiamo dalle 12 alle 13 ore al giorno in cucina. Tutto questo toglie molto alla vita privata, il pochissimo tempo libero che ho a disposizione lo dedico alla famiglia e a mia figlia. Però, ripeto, i sacrifici vengono ripagati in termini di riconoscimenti e di attenzione da parte dei media. Oggi è il caso di dire che “lo chef” è sulla bocca di tutti. Non manca l’occasione per portare mia figlia sul lavoro, soprattutto in occasione di eventi particolari in cui la presenza dello chef è obbligatoria, e questa è una circostanza che spesso si verifica di domenica. La porto in cucina, facendole vivere tutto come un gioco, per lei è una bella esperienza da raccontare l’indomani ai compagni di scuola.
Sei stato uno dei protagonisti dei Dialoghi della Cucina nel corso della terza edizione di Taste of Excellence, svoltasi a Roma nel mese di ottobre. Ricordo che hai preso una posizione opposta rispetto a quella dei tuoi colleghi relatori, dichiarandoti contrario alla standardizzazione delle ricette e al ristorante a pagamento anticipato. Riguardo il primo punto, io sono convinto che quando la cucina è ad alti livelli non si debba parlare di standard. Non possiamo disporre tutti i giorni dello stesso prodotto; oggi può essere spettacolare, come ad esempio una spigola all’amo di sei chilogrammi appena pescata, domani non so se avrò a disposizione un ingrediente altrettanto prelibato, e mi devo regolare di conseguenza perché ho il dovere di dare sempre il massimo al cliente. Quindi, tornando alla spigola, se un giorno non è di alta qualità non la posso proporre soltanto perché c’è scritto sul menu. Non ce la faccio proprio, su questo sono intransigente, forse si possono standardizzare le procedure, ma non gli ingredienti. Passando poi al secondo punto in questione, analizzando un contesto come quello in cui mi trovo, con 32 coperti, ogni sera immancabilmente ci sono 2 – 3 tavoli “no show”. Non essendo questa una pizzeria, la prenotazione la devo considerare valida anche se il cliente non viene. Sicuramente “bucare” un tavolo si traduce in un danno economico che alla fine del mese è importante, ma qui non c’è ancora la mentalità pronta per proporre il pagamento anticipato. Da qualche mese chiediamo, all’atto della prenotazione, la carta di credito a garanzia, senza addebito alcuno; il cliente straniero non ci fa caso, l’italiano è meno disponibile perché non è abituato ma del resto è la stessa circostanza che si verifica prenotando una camera d’albergo.
Aroma ha una collocazione privilegiata, nel pieno centro della capitale e con affaccio sul Colosseo. Altri ristoranti hanno scelto di decentrarsi, per motivi di vario ordine. Se analizziamo il cambiamento dell’alta ristorazione negli ultimi anni, notiamo come sia fondamentale avere una struttura alle spalle. Oggi molti ristoranti stellati romani si trovano all’interno di complessi alberghieri, circostanza ritenuta impensabile fino a 10 anni fa. Attualmente per poter sostenere i costi è necessario avere un bacino di utenza a cui poter attingere, e in questo caso l’albergo aiuta perché dispone di una sua clientela. I miei competitor sono Henz Beck, Francesco Apreda, Andrea Fusco e tutti i colleghi chef che operano all’interno dei migliori ristoranti d’albergo della capitale. Per la mia clientela è importante la cucina, ma anche la location, che nel caso di Aroma è unica al mondo. Io cerco di regalare un’esperienza ai miei ospiti e faccio di tutto perché sia indimenticabile.