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venerdì, Dicembre 8, 2023

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Vegetariani, Vegani e Carnivori a braccetto da “Fiore, Crudo e Vapore”

Come mettere d’accordo clienti tra di loro apparentemente incompatibili, e riuscire a farli sedere allo stesso tavolo senza che nessuno di loro rischi di rimanere insoddisfatto? Il ristorante Fiore, Crudo e Vapore, (Roma - via Boncompagni), propone una brillante soluzione: un elegante e ampio open space, al cui centro si posiziona un’isola con cucina a vista che accoglie i numerosi chef addetti alle portate crudiste e quelle al vapore, e che funge da cuore pulsante attorno al quale si dipanano i tavoli della sala.

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In fondo al locale trovano posto la cucina dedicata alle preparazioni cotte e, di fianco, un angolo che mostra i prelibati affettati e formaggi presenti nella sezione “Stuzzichini e Cicchetti” del variegato menu. E così, si rimane piacevolmente sorpresi nel dover affrontare la scelta tra una selezione di prelibati prosciutti e salumi nazionali o iberici, formaggi italiani o francesi. Ai quali seguono stuzzicanti piatti di cucina crudista, quali la tartare di cetriolo e avocado al lime con chips di semi di chia, o gli spaghetti di zucchina con pesto di pistacchi, timo e pomodoro, giusto per citarne un paio.

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Per proseguire poi con la cucina cucinata, che offre ottime scelte vegetariane, ma anche di mare o di terra, e che prevede l’uso di ingredienti altamente selezionati e di nicchia, come, ad esempio, la scorzanera. Particolarmente interessanti, infine, la pagina dedicata ai panieri al vapore, alle insalate e ai plateau de fruits, così come quella dei centrifugati, dei frappè e degli smoothies.

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Sembra inoltre che sarà prevista una diversificazione tra l’offerta del pranzo e quella della cena: un ottimo motivo per non fermarsi alla prima esperienza gastronomica, ma, anzi, tornare a degustare nuove portate sempre freschissime anche sulla terrazza al primo piano.

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L’Oste della Bon’Ora, Cucina Laziale di Qualità.

Arriva la primavera dall’Oste della B’Onora con un nuovo menu e un locale rinnovato. A Grottaferrata, l’istrionico Oste Massimo Pulicati e sua moglie Maria Luisa, dopo aver portato a EXPO 2015 i sapori, i profumi e i prodotti della cucina laziale di qualità (Luisa e la sua brigata hanno preparato il piatto più venduto dell’intera manifestazione, 31.000 cacio e pepe!), riaprono le porte del loro ristorante dopo un breve periodo di ristrutturazione. Le tre sale diventano così ancora più accoglienti e luminose, un gradevole spazio all’aperto è stato allestito per la bella stagione e la realizzazione di una cantina garantisce le condizioni ottimali di conservazione per le bottiglie in carta curata personalmente dall’Oste e da suo figlio Marco.

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Nessuno stravolgimento, ma solo un ulteriore avvicinamento all’ idea di accoglienza calorosa e informale che contraddistingue questo luogo, più vicino alla trattoria che al ristorante, un luogo in grado di rispecchiare il carattere contemporaneo della cucina proposta da Luisa. Rimangono così i bei tavoli in legno scelti negli anni dalla moglie appassionata di brocantage, il bel contrasto con le moderne sedie in plexiglass, l’assenza di tovaglie ma un’apparecchiatura curata, gli oggetti che fanno casa, i quadri dai colori sgargianti di forte personalità e la musica, scelta sul momento da l’Oste che ogni giorno cura la “colonna sonora” del locale attingendo dalla personale collezione di vinili. E poi ci sono i suoi racconti, grandi storie di vita legate al mondo enogastronomico e non solo, che spaziano dal ricordo di Massimo Veronelli, un loro sostenitore, a quelli dell’artista Pablo Echaurren che ha disegnato il logo del locale, fino a quelli legati all’Arcana di Roma, il loro precedente locale vegetariano, o allo yoga, alla meditazione e all’esoterismo di cui è un profondo conoscitore.

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Il menù della primavera 2016 è all’insegna di una stagionalità che interpreta i grandi classici della cucina romanesca, piacevolmente alleggerita. Strizzano così l’occhio alla contemporaneità della cucina di Maria Luisa, la Tartare di manzo della Granda tagliata al coltello con insalatina croccante di carciofi e scaglie di grana dove il sapore dolce della carne viene accompagnato dal profumo del pepe; il Carcotto, ovvero punta di petto di vitella cotta e profumata con gli stessi aromi della porchetta e tagliata sottile come un carpaccio; la Crema di piselli con crudo di gamberi al gomasio dal colore acceso e dal sapore dolce e speziato che fa subito primavera (l’unico piatto che pare sappia cucinare l’Oste); l’interessante Raviolo di coda al cacao dove la Coda alla Vaccinara diventa ripieno di una buona sfoglia casalinga mentre il suo sugo li abbraccia entrambi; l’Amatriciana servita in una cornucopia di parmigiano che qui ha più gusto se si unisce ad ogni forchettata di pasta un morso di cialda; Il Filetto di maiale laccato all’aceto balsamico con crema di latte acida accompagnato da purè e il Fegatello in salsa di legatura pepato come ricetta vuole.

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E poi la Trippa, la più romana di tutti, morbida, sugosa e gustosa qui come non mai. Infine un dolce che…Non sembra una cheesecake, fatto da Marisa in risposta a quello di una signora dell’ Ohio “che si vantava tanto del suo, ma che poi era immangiabile” (come racconta simpaticamente Massimo), e che lei ha reinterpretato in un attimo mettendo su un buon crumble una crema dolce-acidula ottenuta con yogurt, formaggio e panna e guarnendola con una salsa alle more home made. Ma L’Oste della Bon’Ora può ancora continuare a stupirvi in fatto di originalità: è aperto 7 giorni su 7, a pranzo e a cena; accetta clienti con vini propri senza diritto di tappo; organizza corsi di cucina, che includono una parte teorica sulla ristorazione con Massimo, una parte pratica in cucina con Maria Luisa e diversi approfondimenti sensoriali su specifici prodotti con esperti del settore; presta attenzione a tutte le esigenze come quelle di vegetariani, celiaci, soggetti allergici e intolleranti, basta comunicare eventuali richieste al momento della prenotazione. Infine i costi, accettabilissimi se si pensa che i menu degustazione variano dai 30 ai 40 euro vini esclusi.

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    L’Oste della B’Onora Viale Vittorio Veneto 133 Grottaferrata (Castelli Romani) – Roma Tel 06.9413778 Cell 339.2325158 www.lostedellabonora.it

Arcangelo Dandini, tra memoria e futuro.

Il cibo è il veicolo, il filo conduttore attraverso cui si compie il viaggio gastronomico.

Pascucci al Porticciolo

La cucina ‘istintiva’ di Gianfranco Pascucci mette d’accordo pubblico e critica

Arcangelo Dandini, tra memoria e futuro.

“Qui ho creato qualcosa che ha a che fare con la mia memoria e, contestualmente, anche con il futuro”. Ci accoglie così Arcangelo Dandini, tra i più amati artigiani del gusto nel cuore di Roma. Una persona spontanea, come spontanei sono i suoi piatti, frutto di studio ma soprattutto di un minuzioso lavoro di ricerca nel vissuto, nelle radici più profonde. Una passione tramandata di generazione in generazione, a partire dai bisnonni paterni. “La mia è una cucina che ha una base storica di vita vissuta - esordisce Arcangelo, chef patron dell’omonimo ristorante di via Giuseppe Gioacchino Belli (zona Prati) - , ma che comunque deve inserirsi in un contesto. Mi diverto a collegare alcuni passaggi delle mie giornate da bambino attraverso i rumori o la temperatura atmosferica, a un determinato cibo. Ho addirittura messo su carta alcuni sogni d’infanzia, contestualizzandoli. È stato divertente creare piatti scavando nel passato, nei sogni. Adesso poi, dopo i quarant’anni, è diventato spontaneo ricollegare una situazione a un cibo e di conseguenza diviene automatica la sua trasformazione”. L’avventura de L’Arcangelo inizia nel 2003, con la preziosa collaborazione di Stefania, compagna di vita, esperto sommelier e perfetta padrona di casa. Qui la tradizione si respira in ogni dettaglio, dall’arredamento alle foto di famiglia che decorano le pareti. Tutto quello che si trova nel ristorante è memoria, comprese le macchinine disposte sui tavoli, parte integrante dell’infanzia di Arcangelo Dandini. Il cibo è il veicolo, il filo conduttore attraverso cui si compie il viaggio gastronomico. Poi c’è il menu, dove regna protagonista la cucina romana, quella storica, rivisitata con estro dallo chef nativo dei Castelli Romani che ha girato l’Europa per arricchire il bagaglio culturale e gastronomico che oggi può senza dubbio vantare. “Dopo la vendita del ristorante dei miei genitori ho deciso di entrare in società nel Richelieu, il locale dove avevo lavorato. Era il 1990 e da lì è iniziata un’avventura impegnativa e piena di sacrifici, nuove sfide e tante soddisfazioni”. Chef, appassionato di arte, musica e letteratura. L’unione di queste caratteristiche hanno contribuito alla pubblicazione del primo libro – Memoria a Mozzichi – e al completamento del secondo. Memoria a Mozzichi non è solo un libro di ricette, ma una sorta di scatola dei ricordi, come quelle che teniamo in soffitta, con i momenti più belli della nostra infanzia.Nei miei libri – racconta Arcangelo –parto sempre dalle ricette, ma dietro c’è una parte di me, un vissuto. Cerco di spiegare a livello introspettivo che una ricetta non è mai staccata dal mio mondo, anzi proviene sempre da una situazione che conosco, che ho vissuto. Ad esempio mi diverto a ripensare a mia nonna che mi faceva assaggiare alcune ricette, o a mio padre che me ne faceva provare altre. A questi ricordi, momenti precisi ben fissati nella mia memoria, abbino dei piatti. Tra questi L’Anabasi, un piatto che parla di un viaggio all’interno, legato all’opera di Senofonte, ma quello è un gioco culturale che non deve essere la parte più importante; si tratta di qualcosa che ruota intorno al piatto, che resta il protagonista. È un torchon di fegato d’oca con i biscotti Plasmon, il sale di Maldon e la granella di caramella. Si inizia dal Plasmon (la nascita, ndr) e si arriva alla fine del percorso gustativo ideale, umano, con il foie gras. Anabase Un altro piatto che mi sono divertito a creare è Ritorno al Lago Regillo. È la località dove i miei genitori avevano il ristorante. Il piatto è dedicato a mio nonno materno, che faceva il ranocchiaro. Fette biscottate della mia infanzia e polline, perché il mio primo lavoro è stato l’apicoltore, abbinato al coniglio fritto dorato. I miei piatti sono molto evocativi e vogliono far vivere al commensale una bella esperienza gustativa”. Della nuova fatica invece svela: “È un proseguimento del racconto di Memoria a Mozzichi. Si parla sempre della mia memoria, della mia famiglia, ma viene dipinto un affresco più specifico dei personaggi, da mio nonno Arcangelo, a cui dedico un piatto legato a un momento della sua vita. Tutto questo è abbinato all’altra mia grande passione, l’arte, soprattutto quella rinascimentale. Quindi quadri legati al personaggio e che addirittura mi riportano alla mente alcuni piatti o viceversa”. Una cucina mai pesante, sempre espressa, che si serve di cotture lunghe solo se lo richiede la ricetta. 12993483_10207607328455784_6149122473511716977_nOggi la gente vuole mangiare bene – riprende Arcangelo – senza appesantire lo stomaco. Io adotto tecniche e metodi di cottura più moderni che rendono il piatto più digeribile, rimanendo però dentro il percorso legato alla tradizione. I grassi devono essere sani e appena sufficienti a ciò che richiede la preparazione. Bisogna fare sempre attenzione all’equilibrio dei condimenti. I tempi di cottura ovviamente non vanno abbattuti, un brasato deve restare brasato e lo stesso vale per lo stufato o per il bollito. Se all’interno di queste cotture viene usato il giusto criterio di equilibrio dei grassi, il piatto non risulterà in alcun modo pesante. La cucina è equilibrio dell’ingrediente, equilibrio delle somme. Se metti più olio del necessario copri i sapori e lo stesso vale per il burro. Voglio lanciare un messaggio: condire poco, il giusto, vuol dire condire bene. È per questo che dobbiamo fare attenzione alla materia prima. Di un olio buono ne serve poco per condire un piatto, e alla fine c’è anche un ritorno economico. Per quanto mi riguarda ho sempre portato avanti questa tesi, ed è importante per me farla arrivare alla mia clientela”.   L’Arcangelo Via Giuseppe Gioacchino Belli, 59 00193 Roma   photo credits: www.larcangelo.com

Pascucci al Porticciolo

A una trentina di chilometri da Roma, Isola Sacra è il piccolo ‘quartiere’ di Fiumicino dove 12 anni fa Gianfranco Pascucci e la moglie Vanessa hanno dato inizio a un’attività che negli anni ha cambiato pelle. Nato come ristorante con 100 coperti, dove nel menu regnavano l’insalata di mare e lo spaghetto allo scoglio, oggi il locale ha un volto elegante e moderno, così come eleganti e moderni sono i piatti proposti dallo chef romano. “Questo posto in realtà è stato aperto da mio nonno – esordisce Gianfranco Pascucci – ed è stato il primo locale dell’Isola Sacra dove un tempo venivano i cosiddetti ‘fagottari’. Loro si portavano da mangiare e mio nonno dava loro da bere, un po’ come avviene tuttora alle ‘fraschette’ dei Castelli Romani. Il locale nel tempo si è evoluto – spiega – alle bevande si è aggiunto il pane, la mortadella e così via, sino a diventare una vera e propria trattoria. Alla morte di mio nonno, dapprima è stata data in gestione, finendo poi in abbandono. Io nel frattempo ho girato l’Italia fino a che, con mia moglie Vanessa, abbiamo deciso di creare qualcosa insieme. Su Porta Portese – ricorda – abbiamo letto l’annuncio della cessione fallimentare di questo posto, che ci siamo ripresi all’asta”. Era la classica cucina di mare da grandi numeri, quella che Gianfranco e Vanessa proponevano e i risultati di pubblico cominciavano a essere lusinghieri. “Molti coperti ma poca soddisfazione – riprende lo chef -. Quello che avevamo ottenuto non ci bastava, non ci consentiva di aggiungere nulla che fosse veramente nostro. Così piano piano abbiamo sperimentato nuove ricette, facendo molta ricerca, studiando e osservando anche quello che facevano gli altri. È stato l’amore per la cucina che ci ha portati a diminuire i coperti, aumentando la qualità del nostro lavoro”.

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Una vita vissuta tra famiglia e cucina, Gianfranco Pascucci non esita a sottolineare l’importanza di ‘vedere’ le persone che poi gusteranno le sue preparazioni. “Non resto mai chiuso in cucina – conferma –. Anche ai ragazzi dico sempre che i clienti mangiano quello che facciamo noi e assistere a questa scena è già una grande soddisfazione”. Un cuoco istintivo, che parla del suo lavoro con una grande passione, non dimenticando l’impegno e i sacrifici che sono alla base di un successo culminato quest’anno con il traguardo della stella Michelin. “Fiumicino è una località particolare – torna a raccontare Gianfranco Pascucci -. Funziona a ‘fisarmonica’ nel senso che durante la settimana si lavora poco, mentre nel weekend c’è una grande affluenza. Bisogna però essere sempre onesti, non è possibile accogliere 300 persone quando un locale ha 45 coperti.

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Questa è stata senz’altro una scelta difficile – spiega – economicamente ne abbiamo risentito, così come è stato difficile continuare a sostenere la scelta di lavorare esclusivamente pesce di mare, non allevato e non importato. Tutto questo però alla fine paga. Il locale ha assunto l’attuale connotazione circa 5 anni fa, all’inizio logicamente i vecchi clienti non ci hanno seguito, ma abbiamo preferito orientarci verso una clientela che ci desse una maggiore soddisfazione. Oggi la mia cucina è improntata ‘al momento’, cucinando pesce non può essere altrimenti, inoltre sono un maniaco delle cotture”. Ricette che nascono dall’istinto, dunque, e che sono vincenti grazie a una materia prima scelta e freschissima. “Un piatto che ancora oggi piace molto è la trenetta aglio olio e peperoncino con battuto di gambero rosso al lime. Qui abbiamo due cotture semplici e tradizionali: un aglio olio e peperoncino classico dove, per abbinare il gambero rosso, ho fatto ricorso alla preparazione della pasta alla carbonara. La testa del gambero viene premuta fuori dalla fiamma, come si fa con l’uovo quando si fa la carbonara, appunto. Si mescolano due ‘concetti’ diversi che danno vita a un piatto molto gradevole. Per certi versi si tratta di un piatto innovativo – precisa Pascucci – la testa del gambero giungendo a 40 °C sprigiona tutto lo iodio e questo mi dà la possibilità di rappresentare l’ingrediente in tutta la sua freschezza. Molte mie ricette senza una materia prima di qualità perderebbero valore, non è possibile negarlo”.

D’altra parte lo chef gioca in casa, da queste parti il pesce è davvero di prima qualità e grazie alle aste è possibile aggiudicarsi prelibatezze ittiche dell’ultima ora. “Qui oramai abbiamo diversi amici che ci riforniscono di pesce freschissimo – confida Pascucci -. C’è chi è ‘forte’ sui crostacei, chi invece sul pescato e così via. All’inizio non è stato facile, perché ad esempio la spigola non è disponibile tutti i giorni e di conseguenza non la possiamo proporre sempre; prima logicamente era diverso, quando utilizzavamo anche pesce d’allevamento, ma ora il discorso è molto diverso. Per quanto riguarda la carne, ci rivolgiamo alla Bottega Liberati a Roma mentre Dol è il nostro fornitore di formaggi. Poi Pesca Pronta, un grosso import export di pesce che da qualche tempo gestisce alcuni pescherecci qui a Fiumicino e ancora Gambero Rosso per la piccola paranza. Il mio nuovo contatto per le ostriche – aggiunge – è la Pedro srl di Corrado Tenace, un ex chef che ora si dedica alla cura e allo studio di questi molluschi. Per il caffè ho scelto Gianni Frasi che mi rifornisce anche dei suoi pepi. Si è, insomma, creata una piccola comunità che alla fine è vincente”. Chiuso domenica sera e lunedì, il locale propone un menu uguale per il pranzo e per la cena “anche perché durante la settimana non c’è molto movimento – spiega lo chef – e quando vengono delle persone cerchiamo subito di capire quanto tempo hanno a disposizione; se poi si tratta di un cliente abituale cerchiamo di offrirgli un piatto fuori carta. Cerchiamo in poche parole di offrire un servizio tailor made”. 18 portate complessive compongono una carta dinamica dove non mancano preparazioni entrate a far parte della tradizione di questo locale. “Alcuni piatti come il gambero rosso cotto per induzione di calore su una piastra di sale o lo scampo cotto nel lino con il foie gras fanno parte della nostra tradizione, piacciono sempre molto e questo significa che ‘funzionano’ "– precisa Gianfranco Pascucci -. Abbiamo poi un menu degustazione a 65 euro vini esclusi dove proponiamo le nostre ricette classiche e che si compone di 6 portate. Poi c’è ‘il menu di Gianfranco’, una mia sorpresa, non so mai di quante portate si compone e rappresenta un ‘cammino nel sole e nel sale del Mediterraneo’. Questa – afferma – è solitamente la scelta del cliente più attento, ed è ovviamente quella che a me piace di più”. Scegliendo dalla carta, un pasto completo costa mediamente 70 – 80 euro.

La cantina conta circa 220 referenze ed è curata dalla sommelier emiliana Mirka Guberti, appassionata di piccoli produttori ed esperta di produzioni biologiche e biodinamiche. “La sua concezione si sposa perfettamente con la mia cucina – riprende Pascucci – qui entra solo pesce di mare, quindi si può dire che anche gli ingredienti che sono alla base delle mie ricette sono biologici. Non bisogna però arrivare agli estremismi, né farsi trascinare dalle mode del momento. I nostri clienti prediligono vini del Trentino e del Friuli, generalmente perfetti in abbinamento ai miei piatti ma è in aumento anche la richiesta di bollicine italiane e francesi, anche per merito di Mirka che ha inoltre introdotto una bella selezione di pinot noir e sta personalmente seguendo l’evoluzione di piccoli produttori laziali di grande qualità”. 6 persone in cucina e 4 in sala, nell’un caso e nell’altro integrate dalla presenza di stagisti compongono la squadra di questo locale. “Per i ragazzi – riprende Pascucci – è stato allestito un piccolo laboratorio ricavato all’interno della cucina, dove poter apprendere e ‘rubare con gli occhi’. La mia cucina impulsiva mi impedisce di essere un buon maestro, ma ho voluto dare loro la possibilità di poter imparare qualcosa”.

Pascucci al Porticciolo

Viale Traiano, 85

Fiumicino (Rm)

www.alporticciolo.net

Alfonso Crisci/Storie di Chef

Solo materie prime di grande eccellenza rielaborate in chiave contemporanea. Taverna Vesuviana.

Quarta Gamma Sostenibile: RAGO GROUP

Dalle insalate di quarta gamma alla quarta gamma avanzata che abbiamo chiamata “Spadellami”

Si scrive “FINAGRICOLA”, si legge“COSÌ COM’È”

Ci troviamo nella Piana del Sele, in un’area produttiva di 20.000 ettari, una delle più fertili d’Italia, che comprende tutti i principali comuni tra cui Pontecagnano, Eboli, Capaccio, Paestum e Battipaglia. Qui si è sviluppata negli anni una realtà a dir poco virtuosa e moderna, nata nel 1986 dall’intuizione di Gerardo Palo. Figlio di un colono e quarto di nove figli, Gerardo Palo inizia la sua attività vendendo fitofarmaci impiegati nell’agricoltura. Dopo qualche anno, riesce a locare il primo terreno vicino ai templi di Paestum, particolarmente vocato per la frutticoltura. “Finagricola nasce nel 1986 dalla volontà di mio padre di realizzare un centro comune di produzione e confezionamento di prodotti ortofrutticoli, destinati al mercato nazionale ed estero. Attualmente – racconta Fabio Palo, figlio di Gerardo e direttore commerciale di Finagricola – mio padre è il presidente e mio fratello Massimiliano si occupa della pianificazione generale di tutta la parte relativa alla produzione. Sono inoltre presenti altre due famiglie di soci minoritari”. DSC_0134   “Abbiamo tutte le certificazioni – prosegue – inclusa la 22005, ottenuta due anni fa e legata alla tracciabilità del prodotto. Essendo la nostra un’azienda perfettamente integrata verticalmente, partiamo dal seme, abbiamo i nostri vivai di produzione dove alleviamo le piantine che successivamente vengono messe a dimora nei campi, e coltivate”. images (1) Quando il prodotto è pronto, arriva all’interno delle strutture di produzione e destinato al mercato del fresco in Italia e all’Estero. Quest’ultimo mercato rappresenta attualmente il 30% del fatturato con la Germania in testa, mentre il fatturato complessivo è di 47 milioni di euro. “Il brand principale è Finagricola – riprende Fabio Palo – ed è concentrato sul prodotto fresco stagionale. Di conseguenza, durante l’inverno vengono coltivati prodotti a foglia, mentre in estate si prediligono gli ortaggi, in particolare il pomodoro in tutta la sua gamma e in tutte le sue varietà: ciliegino, cuore di bue, datterino rosso, datterino giallo, pomodoro insalataro e così via. Negli anni abbiamo fatto una selezione delle migliori varietà di pomodoro, per compiacere il nostro consumatore. Nel 2005 abbiamo introdotto il brand Gran Gusto, per rappresentare le migliori qualità di pomodoro da noi prodotto, studiando un packaging particolare”. Nel 2011 in qualità di azienda leader nel mercato nazionale nella produzione di pomodori datterini, Finagricola  pensa di diversificare  e approcciare mercati diversi da quello tradizionale, rappresentato dal fresco. “Abbiamo iniziato a fare le prime prove di trasformazione del datterino in pomodoro da conserva – ricorda Fabio Palo – ed è nato il brand Così Com’è. Il nome deriva dalla volontà di rappresentare il prodotto in maniera naturale, perché realmente è così come lo si vede. L’intera fase produttiva, del resto, è improntata al rispetto della naturalità. La caratteristica che ci contraddistingue è l’utilizzo di un prodotto destinato al mercato del fresco, trasformato poi in conserva vegetale. Il che è molto diverso, in termini di qualità, rispetto al prodotto già pensato per la destinazione industriale. La differenza consiste nel fatto che il prodotto cosiddetto industriale, viene piantato e non subisce nessun tipo di intervento fino al momento della raccolta, che si svolge in un’unica fase. Di conseguenza, essendo la maturazione dei pomodori più veloce per i frutti più vicini all’apparato radicale, e più lenta per i frutti lontani, i pomodori avranno differenti gradi di maturazione, alcuni acerbi, altri troppo maturi. Il processo da noi applicato è totalmente diverso: allevando le piante con l’impiego di tutori di sostegno per farle crescere in verticale, possiamo verificare i differenti stadi di maturazione ed effettuare raccolte differenziate. Ogni pomodoro appartiene a un “palco” di maturazione e noi partiamo da quello più basso, andando man mano verso l’alto fino a raggiungere l’ultimo palco di che sarà oggetto della raccolta finale”. DSC_01321 In questo modo il pomodoro viene colto al momento giusto, quando ha in serbo le caratteristiche migliori. Inoltre, nel corso della crescita della pianta avvengono una serie di operazioni come la cimatura, che consentono di preservarne la qualità. La raccolta avviene esclusivamente a mano, il pomodoro è poi condotto all’interno dei magazzini e selezionato per mezzo di macchinari ottici che dividono i frutti secondo il colore – sino a 8 tonalità – e la calibratura. Il prodotto idoneo è destinato alla trasformazione, che avviene entro 24 ore, per evitare fenomeni di fermentazione lattica. In questo modo si preservano la freschezza e il profumo di un pomodoro appena colto. “Parlando di mercato nazionale – afferma Fabio Palo – ciò che ci ha caratterizzato è senza dubbio la produzione di pomodoro giallo, una novità che negli ultimi due anni ci ha permesso di conseguire risultati importanti, soprattutto nel canale food service. Per assecondare la nostra naturale propensione all’innovazione, abbiamo brevettato il ketchup giallo ottenuto dai nostri datterini, realizzando un prodotto dal gusto dolce e delicato. Il pomodoro, infatti, si valuta secondo un parametro che ci dice la quantità di zuccheri contenuti. Un normale san marzano ha un livello di zuccheri pari a 4 – 5 gradi brix. Il nostro pomodoro pizzutello ha un rapporto di zuccheri da 6 a 7, un datterino rosso va da 7 a 10, un datterino giallo va da 10 a 12: quindi quest’ultimo contiene un valore di zuccheri naturali che è quasi triplo rispetto al san marzano. La prerogativa dei nostri pomodori consiste nel fatto di essere frutti piccoli, a basso contenuto di acqua, cosa che li rende perfetti per una rapida cottura e un ottimale risultato gustativo. Il basso grado di acidità, inoltre, rende il pomodoro datterino particolarmente apprezzato dai bambini. Uno dei grandi progetti su cui stiamo lavorando è un’azienda di 8 ettari e mezzo dedicata alla biodiversità; abbiamo recuperato un’antica varietà di oliva, la rotondella, tipica del nostro territorio e originaria della Magna Grecia. All’interno dell’azienda il 50% è dedicato al recupero di un uliveto secolare e stiamo per il resto trapiantando nuovi frutteti, perché ciò che siamo riusciti a fare nel mondo della conserva di pomodoro lo vogliamo realizzare anche nell’ambito delle composte di frutta". images FINAGRICOLA Soc. Coop Viale Spagna, 6 – Zona industriale 84091 Battipaglia (SA) ITALIA www.finagricola.it www.cosicome.eu  

Alfonso Crisci/Storie di Chef

 

di Manuela Zennaro – foto Domenico Catapano

37 anni, campano, Alfonso Crisci si forma nell’Istituto Professionale del suo paese e matura numerose esperienze all’estero, grazie alle quali prende forma una filosofia culinaria che partendo dal territorio esplora il mondo delle forme e dei colori. Nascono così piatti vivaci, che incuriosiscono l’occhio e sorprendono il palato.

Chi è il cliente – tipo della Taverna Vesuviana?

È un cliente di livello elevato. Questo ha avuto ripercussioni positive anche in termini di affluenza di turisti stranieri, tanto che ho già ricevuto numerosi riconoscimenti dal sindaco. Ci troviamo in un paese piccolo e non è usuale da queste parti veder arrivare, ad esempio, un gruppo di spagnoli. Non essendoci il mare, né altre attrazioni turistiche, vengono per noi e questa è una grande soddisfazione. Molti clienti vengono da Napoli e Salerno; nel paese non c’è ancora l’usanza di frequentare ristoranti di lusso, e non per ragioni economiche, bensì culturali.

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Qual è la tua proposta gastronomica?

Sono molto legato alla stagionalità e vario la carta ogni 3 mesi. Ho incluso anche un menu degustazione: consiste in un percorso di 7 portate e cambia ogni 15 giorni.

Come si compone la brigata?

In cucina, a parte me, c’è il mio sous chef, 6 stagisti e 2 aiuto cuoco. In sala ci sono 4 ragazzi e due addetti alle pulizie. Il mio motto è: non fare nulla senza prima aver ottenuto il consenso di tutti. Quando realizzo un piatto oppure partecipo a un evento, ci sediamo tutti intorno a un tavolo e ognuno esprime il proprio parere. Decidiamo tutto insieme.

Come avviene l’approvvigionamento?

Faccio parte dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, sono l’unico rappresentante del sud; di conseguenza ho la possibilità di viaggiare molto e di conoscere produzioni interessanti per il mio ristorante. Viaggiando nascono amicizie e contatti commerciali, è il bello di appartenere a questa Associazione. Per il resto amo fare la spesa direttamente dal produttore, e in questo senso siamo fortunati perché la Campania offre molto, e la grande varietà di ingredienti a disposizione è uno stimolo per la fantasia. Scegliere da un catalogo per me è molto limitante, soprattutto per le idee.

Quanti piatti include il menu della Taverna Vesuviana?

Abbiamo 12 antipasti di pesce e 8 di terra; 6 primi piatti di mare e 6 di terra; 6 secondi piatti di mare e 8 di terra; 8 dessert, un menu degustazione di 7 portate, la carta del tè con 24 referenze internazionali, la carta del rum, la carta dell’olio con 6 referenze che vengono offerte in degustazione al cliente prima dell’ordinazione, in modo che possa scegliere l’olio che preferisce. Il pane lo faccio io: lavoro il lievito madre e mi occupo anche di grissini e pasticceria. Mi assumo a 360 gradi la responsabilità di tutto quanto esce dalla mia cucina: se qualcosa non è buono, la colpa è mia.

E la carta dei vini?

Abbiamo un’ampia selezione dei migliori vini campani e stiamo facendo anche ricerca, inserendo piccole realtà di pregio. E naturalmente c’è spazio anche per le etichette del resto d’Italia. Per il momento mi sto concentrando sullo stivale, anzi per la verità se ne sta occupando il sommelier del ristorante, che è anche mia moglie. È lei che ha scelto di “marcare il territorio”.

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Quanto costa mangiare alla Taverna Vesuviana?

Il menu degustazione (7 portate, vini esclusi) costa 40 euro. Si tratta di un prezzo ragionevole, d’altra parte ci troviamo in un piccolo paese e non possiamo non tenerne conto. Ordinando alla carta, il costo medio è di 50 euro, sempre vini esclusi.

Cosa ne pensi delle guide di settore?

Le guide sono importanti, tutti noi chef lo sappiamo ed è inutile negarlo. La stella è il traguardo che chi fa questo mestiere sogna, però dall’esperienza vissuta in questi 2 anni ho capito che non bisogna soffermarsi troppo su questo aspetto del nostro lavoro. Per noi la stella deve essere il cliente, poi se ci viene riconosciuta dalla Michelin, meglio. Il punto è che oggi molti miei colleghi fanno ristorazione per gli ispettori, non per i clienti. Il ristorante deve sempre funzionare bene, non soltanto quando sono previste visite importanti. Anche altre guide come l’Espresso e Gambero Rosso hanno il loro peso, ma la Michelin è la Michelin.

Nel corso di Taste of Excellence 2015, uno degli argomenti trattati nel talk “Dialoghi della Cucina” verteva sull’opportunità o meno da parte dello chef di presenziare ad eventi uscendo dal ristorante.

Partecipare agli eventi ci offre la possibilità di scambiare idee con i nostri colleghi; io giro molto, l’importante è riuscire a incastrare gli impegni facendo sì che il ristorante non ne risenta. Sono favorevole in genere agli scambi culturali, sono esperienze necessarie.

Taverna Vesuviana Via Nuova Saviano, 207 San Gennaro Vesuviano (NA) www.tavernavesuviana.com  

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