C’è il mare, ci sono le colline che risalgano morbide e aspre dalla costa e ci sono i monti silani che abbracciano le vigne, in questa culla che si allunga per svariati chilometri è racchiuso il territorio di Cirò. O sarebbe meglio definirlo il “terroir”, perché come ci fa notare chi questi luoghi li vive e li lavora, Cirò con tutte le sue caratteristiche ampeleografiche, climatiche e microclimatiche, con la sua economia che ruota intorno al vino, è esemplificativa del concetto di terroir proprio come lo intendono i francesi. Dire Cirò è come dire Calabria, l’equazione è immediata. Il Cirò è il vino per antonomasia dei calabresi e per i calabresi e non solo, è il simbolo di un’identità forte e radicata nel tempo. E a conferma di ciò e per conoscere meglio questo terroir e la sua espressione abbiamo incontrato Cataldo Calabretta, un vignaiolo appassionato ma anche il vicepresidente del Consorzio Cirò e Melissa.
«È sicuramente la più importante Doc della regione. La prima, non a caso, istituita nel 1969 e anche la più grande come estensione, nonostante negli anni si sia ridimensionata, Cirò rimane il territorio con più superficie vitata, che vanta una produzione attiva e diffusa e un’economia incentrata sulla viticoltura e produzione di questa Doc. È in poche parole il nostro orgoglio».
C’è una storia lunga dietro al nome Cirò, che va indietro nel tempo a prima della Doc e si ritrova in tutte le case dei cirotani, come ci racconta Cataldo Calabretta: «Il Cirò come vino esiste prima della Doc, un vino prodotto da sempre. Tutte le famiglie a Cirò possedevano qualche ettaro di vigna che serviva per il vino fatto in casa, e chi ne produceva di più lo vendeva alle aziende del nord che – strano ma vero – imbottigliavano il nostro nettare chiamato proprio “Vino di Cirò”. Il nostro è sempre stato un territorio vinicolo riconosciuto ed è stato per anni il serbatoio della Calabria. Poi con la Doc, nascono anche le prime aziende che cominciano a imbottigliare e vendere, ampliando il circuito produttivo e portandolo sul mercato nazionale ed estero. Il Cirò era venduto in tutta Italia e conosciuto come il vino elegante».
La Doc Cirò ha compiuto 50 anni, festeggiati ad agosto 2019 durante il Cirò Wine Festival, in tutti questi anni ci sono stati molti cambiamenti, sia dal punto di vista del disciplinare, sia di rivalutazione del territorio. Si è attraversata una fase “buia” per poi tracciare la nuova strada di rinascita del Cirò e proporre una riscoperta positiva del prodotto e del territorio stesso.
«Abbiamo vissuto – ci dice Cataldo – un declino negli anni ‘80, dovuto all’aumento delle rese a discapito della qualità e alla trasformazione delle stesse vigne che per essere più efficienti e meccanizzate hanno cambiato forma di allevamento. Siamo passati dall’alberello, che è tipico della zona e del Gaglioppo, al cordone speronato verticale. Trasformazioni all’epoca sperimentali richieste a tutta l’Italia dal ministero dell’agricoltura con l’obiettivo preciso dell’aumento della produzione di vino. Il risultato per noi è stato un vino completamente diverso e di qualità inferiore. A questo bisogna aggiungere anche un posizionamento sbagliato sul mercato, molte aziende di Cirò conquistavano la Gdo, milioni di bottiglie vendute ad un prezzo basso, che vanno a incidere negativamente soprattutto sull’immagine del nostro prodotto».
La storia però cambia negli anni, e per fortuna aggiungiamo, grazie a viticoltori più illuminati, che innescano una mentalità nuova. Oggi il Cirò vive un momento di ricambio generazionale che fa bene. È, come dicono in tanti, il momento della rivoluzione, di percorrere cioè una strada nuova, o forse dovremmo dire vecchia, visto che riprende dal passato sia le tecniche che l’idea di Cirò.
Come deve essere questo Cirò?
Cataldo ci risponde nella sua doppia veste di vicepresidente di consorzio che di viticoltore: «Il Cirò è il vino che viene da questa terra e deve essere la sua espressione cristallina. Sembra banale come definizione, ma come produttore posso affermare che è una delle cose più difficili da fare con il vino. Il Cirò si compone di elementi naturali, che sono quelli del terroir di appartenenza. È un vino elegante e mediterraneo fatto di mare, di sale e di sole. E questi ingredienti li ritrovi tutti al primo assaggio, li riconosci e li fissi nella memoria. Ecco è proprio questo ricordo riconoscibile quello che cerchiamo nel nostro vino. Identità e riconoscibilità.
Nel 2010 il consorzio ha introdotto la possibilità di utilizzare fino a un 10% di vitigni internazionali come Cabernet e Merlot e fino al 20% dei vitigni autorizzati dalla Regione Calabria come migliorativi del disciplinare, cosa che però ha prodotto una standardizzazione del vino. Mentre nell’ultima bozza di modifica del disciplinare della futura DOCG, sempre per aderire al concetto di identità territoriale, abbiamo preferito l’utilizzo di due vitigni calabresi storicamente presenti come il Greco Nero e il Magliocco, cosa che è possibile per un 10%. Adesso le cose sono cambiate, è il momento del ricambio generazionale dentro al consorzio e tra gli stessi produttori. Ritorna l’artigiano del vino, che è una figura che non esisteva più a Cirò, che vuole produrre vino di qualità anche nella sua immagine percepita. E se assaggi il Cirò di questi artigiani hai una visione nitida e sincera di ciò che è il territorio, grazie al lavoro che viene fatto».
Di questa Cirò Revolution ne abbiamo sentito parlare spesso ed è vista dentro e fuori la Calabria con molta simpatia. Si punta alla valorizzazione del Gaglioppo e di un Cirò che è espressione “naturale” e “pura” di questo vitigno autoctono, senza aggiunte di nessun tipo.
“È un’azione importante, di alta valorizzazione. Pensiamo il Cirò come un vino che somigli al territorio di provenienza, perché quello che vogliamo e su cui stiamo lavorando è riuscire a creare il mito di un modello Cirò, il vino calabrese che non deve scimmiottare altri grandi vini italiani o esteri, ma deve essere essenza di quella terra, grande per questo motivo. Per fare ciò è necessario fare comunità, parlare, confrontarsi e collaborare. Proprio con questa vendemmia appena fatta stiamo sperimentando delle micro-vinificazioni di Gaglioppo in purezza, che arriva da diversi vigneti e quindi con caratteristiche differenti, ma lavorati tutti allo stesso modo, per cristallizzare gli elementi territoriali. Il nostro obiettivo è una crescita sinergica, siamo tutti produttori appartenenti alla Doc e idealmente ci piacerebbe che altri seguissero il nostro modello. Il lavoro è lungo, ma ce la stiamo mettendo tutta».
Conclude così la nostra chiacchierata Cataldo. È evidente che il vino e la viticoltura è nel dna dei cirotani, ed è sicuramente questo legame che innesca la voglia di veder risorgere e riconoscere la grandezza di una regione e di uno specifico territorio che sa generare valore. La Cirò Revolution ha dato una sferzata nuova, ha rilanciato la sfida. Chi va in visita a Cirò questa forza rivoluzionaria, la percepisce. Si vede e si sente tra i filari delle vigne, che ritornano ad alberello, si ritrova nelle parole appassionate dei produttori di Gaglioppo, che seguono meticolosamente ogni fase, si incontra nei loro occhi fieri di questa battaglia.