Ho sempre pensato che il cibo fosse cultura, anzi di più, che fosse veicolo culturale attraverso il quale una società esprime la propria identità, il proprio territorio e confini, valori, credenze e rituali. Proprio in questa ottica, viaggiare e scoprire nuove espressioni enogastronomiche credo non abbia sinonimi in materia di crescita ed arricchimento personale.
Sono sempre rimasta a tal proposito affascinata da quanto, oltre ai fini di nutrimento, la cucina sia questione sociale ed antropologica e, ben oltre le scelte etiche del singolo, credo che ci si dovrebbe porre nei confronti del cibo, in quanto esperienza culturale, senza pregiudizio alcuno, con assoluta rispetto e viva curiosità. Amo dunque, oltre alla nostra immensa e solida tradizione italiana, “le cucine degli altri”, la matrice asiatica, sudamericana, africana, le derive fusion (eseguite con criterio), quando l’emozione di un piatto nasce dall’incontro di territori, ingredienti, tecniche e il cibo diventa chiave di lettura privilegiata per conoscere il mondo, o per assaporarne almeno un pezzetto.
Mamma Roma, non al pari di altre celebri capitali, è comunque un dimensione ricca di contaminazioni in questo senso: cucina cinese, coreana, giapponese, brasiliana, africana, peruviana e messicana, hanno trovato qui modo di esprimersi anche se non sempre (oltre poche rare eccezioni) rimangono fedeli alle proprie ricette e tradizioni per accogliere i gusto di palati europeizzati. Ma esiste un luogo che scardina questa regola generale, un posto dove seduti alla stessa tavola si può partire per un viaggio straordinario. Questo luogo si chiama UPTOWN e il suo Comandante è Fabio Pugliese, lui che non ama definirsi né sentirsi chiamare chef (pur essendolo) e che ha fatto della gastronomia del mondo unita alla sapienza della nonna italiana il suo Credo.
Capelli ricci, arruffati e brizzolati, sguardo vispo, grande energia, curiosità ed intelligenza arricchita da rigore e spirito di sacrificio, non fanno intuire che, oltre ad una smodata passione e rispetto per la cucina, Fabio nasconda una vita passata seduto ad una scrivania in qualità di commercialista fino al suo definitivo changing life e alla realizzazione della sua vocazione.
“Qui all’ UPTOWN, ho avuto la possibilità di impostare un menu originale che spazia dallo scanzonato Perù alla sorridente Thailandia, dalla riflessiva India alla rilassante Jamaica. I piatti sono frutto di viaggi e persone, vissuti e sentiti, storie di mondi e uomini apparentemente lontani ma in realtà vicini. Perché la cucina, la tavola imbandita, i sorrisi, i racconti tra familiari ed amici legano il mondo intero. Ed allora accade una magia: che il mondo diventa una linea continua che avvolge il tutto. E che vi legherà anche all’Uptown.”
L’Uptown, per l’appunto, è un luogo poliedrico, esotico, che sa di viaggio, di giungla e che propone, nei suoi due livelli con cortili e terrazze, atmosfere diverse realtà stimolanti rivolte ad un pubblico che non cerca solo apparenza ma vuole coinvolgimento attivo tra eventi, dj set, performance musicali e artistiche accompagnate da un’ampia selezione di cocktails curati da Emanuele Gentile (nella foto a destra).
Voluto da un gruppo di giovani imprenditori dal temperamento artistico –Andrea e Valentina Spurio, Eliana Mancini e Marco Simoncini– l’Uptown vuole proprio promuovere uno spazio polifunzionale di interazione con creativi e designer, che si è avvalso per la consulenza di sala di Edoardo Savino (a sinistra nella foto), che è stato responsabile e coordinatore di tutte le attività di sala, dalla formazione del personale alla mise en place, passando per la scelta dei vini in carta; e viene completato da un menù che punta a riproporre al modo più fedele i sapori di una cucina vivace e multietnica.
Inizia dunque così il mio viaggio nella cucina di una porzione di mondo, con un Humus di Ceci cremoso, aromatico, un piacevole equilibrio di thaina, limone e cumino servito con pimenton, prezzemolo e pane croccante. A Fabio piace spiegare l’origine delle ricette e di come, tra prove e controprove, sia arrivato ad individuare la giusta alchimia tra i sapori anche nelle ricette apparentemente più semplici.
Spezza con freschezza il Chevice, piatto nazionale peruviano, la cui parola deriva da “quechua siwichi”, che vuol dire pesce fresco o tenero. Fabio ha imparato la ricetta proprio da uno Chef peruviano. Va a reperire personalmente ciò che gli serve al mercato di Piazza Vittorio e non è stato contento della sue realizzazione fino ad inquadrare il giusto gioco tra marinatura, acidità e note aromatiche, freschezza e consistenza, e che prepara con pesce persico e polpo, cipolla rossa, coriandolo e manioca lessa.
Sul fronte fritto troviamo un sempre sfizioso Indian fried chicken, bocconi di pollo marinato 24 ore con yogurt, garam masala, coriandolo macinato, lime, aglio e zenzero, panato, fritto e servito con maionese di rapa rossa e menta, ottimo come aperitivo, perfetto come sfizio da cocktail.
Il viaggio si sposta poi sul fronte cinese con un raviolo che vuole fondere i sapori della tradizionale farcia dei Dumplings di maiale con quelli di una pasta all’uovo tirata a mano come faceva nonna, e che prepara, chiude e serve in duplice versione: quelli di maiale, appunto, con crema di cavolfiore ed agretti e quelli con ripieno di gamberi su crema di piselli ed asparagi.
Approdiamo dunque al PAD THAI, Re per fama della cucina thailandese nonchè vera perla dell’Uptown. Appagante, abbondante e perfettamente in equilibrio tra le sue componenti agrodolci, croccanti e vegetali: un trionfo fumante di fettuccine di riso servite con la tipica salsa thailandese, verdure miste, uovo, pak choi, germogli di soia, pollo e gamberi che Pugliese, dopo averlo provato e mangiato in ogni baracchino di Bangkok, ha imparato a prepararlo ad hoc in un corso sui piatti icona della cucina thailandese a Chiang Mai, durante il suo viaggio in Thailandia.
Tra i secondi spicca il Jamaican Jerk Chicken, ricetta Jamaicana di origine caraibica, in cui il pollo viene massaggiato con una marinatura piccante di spezie (il Jerk, tradotto, sembra significhi proprio “scossa”), lasciato riposare per qualche ora e poi cucinato ad alte temperature, in questo caso, al mattone. Saporitissimo e particolare (crea dipendenza, sappiatelo), Fabio lo prepara lasciando marinare la sovracoscia di pollo per 24 ore con salsa di soia, lime, zucchero di canna, pimento giamaicano e cannella, lo cuoce al mattone e lo serve con gli spinaci al burro.
Quindi, è così, se avete voglia di evadere mentalmente, cercate un posto per vivere un’esperienza gastronomica diversa, se credete nel cibo culturale, se siete curiosi e non avete tempo per arrivare in Thailandia per cena, impostate le coordinate sul navigatore tenendo a mente ciò che diceva Voltaire, ovvero che “è ben difficile, in geografia come in morale, capire il mondo senza uscire di casa propria“.