La prima presentazione romana de “La cenere non brucia” ha la fisionomia di un dialogo tra donne

Lo scorso 21 dicembre, nella cornice romana di Carter Oblio, nel cuore del quartiere Prati, tre donne: Nerina di Nunzio, giornalista, fondatrice di Food Confidential, esperta di comunicazione; Dea Cucciniello, al suo secondo romanzo con “La cenere non brucia” ed Eleonora Siddi, organizzatrice dell’evento, hanno raccontato un libro che parla di donne.

Una sinergia ispirata quella di Nerina Di Nunzio, con le sue letture calde e avvolgenti, e dell’autrice Dea Cucciniello. Entrambe accumunate da una intensa stagione di vita nella Washington bianca e monumentale che l’autrice mirabilmente racconta nel suo libro. Entrambe legate al mondo del food, l’una con la sua ormai storica agenzia romana, che ben si irradia anche all’estero, l’altra proprietaria di un ristorante che sempre meglio cattura la scena gastronomica romana, e con questo evento si consolida anche come spazio culturale trasversale.

Entrambe portatrici dell’idea che il cibo sia sempre fonte e ispirazione di forme più ampie di acquisizione culturale, che sia incontro, avvicinamento, mescolanza, armonia. Entrambe si muovono con grazia tra esperienze imprenditoriali, giornalistiche e letterarie.

Le due ci presentano un libro muliebre, che traccia profili femminili molto forti, capaci di gesti estremi ma anche di un flusso di sentimenti potenti che si alternano come correnti di una danza.

La cenere non brucia, edito da Scatole Parlanti, è la storia di un rapimento senza richiesta di riscatto, così lo ha definito l’autrice. In apertura, Nerina Di Nunzio ha subito condotto il pubblico nell’anima del racconto, con la lettura di un estratto che apriva un varco sulla casa e sulla famiglia che fanno da incubatrici del sequestro.

Nel romanzo la narrazione sta a metà tra un dentro e un fuori. Il “dentro” è lo spazio del sequestro: due camere comunicanti per mezzo di un passavivande. Nora, una giovane affetta da una patologia neurodegenerativa, persuade la madre ad attuare il rapimento di Alma, la ragazza che abita al piano di sopra.

Il tempo del sequestro è quello serrato di un avvicinamento umano tra le due. Un attraversamento che deve fare i conti con il tumulto, la rabbia e la pena di Alma per il gesto disperato di Nora.

Lo spazio interno è dunque quello delle tensioni psicologiche di casa Troda, la casa del sequestro, abitata da sole donne: Nora, sua madre, e Alma, l’intrusa. In casa Troda da stanza a stanza si maceravano tensioni. Si viveva in penombra, si viveva da licantropi, fino a dare per scontato che ci fosse un lupo dietro ogni porta. Un lupo dentro ogni agnello. Questo l’impatto del sequestrato, e l’impatto del lettore, che sbatte contro le debolezze dei personaggi prima di conoscerne il migliore paesaggio umano.

L’universo ideale di Nora siede sul rifiuto dei maschi, relegati nel passato, perché tutti in qualche modo l’hanno abbandonata: il padre scomparso prematuramente, il fidanzato venuto meno a poco a poco. Da qui la scelta folle di un sequestro ai danni della sola persona che le aveva gratuitamente dato amicizia, almeno prima di partire per seguire le vicissitudini del lavoro e della vita.

Il “fuori” è il tempo del racconto, l’America vissuta da Alma quando si allontana da Nora e dalla sua città, e la vita esterna in genere, di cui la ragazza si fa portavoce per Nora, sprofondata dalla sua infermità in una poltrona al centro del salotto. Tuttavia, La cenere non brucia non è un libro sulla malattia, bensì sull’avidità di parole e di incontri che questa non sa acquietare, malgrado le repressioni del corpo. Sulla difficoltà di una femminilità sospesa e messa all’angolo; sul disagio fisico che la malattia impone in un rapporto tra madre e figlia, costretto a virare sull’imperativo della “cura”, senza badare alle relazioni personali che l’avevano preceduta. Un racconto sulla carnalità della cura. E un libro sull’incastro tra intimità e confidenza in uno spazio spartito tra donne molto diverse, costrette, tra premura e dovere, l’una nelle mani dell’altra.

Un racconto sulla presunzione di felicità che il malato rivolge al sano. Sullo sconforto ardito degli ultimi. Sul coraggio di chi è già cenere, e la cenere non brucia.

“Un romanzo sul pregiudizio e sull’immaginario. Su come la forza dell’immaginario possa vincere tanto la reclusione del pregiudizio, quanto quella delle pareti. Ma anche su come il destino possa mettere a tacere le parole, condendo di discrezione i caratteri, come gli eventi”.

In definitiva, Dea Cucciniello ci consegna un romanzo sull’amicizia tra donne, faticosamente cercata nel modo più brusco e struggente, e poi lasciata a decantare nella furia del dialogo, che, prima o poi, anche dalla più impensabile delle convivenze finisce per liberarsi. Dunque non sorprende che anche durante la prima presentazione romana il racconto del libro abbia assunto la fisionomia di una chiacchierata intensa tra donne, viva e appassionata.