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martedì, Aprile 23, 2024

L’Aglianico del Vulture un vitigno tra storia e Basilicata

La Basilicata per questo 2019 ha i riflettori puntati sulla splendida Matera, capitale della cultura europea. Noi abbiamo deciso di spostarci sul versante opposto della regione, precisamente a Barile, in provincia di Potenza, per conoscere l’Aglianico del Vulture, un vitigno che trae dal terreno in cui cresce la sua inconfondibile caratteristica.

Il monte Vulture da tempo è un vulcano inattivo, la sua inattività ha trasformato le pendici in terreni dalle caratteristiche pedologiche e climatiche uniche. Il terreno è ricco di potassio e sali minerali, fondamentali per la crescita dell’uva, che insieme alle numerose sorgenti naturali di acqua minerale alimentano un’attività vinicola di qualità per l’intera zona. L’ipotesi più accreditata sulla provenienza dell’Aglianico è quella che giunse in Italia per mano dei greci con il nome Hellenica, i romani lo chiamarono Ellenico, utilizzandolo per migliorare la qualità del Falerno, un vino molto amato dai poeti e scrittori dell’epoca. Nel XV secolo sotto la dominazione degli Aragonesi è stato denominato Aglianico.

In questo angolo di Basilicata la storia ha conservato un prodigio enoico che oggi rende orgoglioso l’intero settore del vino lucano. Sono 50 le cantine produttrici di Aglianico del Vulture, per un totale di 1500 ettari coltivati, con una produzione complessiva che si attesta sui 3,8 milioni di bottiglie annue. In questo micro mondo dai paesaggi inediti dove la storia ha tracciato solchi indelebili, Leonardo Pietrafesa, architetto prestato alla vigna, da 25 anni produce a Tenuta le Querce, nel cuore di Barile, con i suoi 33 ettari, il “succo” di una terra preziosa e delicata. Gli splendidi vigneti di Tenuta le Querce hanno una paternità storica importante, furono di proprietà di Giustino Fortunato, esponente politico tra i più importante del “meridionalismo”, studiò i problemi economici e sociali del sud dopo l’unità d’Italia, realizzando una serie di interventi mirati per fronteggiare la cosiddetta questione meridionale, si impegnò a migliorare le infrastrutture, l’alfabetizzazione e la sanità del Mezzogiorno.

vulture

La nobile paternità di questi vigneti è corredata da una cantina di altrettanta bellezza, con una superficie di oltre due mila metri quadrati, ricavati scavando all’interno degli strati di tufo depositati dal vulcano, è così che nasce l’habitat ideale dove custodire e affinare il prezioso Aglianico del Vulture. Una cantina funzionale dove le moderne attrezzature si affiancano a opere d’arte, come la monumentale scultura di Giacinto Cerone, artista originario di Melfi, che svetta all’ingresso. Un’opera che simboleggia la fecondità, un tributo alla grandezza dell’Aglianico. L’Aglianico del Vulture secondo Tenuta le Querce prima di giungere in bottiglia subisce un processo di selezione sempre dedito alla qualità, applicata sia in vigna che in cantina, ogni bottiglia racconta il proprio territorio sotto declinazioni differenti.

Cantina Tenuta  le Querce

Angelina è L’Aglianico del Vulture che porta il nome della figlia dei proprietari, già dai primi profumi si evidenzia una freschezza di base che si accompagna a una sinfonia scoppiettante di nuance floreali e fruttate. Al sorso il tannino scalpita, lasciando al palato un’impronta indelebile. La struttura tannica dell’Aglianico esprime un protagonismo innato. (Angelina annata 2015)

La degustazione continua con Viola, sempre annata 2015, nome dedicato al colore della ex etichetta dell’azienda Sasso di proprietà sempre della famiglia Pietrafesa. In questo vino la presenza del legno inizia ad addomesticare il tannino rendendolo più morbido al palato. I profumi si aprono su un ventaglio di spezie, tocchi di cannella e cioccolato amaro, il tutto condito da una persistenza imponente.

Il nostro viaggio alla scoperta dell’Aglianico del Vulture continua con Costanza, vino dedicato proprio a Costanza d’Altavilla, madre di Federico II di Svevia, imperatore a Melfi e a Lagapesole, dove durante il suo regno fece costruire due castelli. Le uve provengono da un singolo vigneto della Tenuta, già nel nome questo vino è un omaggio al territorio. Il suo colore rosso rubino è impenetrabile, compatto, e l’annata in degustazione è la 2015, troppo poco per svelarsi, ma sufficiente per rendersi conto del potenziale di crescita in bottiglia.

Con il penultimo assaggio l’azienda sfodera la sua punta di diamante, Vigna della Corona, anno 2009, che ha una resa bassissima, solo 25 quintali per ettaro. Già al primo sguardo si intuisce che lo scorrere di questi primi dieci anni d’affinamento regalano al vino un colore diverso rispetto ai precedenti. Qui il rosso rubino lascia intravedere sulle pareti del bicchiere un colore granato, che evidenzia il passaggio del tempo. Al naso si percepiscono i profumi minerali tipici del terreno in cui la vigna cresce, successivamente questi sentori di pietra focaia e zolfo, virano su note più complesse di frutta matura e profumi balsamici spiccati. Il tannino qui ha una trama più morbida, sfiorando il palato come se fosse una carezza di velluto. L’eleganza di questo vino impressiona e la longevità lascia percepire che fra altri dieci anni sarà possibile degustarlo in un ritrovato splendore.

Alla fine della degustazione Leonardo Pietrafesa ci stupisce regalandoci una sorpresa, che ha il gusto di una nuova scoperta enoica chiamata Tamurro Nero. Dietro questo nome si cela un vitigno coltivato sin da 1200 nel comune di Pietragalla e portato lì da un feudatario francese. La Tenuta le Querce conserva un solo vitigno di Tamurro, dal quale ricava poche bottiglie, vista la bassa resa per ettaro. Questo vino dalla longeva storicità si presenta al calice con un colore scuro e con una complessità di profumi che fa sobbalzare naso e palato in un ottovolante di sensazioni gusto olfattive differenti, conquistandoti al primo sorso.

Degustazione Aglianico del Vulture

Oggi la Basilicata gode di una ribalta mediatica, grazie anche a Matera, che illumina e mostra le bellezze artistiche ed enogastronomiche di una regione per troppo tempo rimasta nell’ombra. È il momento di far quadrato attorno alle potenzialità espresse da questa terra per esaltarne i prodotti e per valorizzarli fuori dai soliti confini territoriali.

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