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venerdì, Settembre 22, 2023
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Luca D’Attoma, l’enologo dei record

Una vendemmia dopo l’altra, un’annata e poi un’altra ancora e la carriera di Luca D’attoma, enologo tra i più importanti d’Italia, prende forma, proprio come i suoi vini, che solo lui riesce a plasmare senza spersonalizzarli, donandoli il carattere e i tratti distintivi tipici della terra da cui traggono origine. Uomo delle grandi sfide ama viaggiare controcorrente, queste caratteristiche traslate nel suo essere professionista gli permettono di realizzare vini unici, osando sia nell’utilizzo dei vitigni meno conosciuti, che per quanto riguarda le tecniche di affinamento, recuperando ad esempio l’anfora. Per fare tutto ciò come lui stesso dice: “Ci vuole rigore e apertura mentale”. Luca D’attoma sembra riuscire a vivere diverse vite restando sempre nella stessa, definito dalla stampa di settore “l’enologo dei riconoscimenti da record” è l’autore di importanti perle enologiche italiane come i vini della cantina “Le Macchiole”, di Tua Rita, Il Brunello di Montalcino Vignavecchia della tenuta San Polo, la cui annata 2015 ha ottenuto 100/100 da James Suckling. Luca è un uomo fuori dagli schemi, che spesso li ha voluti infrangere per guardare più lontano e prima degli altri proprio come fece negli anni ’90 sperimentando la viticoltura biologica in Italia. È riconosciuto come uno dei massimi esperti in materia, è particolarmente apprezzato per il suo approccio rigoroso e innovatore. Oltre all’intuizione del biologico, che oggi è una realtà consolidata in tutta Italia, D’Attoma prosegue facendo un ulteriore passo in avanti con la biodinamica, che utilizza a Duemani, la cantina sua e di sua moglie, Elena Celli, una realtà nata nel 2000 tra Riparbella e Castellina Marittima, in provincia di Pisa.

La figura dell’enologo si è modificata negli anni, oggi a che punto siamo del cambiamento?

Negli ultimi 10 anni la gestione delle aziende vinicole è cambiata radicalmente. Si è passati da un periodo in cui l’enologo era un semplice mescolatore di vini (come diceva Giacomo Tachis, padre del Rinascimento enologico italiano) ad una figura sempre più centrale che trascorre molto tempo tra i filari per imparare a capire i vitigni, studiarli e conoscerli a fondo. Interagisce con le persone che coltivano il vigneto per poi, alla fine dell’anno, tirare le somme e trovare le idee giuste per far crescere meglio le piante, renderle più performanti e indirizzare le uve per ottenere il vino immaginato. Sempre più spesso si sente dire che il vino si fa in vigna: una frase fatta dietro cui si cela un processo complesso che richiede grande attenzione nella gestione dei suoli. Per cui la figura dell’enologo è ormai determinante nella coltivazione, tanto quanto lo è in cantina. Per fare questo mestiere, ci vuole passione, attenzione, curiosità, voglia di innovare ma anche tanta esperienza che si può acquisire nel tempo, una vendemmia dopo l’altra.

Quando ha capito che il vino sarebbe stato il suo lavoro e la sua vita?

Quando ero bambino trascorrevo molto tempo in campagna. Mi piaceva osservare i contadini a lavoro, vederli vendemmiare e ancora di più assistere alla svinatura. Credo che tutto sia cominciato da lì.

Trent’anni di attività senza mai inseguire le mode nel mondo del vino, anzi è stato Lei a crearle, come ha fatto negli anni ’90 producendo in biologico. La sua è stata lungimiranza o altro?

Lungimiranza, sicuramente. Ho cominciato a consigliare la pratica della viticoltura biologica quando in Italia non era ancora nemmeno considerata. Mi guardavano come se fossi un alieno. A quei tempi mancava proprio la cultura globale del mangiare e del bere sano che oggi, per fortuna, si sta diffondendo. L’unica preoccupazione era produrre ricorrendo ovviamente alla chimica. Chi optava per il bio era considerato come uno che faceva a caso.

Oggi tutte le cantine puntano ad essere sostenibili e a lavorare in biologico, è una moda o c’è stato un vero cambio di passo?

 Entrambi. Se da un lato, infatti, per fortuna c’è stata una presa di coscienza generale rispetto all’importanza di essere più attenti e rispettosi all’ambiente, dall’altro, se oggi non parli di bio o sostenibilità non sei nel momento.

Il mondo è cambiato, il clima è cambiato e dunque anche il modo di coltivare la vigna. Anche se ci sono regioni più attaccate alla tradizione, in generale in Italia c’è molta attenzione per i metodi di coltivazione alternativi che sposano il biologico e la biodinamica. Buone pratiche che hanno un costo, talvolta superiore certo, ma che ripagano nel lungo periodo. Inoltre, l’uso delle tecnologie più avanzate ci aiuta a difendere le piante dalle malattie senza dover ricorrere alla chimica. Tra l’altro oggi nel bio si possono fare molte più cose rispetto agli anni ’90. Solo che a volte manca la volontà di approfondire, di sperimentare, rischiando così di perdere in qualità. Durante tante degustazioni alla cieca spesso capita di scoprire che i vini migliori sono quelli provenienti da un’agricoltura corretta perché dimostrano di essere più completi.

Qual è il vino a cui si sente particolarmente legato?

È impossibile rispondere a questa domanda: è come chiedere qual è il figlio a cui vuoi più bene.

Qual è l’attuale stato di salute delle cantine italiane a seguito della pandemia?

Il settore sta attraversando un momento difficile, tuttavia c’è una grande voglia di ripresa, un forte bisogno di uscire dal tunnel. Ci sono aziende che hanno perso poco, ma c’è chi ha ridotto del 30 o addirittura del 50% il suo fatturato. Ci vorrà tempo per riprendersi. Sono certo che la ripartenza sarà travolgente, sull’onda dell’entusiasmo. Il problema però è vedere cosa accadrà nel lungo periodo. La scorsa estate c’è stato un boom dovuto proprio alla voglia della gente di ricominciare a vivere. Ora però abbiamo un anno di crisi in più alle spalle e, anche se il desiderio di ripartire è forte, bisogna vedere se ci sono le risorse economiche per incrementare i consumi più velocemente possibile. Probabilmente bisognerà aspettare il 2022 per rimetterci un po’ in carreggiata.

Nel 2000 decide di realizzare una cantina tutta sua, la “Duemani”, come mai questa scelta?

Il progetto è nato dall’idea di fare con Elena Celli qualcosa insieme, da qui il nome Duemani. Oltre alla mia passione per il vino, a spingermi è stata la voglia di fare un’esperienza nuova con lo scopo di arricchirmi sia personalmente che come professionista. Siamo partiti subito con la biodinamica perché mi piacciano le innovazioni, migliorarmi per crescere e dare di più.

Sua moglie, Elena Celli, lavora nella vostra cantina, il vino è sempre stato una passione di entrambi? 

Io ed Elena siamo entrambi il braccio e la mente di Duemani, ognuno nel proprio ruolo. Lei si occupa della parte commerciale, gestionale e finanziaria, io della parte produttiva e di ideare nuovi vini. Un’esperienza che ci appassiona e ci regala grandi soddisfazioni.

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