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giovedì, Marzo 28, 2024
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Matteo Zappile:« Il sommelier non deve fare scelte talebane sul vino»

Giacca e cravatta, carisma e tanta gavetta queste sono le caratteristiche di Matteo Zappile, oggi restaurant manager del ristorante due stelle Michelin di Roma, Il Pagliaccio. Una carriera partita in giovanissima età, quando ancora quattordicenne decide di lasciare il suo paesino in provincia di Salerno alla volta di Cortina all’Hotel Bellevue, di qui in poi la sua carriera intraprende un volo che lo porterà sia in Italia che all’estero. Colleziona nel giro di pochi anni riconoscimenti importanti, che gli permettono di raggiungere l’Olimpo della sommellerie italiana, nel 2014 è il Miglior Sommelier attento alle Birre per il Gambero Rosso, L’Espresso lo consacra Miglior Sommelier d’Italia nel 2017. Nel 2010 alla chiamata dello chef Anthony Genovese risponde si e approda al Pagliaccio, dove con coraggio e determinazione stravolge la carta dei vini e modifica il servizio, rendendolo più snello e moderno. Matteo Zappile affina la sua propensione alle bollicine ma non disdegna sakè e caffè diventandone un esperto degustatore. “Roma caput mundi” per Matteo, che ha fatto della Capitale il centro della sua vita e della sua professione, riuscendo a imporsi tra i migliori professionisti del settore.

Matteo, hai già ottenuto tanto in termini professionali, cosa ti aspetti ancora?

Non sono uno che si accontenta facilmente, ma ricevere la terza stella Michelin sarebbe la ciliegina sulla torta, per ripagare gli sforzi e i sacrifici condivisi con lo chef Genovese. Sono orgoglioso dei risultati ottenuti, oggi sono il restaurant manager del Pagliaccio e questo comporta sia curare ogni aspetto riguardante gli acquisti che supervisionare il personale di sala. Questo è il lavoro che mi sono scelto e che amo.

Come vi state organizzando per la riapertura del ristorante il Pagliaccio?

Il ristorante riaprirà a giugno, mantenendo i nostri dieci tavoli e in più ne avremo uno solo da sei posti nella nostra chiostrina esterna. In questi difficili mesi di pandemia Il Pagliaccio ha realizzato una proposta più snella e più adattata per il delivery ed è così che è nato “Turnè”. Il 5 maggio abbiamo inaugurato la formula “Turnè on the road”, piatti fusion dai gyoza alle alette di pollo, con prezzi che spaziano dagli otto ai quindici euro, da servire nel nuovo dehor esterno al ristorante di via dei Banchi Vecchi, con la possibilità di avere quindici posti a sedere. Turnè sarà aperto dal mercoledì alla domenica in orario continuato dalle 12.00 alle 21.00, per il prossimo autunno ci sarà una novità Turnè avrà uno spazio fisico tutto suo, stiamo visionando il locale più adatto tra il quartiere Prati o l’Aventino.

Essere sommelier oggi cosa significa?

In Italia la figura del responsabile delle bevande non ha la stessa valenza rispetto agli Usa o all’Inghilterra, nonostante la cultura sul vino sia aumentata è facile trovarsi di fronte a due tipi di persone: chi si sente un fenomeno o chi è ancora alle prime armi. Noto in giro una certa presunzione sull’argomento, le carte dei vini hanno subito un miglioramento a livello qualitativo, ma si fa ancora troppa fatica a individuare professionisti che hanno una visione a 360 gradi. Il problema è che si investe troppo poco sul sommelier, delegando spesso a consulenti esterni al ristorante la stesura della carta, solo quando si comprende l’importanza di questa figura allora si è pronti a investirci. Noi siamo sei al ristorante e tre di noi si occupano del vino. Oggi chi dice che il vino è un prodotto naturale dice una sciocchezza, perché c’è tanto della soggettività del produttore, che gli conferisce il proprio stile, infatti, può capitare dallo stesso territorio di avere vini dallo stile differente. Una buona carta dei vini deve tener conto del target della clientela, del tipo di cucina del locale, delle scelte del sommelier, non si possono avere solo vini biodinamici o solo vini blasonati. Il sommelier è una persona curiosa e non deve  essere talebano nelle scelte.

L’intesa tra Sala e cucina è fondamentale per il successo di un ristorante, qual è il segreto della sintonia che lega te allo chef Genovese?

Tra me e Genovese è un vero e proprio matrimonio di fatto sin dal 2010, con il mio arrivo ho stravolto la carta dei vini e dal 2018 ho eliminato le tovaglie sui tavoli, ho tolto la cravatta al personale in sala ed ho assunto due ragazze nello staff di sala, la presenza femminile in questo lavoro la ritengo essenziale. Tra me e lo chef c’è un confronto continuo, lavoriamo in sinergia è come se facessimo una staffetta, dove il nostro passaggio di testimone è arrivare al cliente. Su Roma siamo gli unici che hanno una degustazione a sorpresa, è possibile scegliere tra 4 proposte: Pranzo (4 portate), Circus (10 portate), Orme (I classici dello Chef), Vegetariano.  La parte del vino è essenziale perché dopo aver scommesso sui piatti tocca al vino, al calice abbiamo due percorsi di tre o sei bicchieri, ma abbiamo anche i sakè e i cocktail.

La pandemia ha messo a dura prova il mondo della ristorazione, quali sono le ripercussioni che un ristorante del vostro livello ha subito a causa del Covid?

In realtà non abbiamo modificato la proposta e non abbiamo abbassato i prezzi, nel Lazio siamo rimasti gialli per parecchio tempo e quando a pranzo potevamo essere aperti eravamo sempre pieni. Il personale è rimasto sempre lo stesso, riducendo gli orari nessuno è stato licenziato. Io sono d’origine campana mentre lo chef è calabrese quindi siamo duri a morire.

Quali vini consiglieresti per i seguenti ospiti: colleghi a un pranzo di lavoro, una cena romantica per una  coppia, un aperitivo tra amici?

Per i colleghi un piccolo vigneron della Champagne, per la coppia d’innamorati punterei su un ottimo Etna Rosso e per l’aperitivo tra amici uno dei nostri cocktail a base di sakè, come l’ultimo appena inserito in carta l’ SS21.

La formazione è importante?

È uno degli aspetti che più apprezzo del mio lavoro, ad oggi faccio parte del consiglio direttivo di “Noi di Sala” e seguo un progetto che mi appassiona molto, “La Confraternita del Bere Bene”.

Cosa ti manca della tua terra d’origine?

Le mozzarelle, scherzi a parte la cosa che più mi manca è la mia famiglia ma qui a Roma ho trovato tutto quello che stavo cercando. Sono arrivato nella Capitale proprio per Il Pagliaccio, dove ho trovato il posto ideale per plasmare il servizio nella maniera che meglio credevo, mi arrabbio ancora tanto sul lavoro e questo credo sia un bene, professionalmente parlando non mi manca nulla.

Fra dieci anni come ti vedi?

Fra dieci anni mi vedo con tanti progetti da realizzare e tanti già realizzati sempre nel mondo del vino.

Cosa rappresenta il vino nella tua vita?

Ha rappresentato una grandissima scommessa, un’opportunità che mi ha permesso di raggiungere traguardi importanti.

 

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