Metti un Professore, uno Chef e il Valore identitario della Pasta italiana nel Mondo

Cucina e vino di qualità; tutela e valorizzazione dei prodotti a denominazione protetta e controllatacontrasto al fenomeno dell’Italian sounding; promozione degli itinerari enogastronomici e turistici regionali; attenzione alla formazione nel settore alberghiero per sviluppare collaborazioni di lungo periodo tra cuochi; sostegno alle candidature dell’arte dei pizzaiuoli napoletani e de “le Colline del Prosecco a Valdobbiadene” a patrimonio UNESCO; sostegno alle produzioni tipiche delle Regioni colpite dal terremoto: sono stati questi gli assi portanti della seconda edizione della  Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. 

Dal 20 al 29 novembre 2017 hanno infatti avuto luogo una miriade di piccoli e grandi eventi in oltre 100 paesi del mondo; occasioni che rafforzano uno scenario particolarmente favorevole per l’Italia, basti pensare che l’export agroalimentare italiano si avvicina ai 40 miliardi di euro, sui 132 complessivi, con una crescita media del settore che, negli ultimi dieci anni, è stata del 7% annuo. In questo contesto il ruolo degli chef diventa determinante perché, come ha ricordato Andrea Olivero del MIPAAF, “dietro un piatto e un prodotto c’è un territorio e un metodo di produzione, ma anche lo stile di vita che il nostro cibo sottende, per un’Italia vista non solo come paese del bello, ma anche come paese del bello condiviso”.

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Sulla scia di “Cucina, Prodotto ed Identità italiana“, vogliamo dunque raccontarvi un evento tenutosi a Izmir (Turchia) il passato lunedì 20 novembre presso la Izmir University of Economics – che tra i suoi corsi ne ha uno simile a quello di Scienze e Culture Enogastronomiche dell’Università di Roma Tre – e che ha visto protagonisti lo Chef Eugenio Boer, alle prese con una preparazione di una carbonara tradizionale ed una sua rivisitazione, la Pasta Pastificio dei Campi di Giuseppe Di Martino, anche lui presente a Izmir, e il Prof. Fabio Bruni del Dipartimento di Scienze dell’ Università di Roma Tre, che ha inoltre tenuto il talk “The Kitchen as a Physics Laboratory”, e al quale, al suo ritorno, abbiamo fatto una manciata di domande sul legame CUCINA-SCIENZA. Leggiamo cosa ci ha risposto.

Cosa ci fa un professore di Scienze a Izmir a parlare di cucina italiana?

In realtà è stata un’idea del Console Italiano a Izmir, Dr. Luigi Iannuzzi. Per la settimana della cucina italiana ha pensato di organizzare un evento composto da una mia lezione presso l’Università Ekonomi di Izmir, che da poco ha aperto un corso di laurea simile al nostro Scienze e Culture EnoGastronomiche (Università degli Studi Roma Tre), un workshop per gli studenti e una cena di gala presso un prestigioso hotel di Izmir.

Mentre il mio compito era chiaro, discutere con gli studenti gli aspetti scientifici, ed in particolare i principi fisici dietro la trasformazione dei cibi, cioè il cucinare, meno chiaro era su come e su cosa organizzare il workshop e quale Chef coinvolgere per la cena.

Come è nata l’idea di questa collaborazione?

Partendo da questa idea, mi sono rivolto all’Associazione Ambasciatori del Gusto per trovare uno Chef disponibile a venire a Izmir. Eugenio Boer si è mostrato disponibile, ed insieme a lui abbiamo pensato di dedicare il workshop alla pasta e alla preparazione di una ricetta in due versioni: la carbonara “classica” e la carbonara “Smile”. Abbiamo quindi coinvolto il Sig. Giuseppe di Martino (Pastificio dei Campi, pastificio Di Martino, Pastificio Amato,…) che a sua volta si è mostrato non solo interessato, ma ha fornito la pasta per l’evento, ed è anche stato presente per tutta la durata di questo. Durante la fase organizzativa, ci è venuto in mente che gli studenti del’Università Ekonomi di Izmir potessero essere anche interessati ad un argomento legato al marketing. Abbiamo quindi pensato di inserire un talk sulla comunicazione del cibo nell’era digitale, argomento presentato da Federica Ilaria Fornaciari (vedi locandina evento). Federica, oltre ad essere compagna di Eugenio Boer, è una expert of the field in comunicazione digitale e internazionalizzazione, ad oggi Chief Digital Officer di Young & Rubicam, agenzia storicamente “food”.

Devo aggiungere che segno tangibile della buona riuscita dell’evento, oltre all’apprezzamento da parte degli studenti, sono state le molte idee che ci sono venute riguardo futuri progetti, discutendo con Eugenio, Federica, il Console Iannuzzi e i docenti dell’Università di Izmir, tutte approvate dal Sig. Di Martino.

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“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, semplicemente noto come L’Artusi,  è un manuale di cucina scritto con ironia e sapienza nel 1891 dal gastronomo Pellegrino Artusi. Qui la domanda viene spontanea: la cucina è definibile “scienza”?

A quanto mi risulta, nel famoso libro dell’Artusi non compare nessuna equazione e non viene descritto nessun concetto scientifico. Probabilmente abbiamo in mente diverse definizioni di cosa vuol dire “Scienza”, ma il linguaggio di questa à basato sulla matematica, sulla capacità di fare previsioni quantitative, sulla ripetibilità di un’osservazione o esperimento. Prendo a caso una frase dal libro:

“…Il midollo serve a renderli più teneri (i passatelli), e non è necessario scioglierlo al fuoco; basta stracciarlo e disfarlo con la lama di un coltello. Impastate ogni cosa insieme per formare un pane piuttosto sodo, ma lasciate addietro alquanto pan grattato per aggiungerlo dopo, se occorre.”

Leggendo questo brano, ci si domanda a quale temperatura deve essere portato il midollo per scioglierlo? Quanto grandi devono essere i frammenti di midollo? Cosa significa “piuttosto sodo”? Quanto pane grattato mi occorre? Altri trattati tradizionali di cucina, sono pieni di frasi tipo: “Cuocere quanto basta”: ma quanto basta?

È a questo tipo di domande che la scienza prova a dare una risposta. Comprendere, ad esempio, come funziona il processi di diffusione del calore all’interno di un cibo, capire cosa si intende con elasticità di un impasto, avere la consapevolezza che il cibo è fatto di molecole e che cucinare vuol dire cambiare la loro conformazione e modificare le interazioni tra queste, apre tutto un altro scenario che inevitabilmente porta ad un maggior grado di comprensione di quello che facciamo quando stiamo in cucina. Prendendo in prestito una frase di un mo collega, A. Varlamov, direi che ci stiamo trasformando da Homo Erectus a Cuoco Sapiens.

Quanta scienza c’è in cucina?

Ogni ricetta di cucina in realtà può essere letta in termini di numero di molecole di un dato alimento che interagiscono con un numero di molecole di un altro alimento. Descrivere questi processi è proprio della scienza, ed in particolare della fisica e della chimica che descrivono la conformazione, le interazioni tra molecole e come queste cambiano in risposta a variazioni di temperatura, pressione, acidità. Oltre a questo, nuove tecniche di cottura o preparazioni e nuove attrezzature sono state realizzate grazie alla conoscenza dei principi alle base delle trasformazioni di fase del cibo inteso come complessa rete di molecole interagenti tra loro. La sferificazione, la cottura Sous Vide, l’utilizzo del RotoVap sono solo alcuni esempi di innovazioni basate sulla scienza in cucina.

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Un cuoco, per quanto consapevole o inconsapevole, è comunque sempre uno scienziato? E quanto dovrebbe averne specifica nozione?

Non sono uno chef e non ho la pretesa di insegnare ad altri un mestiere che non conosco. Da quello che so, basato sulla conoscenza personale di veri Chef, posso affermare che la loro cucina è un vero e proprio laboratorio di fisica e chimica. Si prova e si riprova una particolare ricetta allo stesso modo in cui si prova e si riprova un esperimento, si annotano i vari passi, si segue un metodo ed eventualmente  si ritorna indietro ai vari passaggi per migliorare il risultato di una ricetta. C’è molto del metodo scientifico nel percorso che porta alla riuscita di un piatto. Inoltre, è necessaria una buona dose di creatività e curiosità, ma anche questo accomuna scienziati e chef.

D’altro canto, anche al cuoco o la cuoca “amatoriale”, che magari segue l’istinto, le abitudini o le tradizioni di famiglia, nella preparazione di un piatto piacerebbe sapere perché qualche volta la ricetta non funziona, perché la maionese impazzisce, o perché il risotto non è venuto bene. Forse esagero, ma l’approccio scientifico alla cucina porta ad una “rivoluzione” per alcuni tratti simile a quella causata dalla stampa dei libri. Non più qualcosa ad uso e consumo di pochi sapienti, ma disponibile a tutti; non più “faccio così perché ho sempre fatto così”, ma “faccio così perché so cosa sto facendo”.

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