È un’azienda nuova San Giovenale, sorge nell’alto Lazio, vicino Viterbo, a due passi da Blera e da Barbarano Romano. Zona di tufo, tombe etrusche e cinghiali e, da qualche tempo, di grenache, syrah e carignan, vitigni di un Rodano riproposto in terra laziale. Questo il blend di Habemus, unico vino dell’azienda condotta da Emanuele Pangrazi con l’aiuto dell’enologo Marco Casolanetti, produttore già del Kurni, potente montepulciano marchigiano. E la sua mano si sente in questo neonato buono e potente. L’azienda agricola è biologica certificata e si prefigge come obiettivo primario la salvaguardia del territorio. Così in vigna si lavora esclusivamente con acque sorgive e prodotti vegetali per la salute delle piante. Anche la cantina è stata messa a punto secondo i dettami della sostenibilità. Tetti giardino, pareti e coperture ventilate e un sistema di controllo della temperatura innovativo senza l’uso di combustibile fossile ma attraverso captazione di calore geotermico permettono un’importante risparmio e conservazione dell’energia.

I vigneti, 7 ettari in produzione e 7000 bottiglie, presentano un impianto ad alberello mentre la densità è di 11.000 ceppi per ettaro con una resa di 25 quintali. Questo per quanto riguarda la produzione a bacca rossa. In cantiere infatti – il vino sarà pronto non prima del 2019 – c’è anche un vigneto sperimentale con varietà a bacca bianca, anch’esse provenienti dal Rodano, con una straordinaria densità di impianto di ben 43.000 ceppi per ettaro. Il risultato di questo importante investimento è una cantina di design di straordinaria bellezza, con macchinari innovativi e splendide vetrate che si affacciano sulla campagna e la rendono luogo di lavoro ma anche accogliente scenario per eventi di ogni genere. Il risultato delle vigne è invece un vino profondo e corposo che conferma un nuovo trend dei vini laziali, sempre più orientati verso piacevolezza e qualità prima non così spiccate. sangiovenale.it

di Livia Belardelli