Francesco Saverio Russo, su Instagram è Italianwinelover e la sua community conta più di settantuno mila follower, si racconta raramente perché preferisce far parlare i produttori di vino. Ama parlare di vino partendo dal territorio d’appartenenza e non smetterà mai di ringraziare tutti quelli che gli hanno permesso di trasformare la sua passione in un lavoro. Ogni giorno macina chilometri in auto, la sua vita sociale è inesistente ma non la cambierebbe mai con nessun’altra.
Parli raramente della tua vita privata, ci racconti com’è nato il tuo progetto enoico?
Ho sempre preferito tenere ben distinte vita privata e vita professionale ma con il lavoro che faccio è difficile non sovrapporle. Il mio percorso enoico nasce proprio contestualmente a varie vicissitudini personali, che mi hanno portato ad una scelta tanto dura quanto azzeccata. Con solo 300 euro in tasca decisi di lasciare la mia terra per mettermi totalmente in gioco in Toscana. Qui ho approfondito la mia passione per il vino, qui oggi ho il mio ufficio e la mia cantina personale. Purtroppo non riesco a chiamare la mia abitazione in Toscana “casa”, perché le mie radici restano e saranno sempre marchigiane. All’inizio girare per vigne e cantine e degustare i vini dei produttori che mi ritrovavo a incontrare non era un lavoro, in quanto ho investito anni, denaro e pazienza, cercando di apprendere il più possibile prima di sentirmi all’altezza di farlo diventare una professione. Oggi mi ritrovo a essere un comunicatore indipendente, selezionatore, co-curatore di eventi nazionali come l’Only Wine Festival, consulente per carte vini e progetti inerenti alla realizzazione di prodotti in campo enoico. Pochi giorni fa è stata lanciata la prima linea di calici soffiati a bocca progettata e firmata da me in collaborazione con Vdglass. L’idea di non scendere mai a compromessi e di non accettare mai compensi dalle cantine è ciò che ha contraddistinto il mio percorso. Oggi sono fiero di poter vivere di vino.
Ti definiscono uno tra gli influencer italiani più seguiti, per te cos’è essere influencer?
Se per wine influencer si intende condividere in modo sincero e indipendente, senza azioni di marketing, il proprio pensiero su cantine, vini o temi enoici di vario genere, trasmettendo fiducia nel lettore, che decide di acquistare quei vini o di visitare quella determinata realtà, allora non disdegnerei di far parte di questa categoria. A causa della deriva verso il marketing che il mondo dei social ha preso negli ultimi anni, con l’avvento di Instagram, il mondo degli influencer, anche in campo enoico, ha acquisito valenze e accezioni che non mi competono e non mi piacciono affatto. Credo sia fondamentale distinguere la comunicazione di stampo giornalistico da quella dei marketer, ma ho la percezione che a qualcuno convenga mettere tutti dentro uno stesso calderone, alimentando ancor di più questa situazione di caos che non permette al ricettore del messaggio di rendersi pienamente conto dell’autenticità del contenuto e dell’onestà intellettuale di chi lo veicola. Etica e deontologia professionale sono, purtroppo, valori sempre più anacronistici ma io continuo a perpetrarli, per rispetto dei miei lettori e delle cantine che recensisco.
Il tuo continuo viaggiare per cantine oggi è il tuo lavoro, ti fa rabbia chi lo mette in dubbio?
Si, da 16 anni giro per vigne e cantine raccontando ogni mio passo e ogni vino degustato, solo da 6 anni ho deciso ed ho potuto abbandonare un’attività parallela, che mi permetteva di portare avanti il mio progetto senza dover chiedere nulla a nessuno e con il solo supporto di alcuni sponsor tecnici, mai produttori di vino vado avanti. Comprendo benissimo quanto dall’esterno la mia vita sia percepibile come quella di un ragazzo che da anni può viaggiare in lungo e in largo per l’Italia del vino, conoscendo realtà non sempre di facile accesso, assaggiando ottimi vini, dormendo in contesti, spesso, di grande fascino e mangiando nella maggior parte dei casi in ristoranti o in cantine che raramente deludono le aspettative. Eppure, c’è un’altra faccia della medaglia: quella che mi vede per il 50% del tempo seduto in un auto, che mi impedisce di avere una vita sociale “normale”, che non prevede orari e, lockdown a parte, non contempla giorni di pausa o momenti di stacco totale. Detto questo, continuerò sempre a considerarmi un privilegiato perché non cambierei mai questa vita e questo lavoro, che mi sono letteralmente cucito addosso. Il vino è la mia vita e, forse, quando uscirà il mio libro in molti capiranno perché l’ho spesso definitivo salvifico per me.
Come puoi definire il tuo stile comunicativo?
Credo che l’aver focalizzato l’attenzione sulla vigna e su un racconto più approfondito, che accompagni il lettore dal territorio all’assaggio finale, passando per la storia e la filosofia di ogni singolo produttore sia stata la scelta più opportuna. Lo credo perché, ancora oggi, i miei contenuti sono percepiti come riconoscibili. Credo ancora molto nella narrazione e per questo non ho accantonato il mio wine blog, anzi, continuo ad alimentarlo e ad usare i social come cassa di risonanza per i contenuti più lunghi ed approfonditi che pubblico su wineblogroll.com. Se dovessi definire in un solo termine il mio approccio comunicativo lo definirei “indipendente”.
È cambiata la tua comunicazione post Covid?
Durante il lockdown mentre in molti affollavamo i social con le dirette, io ho preferito dare la centralità della narrazione alle vigne e ai produttori come ho sempre fatto, cercando di veicolare il materiale che sono riuscito a raccogliere seppur a distanza. Molti produttori hanno scoperto la comunicazione sul web e sui social, attivando canali di vendita online fino a quel momento inesplorati e di fare rete. La situazione non è semplice ma la vigna ci insegna che nonostante gli accadimenti più nefasti si può e si deve andare avanti.
Qual è l’umore che percepisci dai produttori di vino in questa fase particolare per il nostro Paese?
L’umore che ho percepito negli ultimi mesi è stato sicuramente negativo ed è dipeso, inizialmente, dalla paura degli effetti dell’emergenza sanitaria sulle vendite nel segmento ho.re.ca. e sui mercati esteri che hanno manifestato una crisi mai vissuta prima d’ora. Eppure, più ci si avvicinava alla vendemmia più ci si rendeva conto di quanto per il vignaiolo e più in generale il produttore di vino che gestisce l’intera filiera della propria realtà il piangersi addosso non è contemplato tra i propri stadi d’animo. Più che rassegnazione e paura ho percepito rabbia e dissenso nei confronti di certe dinamiche politico-burocratiche che hanno privilegiato le grandi realtà e lasciato alla propria sorte le piccole. Un altro tema caldo è quello della carenza di manodopera che in epoca di vendemmia si è manifestata con grande evidenza. Tutti fattori che, uniti alla sottesa incertezza nei confronti delle evoluzioni o involuzioni dell’emergenza sanitaria e, quindi, della crisi economica globale, rendono l’umore dei produttori altalenante. Devo ammettere, però, che la positività, la tenacia e la caparbietà di molti vignaioli sono encomiabili e sono certo che questa forza d’animo permetterà all’Italia del vino di superare anche questo duro periodo.
Qual è il vino che ti ha maggiormente colpito?
Assaggio migliaia di vini l’anno e ho avuto la fortuna e l’onore di degustare e bere alcuni dei più importanti vini al mondo eppure non saprei e non potrei mai stilare una classifica o un indice di gradimento. Posso, altresì, dirti cosa cerco di più in un vino, ovvero la capacità di stupirmi senza “effetti speciali” e questo capita rare volte. Quando mi chiedono dei vini ai quali sono più legato cito sempre le due denominazioni che hanno segnato il mio percorso di vita e di vino: il Verdicchio e il Brunello di Montalcino, in quanto rappresentanti delle mie origini e della prima vera tappa del mio cammino enoico.
Quali consigli daresti a chi vorrebbe produrre vino?
Di partire dalla vigna e dal territorio e di non seguire mode passeggere o stereotipi enoici destinati a non durare e perdurare. Consiglio di valorizzare il proprio lavoro e la propria identità attraverso una comunicazione sincera che non deve necessariamente passare attraverso dei tramiti e può benissimo essere condotta in prima persona dai vignaioli stessi in maniera ancor più diretta e spontanea.
Dove ti vedi fra dieci anni?
Ancora in giro per vigne e cantine a cercare nuove realtà e ad approfondire la conoscenza di territori, varietali e vini che ho avuto modo di conoscere in questi anni di incessante girovagar enoico. Poi più avanti si vedrà, magari riuscirò a realizzare il mio sogno di potermi dedicare alla vigna e al vino dall’interno.
Mi indicheresti cinque territori italiani che meritano una visita?
I Colli Orientali del Friuli e le sue sottozone, Il Monferrato Astigiano e, in particolare, l’areale del Ruchè di Castagnole Monferrato del quale sono stato recentemente nominato ambasciatore, La Val di Cembra con i suoi splendidi vigneti e gli oltre 700 Km di muretti a secco, L’Alto Piemonte con il suo “arcipelago” di straordinarie denominazioni, I Campi Flegrei e i suoi vigneti vulcanici tra terra e mare.