Stefano Berti nel 1986 decise di compiere un’impresa quella di dar vita a una cantina, che porta il suo nome. Un’identificazione che la rende sua, solo sua, perché da 34 anni è lui che le dà vita. Il 1986 è anche l’anno in cui Stefano sposa la moglie Renata, la vita gli scorre a ritmo impetuoso e sembra facile dominarla, così oltre al vino inizia a produrre frutta, olive, ma l’entusiasmo iniziale subisce una frenata. La troppa inesperienza e la mole di lavoro elevata lo spingono a dedicarsi esclusivamente alla vigna. La moglie decide di intraprendere la strada dell’insegnamento, restandogli sempre accanto per seguirlo nelle questioni burocratiche del lavoro in cantina. Stefano con una sincerità disarmante, spesso inconsueta da trovare, riconosce che i suoi limiti hanno impedito alla cantina di compiere quello scatto evolutivo che avrebbe meritato. Consapevolezza, umiltà e realismo sono le caratteristiche di Stefano che si riflettono nei suoi vini, prodotti da una terra, quella della Romagna, che riesce a conferire al vino la schiettezza di un territorio che ha imboccato la strada della qualità. Stefano è il presidente dell’associazione Terre di Predappio, che cerca di promuovere il Sangiovese di Romagna oltre i propri confini regionali. I suoi sei ettari sono collocati a Ravaldino in Monte, nelle colline forlivesi e sono in conversione biologica da questa annata.
Nel 2000 la scelta di trasferirti in campagna per produrre vino, a vent’anni da questa decisione che bilancio fai?
Se devo fare un bilancio per quanto riguarda la qualità dei vini ne sono molto soddisfatto, mentre per l’andamento dell’azienda no, perché non ho ottenuto gli obiettivi che mi ero prefissato. Dopo vent’anni di lavoro non ho raggiunto un livello economico adeguato nonostante la qualità dei miei vini. È mancata una visione strategica che facesse fare quel salto che l’azienda avrebbe meritato. Forse sono rimasto il “vignaiolo garagista” così come mi definì la prima volta la guida del Gambero Rosso.
Da chi è dipeso questo mancato salto?
All’inizio produrre vino mi sembrava una passeggiata, all’epoca si riusciva a vendere con molta più facilità, ricordo che il mio primo anno al Vinitaly fu tanto proficuo, presentai l’annata 2001, che fu pazzesca. La 2002 fu un anno carico di pioggia e la 2003 un’annata troppo secca, che mi riportarono alla dura realtà. Non sono riuscito a reagire, come avrei dovuto, per trovare una giusta soluzione. Mi sarebbe piaciuto far crescere la mia azienda, la questione è che qui ci sono sempre e solo io con l’aggravio del tempo che passa. Sicuramente la faccenda non è di certo chiusa, considerando anche che la produzione vinicola sulla collina è sempre più faticosa, ma regala dei frutti decisamente migliori. Se osservo le realtà agricole circostanti alla mia non penso che saranno rilevate dalle nuove generazioni, oggi i ragazzi preferiscono vedere il fatturato, che gli permetta di vivere con una certa stabilità.
Come mai in Romagna ti chiamano il “maestro”?
Il nome maestro mi venne dato per gioco da un mio amico, un produttore di Lambrusco, che spesso mi chiedeva consigli su come produrre un vino fermo e per scherzare mi chiamava “maestro”. Ovviamente io non mi reputo un maestro neppure per me stesso, anche se ci ritrovo un aspetto di riconoscimento, forse, per aver iniziato prima degli altri a convertire i vini di questa zona verso la qualità.
Tu con altri produttori illuminati siete riusciti a restituire al Sangiovese di Romagna un nuovo valore, il percorso si può ritenere concluso?
C’è ancora tanto da fare, mi rincuora l’arrivo di nuovi giovani produttori pronti a seguire la strada della qualità, puntando sull’identità territoriale, ci vorranno ancora anni per vedere concluso questo percorso, spero di poterci essere per osservarlo. Lo sbaglio iniziale fu quello di aver snaturato il Sangiovese per venderlo all’estero, io non ho mai contribuito a produrre vini, come si chiamavano all’epoca, da concorso, buoni solo al primo sorso. Il protocollo usato prima non lo si rinnega ma dal punto di vista della qualità la Romagna nasce da poco. I miei vini sono tutti dei Sangiovese in purezza, l’unico rimpianto che ho è quello di non essermi mai concentrato su un unico “Cru” per produrre vini solo da una vigna, ci vogliono anche le “palle” per farlo e vigneti vocati. Io sono partito come conferitore d’uva, poi, anche con un po’ di vergogna, lo devo ammettere, ho fatto assaggiare a un enologo le mie basi e mi disse che c’erano i presupposti per realizzare ottimi vini. Il percorso sulla riscoperta dell’identità del Sangiovese sarà lungo ma darà degli ottimi risultati.
L’annata 2020 com’è stata?
Abbiamo avuto un’uva eccellente nonostante l’anno orribile che stiamo attraversando, spero che la 2020 non sia ricordata solo per il Covid. A livello personale è stata una gara ad ostacoli più del solito, abbiamo lavorato con calma in vigna, vendendo meno, la vigna sa donarti tanto facendoti dimenticare le fatiche fisiche.
Il Covid ha determinato ripercussioni per la tua attività?
Il Covid ha colpito duro soprattutto a chi come me è presente in Horeca, mancando le vendite nella ristorazione la situazione è complicata. Tutti parlano dell’online ma è difficile che becchi Stefano Berti in rete, ho fatto delle consegne un po’ in giro ma ho avuto una bella batosta c’è poco da dire e ora siamo di nuovo sotto botta e sarà così fino al prossimo anno. Dobbiamo navigare a vista, l’annata 2020 è già ricca di spese e non saprò quando riuscirò a vendere le bottiglie prodotte. Faccio fatica a trovare soluzione a questa situazione e questo sarà anche un mio limite.
Che futuro immagina per il vino italiano?
Mi auguro che in futuro il paese Italia possa presentarsi fuori in modo più unitario, oggi risulta ancora troppo frammentato. Sono ottimista fino a quando ci saranno produttori che vorranno intraprendere questa strada aldilà delle difficoltà.
Degustazione
Calisto Romagna Doc Sangiovese Predappio Riserva 2016 ha ricevuto i tre bicchieri dal Gambero Rosso questo riconoscimento è un’ulteriore conferma della sofisticata qualità presente in questa bottiglia. Stefano compie già in vigna una selezione dei grappoli migliori da destinare alla riserva, che nel suo processo evolutivo compie un anno in tonneau da 500 litri. Colore rosso rubino brillante dai profumi intensi di frutta matura come visciole e amarena. I toni speziati e i sentori di sottobosco inebriano l’olfatto, ipotizzando un ottimo sorso, che infatti conferma le aspettative
Bartimeo Romagna Doc Sangiovese 2019 Un vino più semplice rispetto al precedente che compie un affinamento solo in acciaio, ma non è di certo un “vinello” tanto che l’annata 2016 ha ottenuto i tre bicchieri dal Gambero Rosso. Vivace sia nel colore che nei profumi di frutti rossi, sorso dinamico e intenso dalla buona freschezza.
Ravaldo Romagna doc Sangiovese Predappio 2018 E’ il vino che mettere tutti d’accordo per la beva facile e la buona struttura, riuscendo a regalare note speziate che si intersecano a profumi più fruttati.
Rossetto vino frizzante rosato Nasce dall’aggiunta di mosto, nel mese di marzo, nella base dell’altro rosato della cantina, il Cipria, che rifermentando in bottiglia dà vita a questo vino così particolare. ll sorso lascia un segno indelebile nella memoria, distinguendosi dagli altri per l’unicità dei profumi e della struttura.