Piero Pompili: “Chiudo il ristorante oggi per sopravvivere domani”

Piero Pompili è il restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna, un locale che negli anni si è guadagnato la fama di riuscire a portare nei piatti i sapori e le tradizioni della cucina bolognese. La professionalità della sala e la bravura della cucina hanno permesso Al Cambio di diventare un punto di riferimento per la città. Piero Pompili, in accordo con la proprietà, ha preso la decisione, di certo sofferta, di chiudere il ristorante, nell’attesa che la situazione pandemica migliori e che ci sia la possibilità di ritornare a lavorare sia a pranzo che a cena. Schietto, diretto e con una visione chiara del futuro Piero Pompili ci racconta la sua visione di ristorazione e delle prospettive possibili da mettere in campo per un nuovo rinascimento gastronomico.
Avete deciso di chiudere il ristorante, come mai questa scelta?

Ho preso questa decisione in accordo con la proprietà guardando e valutando i numeri. Abbiamo messo sulla bilancia ogni singolo centesimo che avremmo dovuto spendere per restare aperti e alla fine abbiamo deciso di metterci in panchina e aspettare momenti migliori, valutando anche quello che succedeva in Europa. Riaprire un ristorante esige dei costi e non averlo riaperto si è rilevata una scelta azzeccata. Per com’è strutturata la nostra azienda è più conveniente accollarsi solo le spese di affitto e utilizzare le risorse che abbiamo a disposizione per quando riapriremo senza sprecarle per una ripartenza incerta. Per questo chiudiamo oggi per sopravvivere domani. Aprire oggi non ci permetterebbe di raggiungere un punto di equilibrio, anzi potrebbe rivelarsi rischioso. Tuttavia, invidio chi riesce a raggiungerlo aprendo solo a pranzo.

I ristori forniti dal Governo non sono sufficienti per fronteggiare questa crisi?

No, un conto è spostare le scadenze fiscali, un altro è ricevere sul conto corrente aiuti economici che permettono di fronteggiare questa emergenza sanitaria di cui, a livello economico, se ne sta facendo carico solo una o poche categorie. Con i soldi messi in campo nel primo lockdown sicuramente i ristoranti sono riusciti a stare in piedi, ma questo secondo fermo e la parziale riapertura rende tutto più complicato e difficile. E se il governo non intende ristorare economicamente le attività coinvolte deve poterle mettere nella condizione di svolgere il proprio lavoro, che nel caso dei ristoranti, è riaprire pranzo e cena. Solo in questa normalità di servizio un ristorante può produrre utile e onorare i pagamenti futuri che lo Stato ha solo posticipato.
Fare delivery o asporto per alcuni può essere conveniente, altri possono reinventarsi sfruttando il web, ma per tutte quelle attività a gestione familiare, composte da persone d’età più matura, tutto è più difficile. Far passare queste situazioni come normali o “mi arrangio per andare avanti” è sbagliato perché se per sopravvivere ognuno si ingegna in qualcosa, la ristorazione non si muoverà mai unita e compatta come invece dovrebbe essere. Per i ristoranti la normalità sarà quella di restare aperti sia a pranzo che a cena è molto più facile far rispettare regole e distanze in un locale che lavora su prenotazione che in tanti altri luoghi.

Questo che Natale è stato?

Un Natale triste perché tanto il fatturato del mese di dicembre era stato compromesso e oggi per chi si è potuto reinventare con il delivery o l’asporto si può accontentare solo delle briciole rispetto agli anni passati. Se nei mesi di quest’anno, in cui i ristoranti sono rimasti aperti, si è lavorato bene è positivo, ma se al contrario sono stati dodici mesi di lavoro difficile, bisogna prepararsi perché il peggio deve ancora venire.

Cosa si aspetta quando riuscirete a riaprire il ristorante?

Mi aspetto che durante le festività trascorse ci sia stato un comportamento responsabile da parte di tutti, affrontare una terza ondata sarebbe un vero problema. Per cui mi auguro che presto si possa tornare a lavorare a pranzo e a cena e poter fare quello che sappiamo fare, accogliere al meglio i nostri ospiti, facendoli conoscere la storia di Bologna a tavola. Mi piacerebbe credere che la situazione possa nel breve periodo migliorare, anche se sappiamo che a giugno sarà vaccinato solo il 15% della popolazione, un numero troppo basso, per avere dei riscontri positivi. Bisognerà aspettare la fine dell’anno per conoscere i risultati legati all’efficacia del vaccino. Quindi confido in un atto di responsabilità da parte di tutti che ci permetta di tornare a fare il nostro lavoro, riuscendo a convivere con il virus nel pieno rispetto delle regole.

Il Covid cambierà il modo di concepire la ristorazione italiana?

Non penso, mi sembra che la gente abbia voglia di andare al ristorante esattamente come prima anche se il distanziamento sociale tra i tavoli e la mascherina ce li porteremo avanti per un altro anno, imposto per legge, ovviamente.
Forse mi sbaglio ma credo che chi fosse in difficoltà economica prima ancora della pandemia non ce la farà a sopravvivere. Il Covid ci ha insegnato che un ristorante è una vera e propria impresa e come tale andrebbe gestita perché alla fine senza i conti che tornano non si va da nessuna parte.

Cosa si aspetta dal futuro?

Mi auguro che possa nascere nella testa della gente e delle autorità un’idea nuova della figura del ristoratore, dell’oste e dello chef, questo è un lavoro duro, spesso poco redditizio, fatto di sacrifici e che meriterebbe più rispetto. Questa pandemia ha messo a nudo un intero settore, mi auguro che da queste macerie possa nascere una nuova ristorazione italiana più forte e compatta.