Nicola Faccilongo è un uomo con le mani ben piantate nella propria terra, quella pugliese, precisamente a Lucera, tra il Subappennino Dauno e il Tavoliere, una terra dove le grandi piantagioni di pomodori non hanno confini, invadendo i campi e riempiendo i barattoli come le conserve di una volta. L’azienda Paglione si rifà proprio a quella tradizione, cercando di catturare i profumi autentici dei propri frutti, dai pomodori, alle olive e all’uva, per non interrompere la storia di una famiglia che ha fatto della terra un valore di vita. Nel 1994 i genitori di Nicola, Beniamino e Maria Costanza, iniziarono con la semplicità e la consapevolezza di chi ha questo mestiere incastonato nel proprio Dna a coltivare in maniera biologica, ristabilendo con la natura un rapporto di fiducia. Perché è la terra a dettare i tempi e spetta all’uomo rispettarli. Core business dell’Agricola Paglione è il pomodoro, coltivato riscoprendo anche le tipologie autoctone come la “Prunil”, un pomodoro dal quale si ricava una passata dolce buona da gustare già nel suo vasetto. L’olio, che viene prodotto solo nelle sue annate migliori, rappresenta una scelta di qualità, che spesso costa sacrifici soprattutto economici ma che ripaga nel lungo termine. Nasuta, Peranzana, Leccino e Coratina sono le quattro cultivar dalle quali si ricava un olio prezioso dai profumi intensi, mai invadenti. La produzione vinicola è limitata a cinque tipologie differenti, ed ogni bottiglia è numerata in modo da evidenziarne la preziosità; l’Azienda ci fa inoltre riscoprire una Doc sconosciuta ai più, chiamata Cacc’e Mmitte, dal forte carattere in grado dopo un sorso di imprimersi nella memoria.
A causa della pandemia subirete dei danni per la mancanza di operai?
C’è un effettivo calo della manodopera determinato dal blocco dei movimenti, una parte delle persone è rientrata nei propri Paesi d’origine, per paura del virus, un’altra è emigrata verso la Germania e la Francia. Gli italiani, invece, hanno perso il contatto con la campagna, preferendo a essa il reddito di cittadinanza. Nonostante questo siamo riusciti negli anni a fidelizzare gruppi di ragazzi locali, alcuni anche stranieri, che non ci hanno abbandonato. Per il momento abbiamo deciso di non aumentare le superfici da coltivare, forse diminuiremo la produzione, ma questo è ancora da decidere. In realtà abbiamo un altro problema oltre il virus e la manodopera, ossia la mancanza d’acqua in tutta la provincia di Foggia, le riserve idriche ammontano al 50% in meno rispetto ai dati dello stesso periodo dell’anno precedente.
Cosa ha comportato il cambio generazionale all’interno della sua azienda?
Il passaggio formale da mio padre a me è avvenuto circa due anni fa, in verità non ho avvertito dei grossi cambiamenti perché lavorando in azienda da quando avevo 15 anni mi sono sempre sentito parte integrante di tutto questo. Abbiamo sempre mantenuto un senso di continuità, infatti, tutte le mattine mio nonno è ancora qui in azienda insieme a me e mio padre. Le metodologie lavorative sono rimaste invariate, è cambiato solo il modo di comunicare, realizzando una comunicazione più incisiva soprattutto sui nuovi canali social. Il mio apporto era orientato a rendere la nostra realtà un’azienda a rifiuto zero, riutilizzando l’acqua e i residui vegetali come le bucce dei pomodori, la diffusione del virus mi ha momentaneamente frenato, facendoci giocare in difesa, ma sarà il mio prossimo obiettivo.
Cosa rappresenta per Lei lavorare con metodo biologico?
Per me rappresenta il futuro, l’agricoltura ad alta intensità sta creando problemi nei campi, producendone la desertificazione. Bisogna tornare ad un approccio più olistico, altrimenti i suoli si esauriranno. Si dovrebbero allungare le rotazioni, alleggerendo il peso della chimica all’interno delle coltivazioni sennò fra meno di dieci anni non riusciremo più a coltivare.
Che anno sarà per lei il 2020?
Il 2020 sarà un anno di osservazione per passare all’attacco in futuro. Abbiamo avviato una collaborazione con lo chef Gianfranco Pascucci, che produrrà per il canale del Gambero Rosso ricette realizzate con i nostri prodotti da replicare a casa. Non venderemo online perché abbiamo deciso di investire nelle piccole botteghe di quartiere fatte di persone in cui noi crediamo, continuando a sostenere l’intera filiera. I nostri prodotti hanno bisogno di essere comunicati faccia a faccia, sosteniamo il mangiare italiano, poi mi rammarica notare come nella grande distribuzione siano pochissimi i prodotti che hanno alla base una filiera completamente italiana.