FOOD EXPERIENCE AROUND THE WORLD // QUINTA TAPPA: IL VIAGGIO NEL TEMPO

Il viaggio non è solo un concreto e realistico spostamento nello spazio e nel tempo, ma è anche ricerca, distacco, allontanamento, partenza dalle origini, per poi, talvolta, farvi ritorno in maniera più consapevole.

E’, soprattutto, percorso: la meta può materializzarsi in maniera imprevedibile e, talvolta, può addirittura sfuggire, può essere perennemente e vanamente inseguita, ma, in ogni caso, il viaggio è esperienza, ricerca e cultura.

 

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Proprio ritornando alle “origini del gusto”, in un percorso dal 79 d.C. fino ai giorni nostri, è nato il mio studio sui pani e i cibi dell’antica Pompei e su quanto, da quel viaggio nel tempo, si sia arricchita oggi la nostra cultura a tavola.

Che cosa mangiavano i pompeiani è documentato dai reperti carbonizzati di cibo.

La cultura alimentare di questo popolo di commercianti si arricchiva spesso di novità provenienti da altri paesi, soprattutto dal nord Africa e dall’Oriente. Fondamentalmente la cucina pompeiana era ricca di fibre, proteine vegetali e di minerali. Ciò derivava dal fatto che gli alimenti principali erano le verdure e la frutta. Il pane, prodotto in diversi panifici con annessi mulini con macine in pietra, era senza dubbio un alimento base. Il notevole uso di verdure, coltivate anche negli orti domestici, conferma il nomignolo di “mangiatori di erbe” dato da Plauto ai romani. Plinio il Vecchio classificò circa mille piante commestibili, molte delle quali esaltate per le virtù terapeutiche.

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Famoso era un tipo di cavolo che si coltivava in zona, conosciuto anche a Roma come il cavolo di Pompei o anche “cavolfiore“.

Questo alimento era molto considerato dai romani, tant’è che Catone nel “De Agricultura” gli attribuì il primato tra le verdure.

“Se a un banchetto volete bere molto e mangiare con appetito […]  raccomanda Catone

prendetelo crudo prima del pasto e fate altrettanto dopo, vi sembrerà di non aver ingerito nulla e potrete bere quanto volete […]”.

Negli orti della campagna pompeiana si coltivavano diversi tipi di lattuga, molto simili a quelli ancora in uso ed anche la cicoria, i broccoli di rapa, il basilico, le carote, il crescione e il porro.

Quest’ultimo era collocato da Plinio al primo posto tra gli alimenti insieme alla cipolla e all’aglio. Questi erano ritenuti dalle classi più povere un companatico da accompagnare al pane e non solo un condimento.

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Una precisa indicazione di ciò che si produceva, e quindi si consumava a Pompei, è fornita dal ritrovamento di semi carbonizzati di melone, fave, piselli, ceci e lenticchie. Un altro alimento particolarmente diffuso erano le olive, che si coltivavano in zona, verso i monti Lattari e venivano conservate, come oggi, in salamoia o in aceto ed anche trasformate in olio.

In alcune case di Pompei sono stati ritrovati resti di noci, nocciole e mandorle, conservate su scaffali, tra le scorte alimentari per la famiglia. Nel florido mercato cittadino si trovavano diversi tipi di frutta fresca proveniente dalle campagne regionali, tra cui mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne.

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Negli ultimi anni di vita prima dell’eruzione cominciarono a diffondersi le colture di piante da frutta di importazione, quali ciliegio, albicocco e pesco. I pompeiani usavano sofisticati sistemi di conservazione sia per gli ortaggi che per la frutta.

Nel primo caso le scorte invernali venivano create immergendo i prodotti in salamoia o in aceto, mentre per la frutta si provvedeva ad essiccarla e ad immergerla nel miele, molto diffuso, che era usato anche miscelato al vino.

Rinomata la produzione di formaggi (caseus), anche affumicati, ricavati sia dal latte di pecora che di vacca. Un condimento molto gradito ai pompeiani era il “garum”, una salsa ottenuta dalla macerazione in salamoia di alcuni pesci azzurri con altri, come i tonni, e dalle loro interiora. L’uso del garum era talmente diffuso che a Pompei vi erano dei laboratori di produzione che ne commercializzavano di diverse qualità. La produzione era favorita anche dalla presenza delle “Salinae Herculeae“. Nelle vaste saline, fuori le mura pompeiane, lungo la fascia costiera, veniva prodotta la salamoia, elemento di base della salsa.

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I dolci, invece, erano una vera e propria esclusiva delle famiglie patrizie particolarmente benestanti, che potevano permettersi un cibo così costoso.

Tra questi dessert, arriva ai nostri giorni, in un percorso nel tempo: la “Cassata Oplontis”.

Questo dolce nasce dall’idea dello chef Paolo Gramaglia che:

“….il successo della gastronomia sta nella tradizione, basta saperla interpretare senza nostalgia”.

Appunto, in questa ricetta la storia di Pompei prima del 79 d.C., diventa creatività in un piatto che, partendo dalla cultura e dalla gastronomia di duemila anni fa, guarda al piacere di un ospite attraverso una interpretazione moderna  di uno chef stellato.

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La Cassata Oplontis

 

La “Cassata Oplontis” , è un dolce raffigurato sulle mura della villa di Poppea, ad Oplonti, l’attuale Torre Annunziata, importantissima domus romana appartenente a  Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore Nerone, che, come molti altri esponenti del patriziato romano, prediligeva la costa campana, famosa già nell’antichità per la salubrità del clima e lungo la quale edificava sontuose ville residenziali (ville di otium). In questa domus è raffigurata su un muro un dolce chiamato, appunto, “Cassata Oplontis”.

Grazie agli studi del “De Re Coquinaria” di Apicio, siamo venuti a conoscenza dei suoi ingredienti.

Ingredienti per 8 persone:

gr. 300. di ricotta di pecora

gr. 80 di canditi tagliati a cubettini piccoli

n. 4 gherigli di noce

 n. 1 mandorla bianca tritata

 gr. 50 di miele

gr. 50 gr di zucchero

 gr.2.5 gr. ii colla di pesce

 n.8 pallini di frutta di ribes

Per la salsa di fragola di bosco

300 di fragole

150 di zucchero

100 di acqua

 

(c) 2015 Luciano Furia  lucianofuria.com
(c) 2015 Luciano Furia
lucianofuria.com

Preparazione

Per la cassata Oplontis:

Amalgamare alla ricotta il miele e lo zucchero, setacciare e aggiungere la colla di pesce ammorbidita, i canditi, le noci, la mandorla; con questo impasto riempire degli stampini di silicone a forma di cilindro di diametro 5 cm. e altezza 3 cm.

Congelare in abbattitore per poi sformarli e conservarli in frigo facendoli decongelare lentamente.

Per la salsa di fragola di bosco:

Frullare le fragole, in un pentolino aggiungere alle fragole lo zucchero e l’acqua fino a quando lo zucchero sarà completamente sciolto; setacciare la salsa e raffreddarla.

Composizione del piatto

In un piatto piano bianco lucido piano adagiare  due cucchiai di salsa di fragola in modo da creare un cerchio al centro di questo cerchio inserire la cassata Oplontis e al centro di questa il pallino di frutto di ribes.