Comparto agricolo ed emergenza sanitaria: l’analisi di Carlo Hausmann, Direttore Generale Agrocamera, azienda speciale della Camera di Commercio di Roma per lo sviluppo e la promozione del sistema agroalimentare e la gestione della Borsa Merci.
Qual è l’attuale situazione del comparto agricolo?
Nel settore agricolo c’è una grande varietà di situazioni, alcune non particolarmente negative. Soprattutto attorno alla città di Roma c’è stata questa grande richiesta di acquisto diretto dei consumatori, e questo ha favorito le aziende che avevano già investito in questa direzione che si sono trovate ad essere addirittura in deficit rispetto alla domanda.
Buone notizie, dunque.
Sì, sono parziali ma bisogna analizzare cosa è successo, andando con ordine. Questa situazione ha cambiato in un tempo molto rapido il nostro comportamento. Pensiamo all’uso massiccio del web, dell’informatica, non tutta la popolazione era abituata ad utilizzarlo, poi la grande importanza del telelavoro, tutto questo ha rivoluzionato non solo il mercato alimentare, perché inizialmente c’è stato un vero e proprio assedio alla grande distribuzione, che si è comportata in maniera perfetta, ha retto l’urto, almeno a Roma non c’è stata mai carenza di prodotti alimentari sugli scaffali, non c’è stata una penuria di prodotti freschi. Poi c’è stato il boom delle preparazioni casalinghe e, un fatto curioso, la scomparsa del lievito di birra dagli scaffali. C’è stata una risposta anche creativa da parte dei consumatori e poi la ricerca della fornitura diretta, ortofrutticoli, carne, prodotti preparati, derivati dai cereali e così via. Tutto questo è un fatto nuovo, perché prima l’e-commerce era limitato nella nostra società, i prodotti alimentari bisognava toccarli, vederli, parlare con qualcuno che te li vendeva invece ora è una realtà. Il fattore limitante di tutta questa evoluzione è il delivery, non c’è abbastanza forza per portare a casa tutti i prodotti e anche le centrali di prenotazioni sono in affanno.
Pensa che il delivery sarà un fenomeno che si esaurirà con il virus?
Bisogna capire cosa resterà in futuro di questa situazione, perché sicuramente qualcosa resterà. I nostri consumatori avranno imparato a utilizzare questo mezzo, si faranno la loro brava lista di fornitori accreditati, qualificati, quindi sapranno da chi andare a comprare e questo è un fatto importante perché, miracolosamente, riposiziona le produzioni di prossimità, cioè i prodotti che vengono fatti vicino ai luoghi di consumo, che prima faticavano molto ad entrare nel circuito commerciale. La seconda trasformazione è che anche la grande distribuzione si sta rivolgendo all’acquisto di prodotti locali, perché i consumatori lo chiedono. Si è interrotta la barriera all’acquisto di prodotti su piccola scala, perché prima c’erano solo i grandi stock e invece oggi c’è anche questa possibilità. Questo lancia segnali di speranza per quello che può succedere dopo. Il vero problema che sta investendo tutto il sistema agricolo è che nella vicina stagione dei raccolti non ci sarà manodopera sufficiente. Non ci sono spostamenti, non c’è forza lavoro. Ulteriore criticità è la chiusura dell’Horeca, in particolare dei bar e questo ha portato ad un problema di assortimento di latte fresco dentro la filiera, le centrali intorno alla città di Roma hanno imposto una riduzione dell’approvvigionamento di circa il 15% e per il settore è stata una grande bastonata. La vendita diretta del latte è ancora limitatissima nella nostra città, praticamente insignificante, e non ci sono usi alternativi pronti. In tutto il Lazio non c’è un polverizzatore, ad esempio, quindi il latte sta correndo un rischio molto forte. Ciò che in assoluto sta soffrendo di più in questo momento è un settore del non food, il florovivaismo, che è allo stremo, il più danneggiato non tanto perché c’è stato un taglio di consumo di prodotti ludici, ma perché è stata un’attività inizialmente bloccata dal decreto. Ora è stata riaperta, ma il mercato non c’è, non ci sono manutenzione dei giardini eccetera. Questo è il panorama, per tutto il resto, tutto sommato attorno alla città di Roma, il settore agricolo, quindi parliamo del primo settore dell’agroalimentare, ha delle aperture. Cosa succederà? È un grande punto interrogativo, bisogna anche calcolare l’influenza del turismo.
Sarà un turismo interno perché sappiamo che gli stranieri non ci saranno.
Sarà un turismo italiano impoverito, questo è il problema. Anche quello dell’agriturismo è un settore in difficoltà incredibile in questo momento. Pensiamo all’esperienza delle Torri Gemelle, nel 2001, quando il mondo smise di viaggiare; l’agriturismo italiano ebbe una crescita nel periodo immediatamente successivo, perché tutto il turismo italiano che andava all’estero si riversò in Italia. Però questa è una crisi molto più profonda. Oggi tante persone hanno perso il lavoro e forse non lo riacquisiranno, chi ha soldi in più da spendere non è detto che non li tenga da parte, si va verso una nuova sobrietà forzata e il settore turistico soffrirà. Quindi si pone un problema molto grande anche per l’alimentare di riconversione: cosa faremo con tutte queste strutture di produzione, trasformazione e somministrazione domani? Io penso che una possibilità importante è quella di riconvertire almeno una parte di questi servizi in servizi alla persona, di carattere sociale. In questo momento è chiaro che il sistema pubblico, lo Stato in particolare, è chiamato ad indebitarsi per aiutare le imprese ed il sistema, ma sarebbe stupido indebitarsi per lasciare tutto com’è. È importante mettere a punto dei progetti destinati al finanziamento, ad esempio il potenziamento della filiera corta sarebbe molto importante, la trasformazione almeno di una parte della ristorazione in centri di cottura e fornitura di cibi a distanza.
Nulla sarà più come prima, anche nel settore della ristorazione.
Assolutamente, sono d’accordo. Io comunque immagino che ci sarà una trasformazione pesante a livello di numeri, ma la cosa più importante per favorire questa trasformazione è capire quale sarà il potere di spesa, il portafoglio dei consumatori. Il cambiamento di abitudini si può sempre governare, ma la quantità di spesa per l’alimentare, le cene fuori, il turismo, le specialità e così via, quello lo determina l’economia.
Come sarà possibile trovare nuove opportunità di business?
In mezzo a tutto questo bisogna essere intelligenti. Anche quest’area di business della preparazione casalinga è molto interessante, e anche questo crea delle opportunità. Chi avrebbe pensato a una “resurrezione” della farina o della possibilità di rinfrescare il lievito in casa? Oggi sta diventando un fenomeno molto diffuso. Io penso che la seconda fase, quando tutto si riaprirà, comprenderà anche delle nuove forme di alleanza tra consumatori e produttori. Non escludo che, come già avviene in altre parti del mondo, dei consumatori possano investire, finanziare la loro fornitura ed essere partecipi di una parte della produzione. Questo sarebbe molto bello, la lezione di questa crisi è che bisogna sempre essere preparati ad affrontare dei fenomeni estremi. Il settore alimentare, essendo il primo e più importante, non può essere preso a sberle. Bisognerebbe progettare una stabilità almeno di una parte delle forniture, noi abbiamo perso nel Lazio quasi 150 mila ettari di cereali, in conseguenza dei prezzi internazionali e adesso probabilmente ci sarà un riaggiustamento dei prezzi e quindi potrà ridiventare minimamente conveniente coltivare grano, ma dovremo proteggere questa parte di produzione perché è la nostra sicurezza, la nostra assicurazione sulla vita. Io spero che resterà la coscienza dell’utilità dei sistemi produttivi agricoli nella nostra società, non ne possiamo proprio fare a meno.