La lotta agli sprechi alimentari è la sua bandiera, da anni porta avanti la filosofia di limitare gli scarti alimentari alla strenua ricerca della massima valorizzazione, dando nuova vita agli sfridi organici: questa la missione di Franco Aliberti, chef del ristorante Tre Cristi di Milano. “Il recupero degli scarti, la vera applicazione pratica della cucina circolare è nel mio dna, fa parte del mio stile di vita sia come impegno personale, sia come lavoro da chef” così sintetizza Franco per descrivere la sintesi del suo progetto.
La sua è una cucina che da anni si impegna nella valorizzazione della stagionalità e del territorio, non come parole di marketing, ma come vero e proprio mantra “il mio impegno è trovare il miglior produttore del posto che lavori un determinato ingrediente in una certa stagione e valorizzarlo al meglio: questo si può fare solo con uno studio approfondito.” La sua voglia di conoscere e imparare, studiare, non si placa da quando ha iniziato, dimostrazione ne sono le esperienze che lo hanno visto dapprima in pasticceria all’Antica Corte Pallavicina di Massimo Spigaroli, poi al fianco di Massimiliano Alajmo a Le Calandre insieme a Gianluca Fusto per poi approdare alla corte di Gualtiero Marchesi a Erbusco, con il quale collabora anche per l’apertura del Marchesino a Milano. Le esperienze non si fermano qui visto che prosegue con il ristorante Vite a San Patrignano e nel 2012 entra a far parte della brigata dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura. La vera sublimazione della sua vocazione la raggiunge con l’apertura del ristornate EVVIVa a Riccione, nel 2014, dolci e cucina a scarto zero; arrivato a Milano con Tre Cristi è riuscito a mettere a punto la sua idea di cucina e non solo. “Al ristorante cerchiamo di sfruttare tutte le parti degli ingredienti, dal gambo alla foglia, anche le parti della pianta che in passato venivano scartate o considerate figlie minori.”
Da conoscitore della realtà gastronomica nazionale, Franco non dimentica il ruolo e il compito affidato agli chef dalla notorietà, riconoscendo al lavoro, oltre che in cucina, un ruolo anche di amplificatori su alcuni temi; ruolo che si gioca al momento in virtù della grande visibilità ed esposizione mediatica dei cuochi. “Marchesi diceva che il miglior insegnamento è l’esempio; penso che la gastronomia di alto livello, anche fuori dagli stellati, dovrebbe essere cultore e veicolo di messaggi per la società futura e le nuove generazioni. Stagionalità e contenimento dei consumi a tutela della biodiversità, attraverso un consumo che operi delle scelte è quanto mi auguro – con tutta l’enfasi e il trasporto pacato ma determinato che caratterizza la voce e il tono di Aliberti – La cucina dovrebbe avere un’etica, è sotto la luce dei riflettori: abbiamo una grande responsabilità e l’opprtunità allo stesso tempo di lanciare un messaggio a chi sceglie di fare questo lavoro” prosegue Franco facendo l’esempio delle mele, degli acquisti di sole poche varietà di questo frutto a discapito delle altre. Ma è solo un esempio, perchè le parole sono anticipate dal pensiero e si coglie nel discorso veloce e fluido con cui racconta i suoi progetti.
Progetti che coinvolgono tutta la sua vita, vita che condivide sentimentalmente con Lisa Casali, scienziata ambientale e cultrice della materia alimentare con lo sguardo proteso alla riduzione degli sprechi “Lisa mi ha permesso di affinare e maturare nella consapevolezza e nelle tecniche, come scienziata ha una spiccata vena di sperimentazione; spesso le mie creazioni del menu nascono da giochi fatti in casa e provocazioni che mi fa in casa.” Casa ecocompatibile e sostenibile che hanno messo su insieme e in cui Lisa porta avanti progetti casalinghi di riciclo degli scarti alimentari, interamente documentati sul suo blog Ecocucina e sulla pagina Instagram.
Franco Aliberti, oltre a essere uno chef, è un grande appassionato di design e cultore della creatività manuale “ma sono un autodidatta, ho sempre prodotto qualcosa che partisse dalle mani; così ho notato che l’approccio dei miei clienti, se veicolato da opere che hanno una loro sensibilità, arriva più velocemente. Se dico che la stagionalità suggerisce alcuni ingredienti, questi spesso non restano impressi nel pensiero, invece se li ritrovano a tavola li capiscono più velocemente.” Da questa riflessione nasce la volontà di portare a tavola tutte le componenti che si ritrovano nel piatto, sintetizzando l’essenza in un’opera che ne racchiuda il senso: così è nato il progetto di una collezione di piatti scultura a tema vegetale. “Partendo dal vegetale vero, mi sono procurato una termostampante che, scaldando un foglio in pvc all’interno di una campana per sottovuoto aderisca perfettamente alla superficie di un vegetale, e si plasma sullo stesso. Ho poi usato questo stampo ottenuto per riempirlo con polvere di ceramica ottenuta dati scarti della lavorazione del vasellame – ritorna ancora una volta il valore del recupero della parte meno nobile – miscelata con acqua, poi una volta freddata non deve essere cotta e posso estrarre la forma dallo stampo. Infine a seconda dello scopo si procede a una smaltatura nel caso di superfici che entreranno a contatto con alimenti o viene lasciata porosa se dovrà essere usata come allestimento, perchè mi piace la sensazione tattile che ne deriva.” Nasce così la capsule collection di piatti vegetali che verrà presentata al Salone del Mobile di Milano, in una tiratura limitata di soli 50 esemplari acquistabile su prenotazione al ristorante. “Mi piacerebbe che il ricavato finanzi il mio studio sui coloranti naturali da scarti alimentari, colori che potrebbero essere usati per colorare in futuro le sculture vegetali.” Ma il candore delle idee, quello che contraddistingue l’estraneazione di questa iniziativa che unisce la tecnologia della termostampante, usata per la prima volta in una cucina, e il design di stoviglie con il progetto di vita dello chef è una tavolozza bianca troppo immacolata per pensare di macchiarla fin da ora, quindi si vedrà: per il momento rimane tutto niveo.