Via dei Cappellari, nel centro, ma proprio nel centro di Roma, è una via che collega Piazza Campo de Fiori a via del Pellegrino. Veramente somiglia più ad un vicolo che ad una strada ma era, ai tempi di quando ero ragazzo, abitata da quel popolino romano schietto e “bono de core”.
Proprio all’angolo tra la piazza e la via, c’era un forno particolare dove facevano, secondo me, la più buona pizza bianca del mondo.
Una pizza, scrocchiarella e morbida allo stesso tempo, sempre calda, da mangiare in solitaria o, ed allora si raggiungeva l’apoteosi, ripiena di “mortazza”.
Che farine usassero, francamente non lo so, forse un lievito madre particolare, farine che magari adesso usano i cosidetti “gastrofighetti” e che loro, a quei tempi, non sapevano che sarebbero diventate così di moda ai giorni nostri. Fatto sta che ogni teglia di questo “miracolo” che usciva dal loro forno, come per una malia, spargeva il suo profumo per tutta la via e difficile era resisterle.
Un mio amico, il protagonista di questa piccola storia che sto per raccontarvi, ne andava letteralmente pazzo, tutte le mattine alle 9,00 era là per lei, la pizza, o meglio, anche per ….la pizza.
Allora immaginatevelo: alto un po’ più di uno basso. Capelli castani lisci. Occhi grigi da gattino abbandonato, bocca ben delineata e solo un accenno di barba….sui sedici anni, un po’ timido ma non introverso, anzi, per certi versi, anche spiritoso. Nel sorridere, che era la sua arma migliore, le gote gli facevano le fossette e lo rendevano tenero come un biscotto inzuppato nel latte. Arrossiva facilmente, lui, e proprio per questo che sembrava un bambino. Vestiva di scuro, sempre di scuro… e questo è quanto.
Lei, gli piaceva proprio ‘na cifra. Non passava giorno che non si recasse a comperare la pizza bianca, per la colazione, in via dei Cappellari, dal fornaio, quello all’angolo di Piazza Campo de’ Fiori.
“Dio quanto era bella!” – la cassiera, non la pizza – Mora, con i capelli lunghi. Occhi blu striati di verde, come un mare di settembre. I denti bianchissimi e… quelle tette…uhmm…quelle meravigliose tette che quasi si poggiavano sul registratore di cassa e, con quella sua voce da strapparsi i capelli, gli diceva:
“Sono 300 lire, grazie.” – non una richiesta ma una musica veniva percepita dalle sue orecchie, trecento lire…grazie –
Intanto, prima di risponderle, ogni volta prendeva tempo e nella sua mente cercava di capire da dove era stata originata tanta bellezza.
Era mora, quindi meridionale.
Era prosperosa, quindi meridionale.
I suoi occhi, che sembravano il mediterraneo più profondo, quindi anche loro da meridionale. ” Sì! ” e ne era sempre più convinto, doveva essere, siciliana, o calabrese.
Portava con se sempre soldi interi da cambiare. Li tirava fuori e glieli mostrava e così, lei, ogni volta, gli chiedeva : ” Non li ha spicci?”
Gli dava del tu, capite? Del tu! Ma, il suo parlare non aveva inflessioni.
“Come era possibile, che una meridionale, non avesse inflessioni?” si chiedeva, e i dubbi sulla sua origine gli tornavano forti. Invariabilmente le rispondeva: “No. Mi dispiace!”
Al che lei, lo guardava sorridente e dandole il resto, direttamente sopra il palmo della mano, ammiccando gli diceva: “Fa niente, grazie!”.
Beh! Quel sorriso, gli riempiva il cuore. Il sorriso di quella Dea Corvina. Il tenero contatto di lei sulla sua mano. I suoi occhi marini che riflettevano il sole che sembrava splendere solo per lei. Il profumo intenso di quella pizza appena sfornata e ancora caldissima. Erano un’alchimia benedetta.
Riusciva ammala pena a risponderle: “Arrivederci signorina! ” abbassando gli occhi per quanto era emozionato.
Il cuore gli batteva forte, la pizza gli bruciava tra le mani, spesso urtava qualche massaia in fila dietro lui. Quasi correndo usciva su via dei Cappellari.
Aspirava forte quell’aria pregna di profumi. Il cuore era incontenibile. Tutto il suo corpo fremeva. Così, lui, in quei momenti capiva che la vita era bellissima. Quell’istante l’avrebbe voluto fermare e catturare per chiuderlo nella sua anima, nella sua mente. Non gli importava più niente di quello che era o che magari non sarebbe più stato, solo una considerazione gli veniva spontanea, e questa lo faceva sorridere.
Anche se, per adesso, non era che un piccolo “seminarista” che presto sarebbe diventato, forse, “prete”, la vita, valeva la pena di essere vissuta!
Claudio Gargioli
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