Hamburger sintetici, piante da giardino, molluschi infestanti e insetti, sono solo alcuni esempi di quello che domani potremmo trovare nel piatto. Tra Cucina note by note e wild food l’innovazione in cucina continua, varcando frontiere sempre nuove. Ricerca e sperimentazione temi centrali del secondo giorno del City of Gastronomy Festival di Parma, la 48 ore di saperi e sapori che ha celebrato la lunga tradizione di gusto che ha portato l’UNESCO a riconoscere a Parma il titolo, prima in Italia, di Città Creativa per la Gastronomia.
Sono passati quasi venti anni da quando i grandi progressi della biochimica e della fisica sono entrati in cucina, dando un nuovo impulso alla fantasia e alla creatività degli chef. E se è vero che in cucina la chimica c’è sempre stata, anche prima della rivoluzione molecolare di Ferran Adrià, è altrettanto vero che nessuno prima del catalano si era mai sognato di riprodurre tecniche di laboratorio davanti ai fornelli. “Bisogna saper distinguere tra una vera innovazione e la semplice voglia di novità – ha commentato Gianni Revello, di Passione Gourmet – La prima, come nel caso di Adrià, rimane nel tempo, mentre la seconda scompare nello spazio di un mattino”.
Biochimica molecolare e fisica applicata alla gastronomia, che in Italia trova in Terry Giacomello uno dei suoi principali interpreti, è una definizione nata un po’ per provocazione, ma che di fatto ha inaugurato una nuova concezione di cucina. Tanto da determinare un prima e un dopo Adrià. “Questo approccio ha avuto un impatto eccezionale sul modo di pensare alla cucina, determinando anche un novo stile che si basa interamente sulla tecnica e gli strumenti tecnologici – ha spiegato Davide Cassi dell’Università di Parma – Il suo più grande merito è stato quello di aver portato la gastronomia ad un livello più alto, trasformandola in scienza del gusto”. È forse proprio questa la più grande innovazione degli ultimi anni: la cucina come materia di studio profondo e come espressione. Simile al design, la cucina contemporanea è frutto di accurate ricerche tese a soddisfare l’insieme dei nostri sensi. Dal palato agli occhi, fino al sistema nervoso centrale. Profumo, sapore, colore e consistenza agiscono in concorso per realizzare un’opera d’arte gastronomica. Ma, come in tutte le forme d’arte, anche lo squarcio di un’innovazione gastronomica rischia di lasciarsi dietro uno strascico di piatte imitazioni. Diventa maniera, e all’impulso rivoluzionario si sostituisce un’autoreferenzialità sterile e salottiera.
La strada tracciata però rimane ricca di prospettive che altri percorrono, portando la frontiera della ricerca sempre più lontano. Le materie prime vengono scomposte in molecole e poi rimontate sotto altre forme, nuovi sapori vengono ‘estratti’ dagli amminoacidi e le proteine riprodotte dalle staminali. A tal proposito, uno spunto molto interessante è quello offerto da Valeria Mosca, ricercatrice di Wood*ing, laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico per l’alimentazione e la nutrizione umana. “La cucina di domani non potrà evitare di confrontarsi con la tematica della sostenibilità dello sfruttamento delle risorse. Pensare a delle nuove forme di nutrimento commestibili, gustose e nutrienti, e fin qui non prese in considerazione, è forse l’innovazione più importante per la gastronomia del futuro”.
“Tradizione e innovazione in realtà sono concetti che si intrecciano da sempre – ha chiuso Andrea Grignaffini – In gastronomia il prodotto è qualcosa di interpolativo, ovvero ciò che accade quando un nuovo ingrediente si incrocia a ricette e preparazioni già esistenti. Anche la cosiddetta cucina molecolare ne è un esempio. Le reazioni chimiche, per forza di cose, hanno sempre fatto parte della preparazione gastronomica. In questo caso, però, siamo di fronte a un livello maggiore di consapevolezza. Ad uno studio preciso e mirato che si sostituisce ad una conoscenza empirica“.