Matteo Circella, miglior sommelier d’Italia: «Ogni etichetta è un volto da raccontare»

Matteo Circella, classe 1990, è un figlio d’arte nel mondo della ristorazione, mamma Pierangela in cucina con Simone, fratello gemello di Matteo e papà Sergio in sala da anni sono i proprietari della Brinca, storica trattoria a Ne, sulle alture del Golfo del Tigullio. Matteo è laureato in Economia e Commercio ma il richiamo al mondo enoico lo porta a frequentare il corso professionale dell’Ais (associazione italiana sommelier), la sua formazione prosegue incessantemente e i frutti dei numerosi sacrifici si concretizzano con il premio speciale ricevuto dalla celebre Guida Michelin, che il 25 novembre l’ha nominato Miglior Sommelier d’Italia 2021. In un anno così particolare per la ristorazione italiana Matteo accoglie questo riconoscimento con orgoglio, sicuro che le scelte fatte si sono rivelate vincenti. Ama i vini e i produttori che riescono a portare nelle bottiglie prodotti franchi e fortemente identificativi del territorio e dice: «Preferisco i vini a cui non si aggiunge ma bensì si toglie».

Cosa ha rappresentato il premio come miglior sommelier d’Italia ricevuto dalla Guida Michelin, soprattutto in questo periodo storico?

Quando ho ricevuto la chiamata da parte della Guida dormivo e ammetto che la notizia mi ha sorpreso. Oggi a più di due mesi da questo riconoscimento continuo a lavorare con lo stesso spirito, con l’intento costante di far stare bene i nostri ospiti. Questo premio non mi ha cambiato la vita ma sicuramente mi ha restituito più sicurezza, idee e stimoli per sviluppare il lavoro in altri modi. Oltre al lavoro in trattoria vorrei essere presente nelle aziende, conoscere le realtà vinicole e riprendere a frequentare gli eventi per un lavoro coerente e costante. Il sommelier non parla solo di quello che c’è nel bicchiere ma racconto storie di vita. Mi piacerebbe che il mondo della sommellerie fosse più accessibile a tutti, sarebbe bello realizzare un movimento di persone interessate al vino perché bisogna comunicarlo nel modo migliore, i social vanno bene ma bisogna intensificare il tutto.

La passione per il vino è un’eredità famigliare, quando hai capito che il vino sarebbe diventato il tuo lavoro?

La famiglia è importante sono cresciuto nella trattoria dove mio padre da molti anni prima di me ha fatto del vino il suo lavoro. Quando mi sono trasferito a Genova per seguire Economia e Commercio nel fine settimana tornavo a lavorare alla Brinca perché l’affitto ci tengo a dirlo lo pagavo io. A 21 anni ho finito il corso Ais, a 25 terminata l’università ho sentito il bisogno di tornare a casa e dal 2016 ho iniziato a lavorare qui con continuità. Sono già passati cinque anni e sono soddisfatto di essere riuscito a proporre un percorso mio più personale.

Come state gestendo in trattoria questa situazione legata alla pandemia?

Ogni centimetro che possiamo prenderci ce lo prendiamo, nessuno ha la certezza di nulla e  quando era possibile abbiamo sempre aperto e devo dire che durante le riaperture abbiamo sempre lavorato tanto. Per il delivery e l’asporto al momento abbiamo deciso di non effettuarlo e purtroppo abbiamo dovuto tagliare qualche posto di lavoro.

Il vostro ristorante custodisce una cantina con otre mille etichette, quali sono le caratteristiche che deve avere un vino per essere presente sui vostri scaffali?

Sono cresciuto in questa cantina che forse ai tempi di mio padre era ancora più ricca, papà mi ha sempre sensibilizzato a conoscere le storie, ogni etichetta equivale a una faccia questa è una filosofia che lui mi ha tramandato. Lui mi ha sempre lasciato la possibilità di fare le scelte, lasciandomi spazio di girare per conoscere i produttori, senza mancare mai a un servizio, il mio obiettivo è quello di riuscire a condividere una comunicazione esperienziale con i nostri ospiti. In tante scelte mi confronto con lui anche perché è lui che paga, abbiamo nella nostra cantina tante etichette degli anni 90, di cui preferisco ne parli lui e papà, invece, chiama me quando deve parlare di un vino che ho scelto io. Amo lavorare con le persone e tendenzialmente i produttori che scelgo sono ragazzi che al 99% fanno un lavoro in prima persona.

Qual è lo stato in cui si trova il settore del vino in Italia?

Quello che sto vedendo è che chi fa un lavoro di nicchia e artigianalità se la sta cavando, le difficoltà subentrano per le aziende più grandi.

Il tuo amore per il vino ti ha spinto a diventare produttore, ci racconti questa nuova sfida che hai deciso di intraprendere?

È ancora tutto a uno stato embrionale è un discorso relativo alle Cinque Terre. In questo periodo ho tante idee,  che sto sviluppando con alcuni miei amici, ci piacerebbe realizzare un luogo sul territorio per fare più cultura sul vino.

Che consiglio daresti ai tuoi colleghi per andare avanti in questo periodo così difficile?

Aggiorniamo le carte studiamo nuovi prodotti per quando si potrà riaprire a pieno servizio.

Cosa rappresenta per te la Brinca?

Avevo la possibilità di andare a lavorare a Milano o a New York, poi ho riflettuto ed ho capito che il mio futuro fosse qui alla Brinca, questo premio l’ho ottenuto per il lavoro svolto qui e voglio continuare a svilupparlo, investendo il mio tempo alla scoperta del territorio. Restare con la mia famiglia che è la cosa più importante.

Un auspicio per il tuo futuro?

Che si torni presto a un po’ di tranquillità, che si possa tornare a viaggiare e incontrare persone, abbiamo i social ma io ho fame di conoscere e mi manca tanto andare personalmente dai produttori.