Nicoletta Loreti: “La mia scelta naturale è un’evoluzione al passato”

Gli occhi che si incrociano nel primo istante di vita, lo sguardo del papà incontra quello di sua figlia, quell’attimo si trasforma in un legame indissolubile. Così nasce il rapporto di un padre con la sua bambina, una relazione speciale, che il tempo sa plasmare in un’affinità destinata a durare all’infinito. Questo è il sentimento che lega Nicoletta Loreti al suo papà Claudio, un rapporto che lei definisce “di amore e odio”, un sentimento viscerale, che li lega nella vita e nel lavoro, dove la mamma Maria ha il ruolo di mediare sempre fra loro due. Nicoletta è figlia unica e per anni ha portato con sé il peso di dover assecondare i desideri del padre, poi un giorno i sogni di lui sono diventati anche di lei ed è così che il suo arrivo in azienda ha assunto un sapore speciale. Cantina del Tufaio ha una storia lunga perché inizia con il nonno Gigi e con e sue “romanelle”, poi continua con Claudio e oggi con Nicoletta, da Zagarolo la storia della famiglia Loreti si dipana tra scelte coraggiose, spesso fuori dal coro, che li ha portati oggi a ritagliarsi un ruolo importante tra i vignaioli, che hanno segnato una rinascita qualitativa per i vini laziali. Un terreno di natura vulcanica, una grotta scavata nel tufo e un desiderio costante, che di padre in figlio continua a riempire le bottiglie della famiglia di un metodo classico di pura matrice laziale.

Inizia tutto nel 1881, poi nel 1994 i tuoi genitori prendono i mano la cantina, ci racconti la vostra storia?

Il mio papà ha iniziato ufficialmente nel 1994 anche se già nei primi anni ottanta era partita la sua sperimentazione con il metodo classico. Mio nonno Gigi produceva più che altro vino sfuso o le cosiddette “romanelle”. La nostra famosa cantina scavata nel tufo ha sempre avuto un ruolo da protagonista, lì al tempo di mio nonno c’erano le botti di castagno da mille litri e ogni volta il trasbordo del vino veniva effettuato attraverso un meccanismo ad anello posto sulla soglia della porta. Lo chiamavano “vino ingrottato”, per noi è il vino affinato, già mio nonno ebbe l’intuizione di lasciare riposare il vino per almeno un anno in grotta a discapito dei gusti dei romani che preferivano bere un vino più giovane e già in commercio a novembre. Mio padre iniziò sperimentando su quei due filari di Malvasia, che mi nonno gli aveva lasciato, incominciando proprio con il metodo classico, innescando una sfida tra lui e il padre. Papà seguì il consiglio del prof. Calò e impiantò Pinot Bianco e Chardonnay per realizzare le sue bollicine, che voleva fare ovviamente meglio di suo padre.  Attualmente abbiamo 4 ettari divisi in due appezzamenti distanti solo 300 metri l’uno dall’altro, nella vigna storica di mio nonno troviamo: Sauvignon, Cabernet Sauvignon, Merlot e Malvasia. La scelta di impiantare vitigni internazionali fece ottenere a mio padre parecchie critiche, così come eliminare dall’etichetta la denominazione Doc Zagarolo per inserire l’indicazione Igt Lazio. Le critiche si sono susseguite ma ad oggi siamo orgogliosi delle scelte fatte.

Il tuo arrivo in azienda com’è avvenuto?

Sono tornata in azienda nel 2015 per mia scelta, all’inizio non pensavo di voler fare questo, dopo la laurea specialistica ho avuto il pensiero di seguire uno stage a Montpellier, avendo un’amica lì, volevo provare a formarmi in Francia per quanto riguarda la viticoltura.  Sono figlia unica e per tutta la vita ho sentito il peso di dover continuare il lavoro in azienda, dopo l’esperienza lavorativa in Janssen, importante azienda farmaceutica, ho deciso di prendere lezioni di viticoltura direttamente da papà, dopo tanti anni di lavoro d’ufficio ho sentito il bisogno di tornare in cantina. Mio padre ha osservato suo padre e io il mio un cerchio che si chiude.

Il tuo papà Claudio ti ha lasciato sperimentare parecchio, i vini naturali sono una tua scelta, come mai?

La scelta di sperimentare con i vini naturali è stata mia, infatti papà all’inizio ha mostrato molta reticenza verso questa decisione. Lui ha cercato di evolversi da mio nonno attraverso l’enologia moderna, che con una vinificazione tecnologica gli permetteva di fare vini che definirei perfetti, il mio voler tornare indietro in un primo momento non gli è piaciuto. Io invece osservavo il cambiamento in atto, la gente voleva e vuole bere vini sempre più naturali, ne ho assaggiati tanti, alcuni direi “puzzolenti”, ma proprio da queste degustazioni ho tratto le mie ispirazioni. Oggi la mia linea di vini naturali prevede solfiti solo nel momento del travaso, nessuna filtrazione ed ho costretto mio padre a dare il suo contributo. Grazie alla sua esperienza abbiamo aggiunto i raspi nella vinificazione per prevenirne eventuali difetti. Un evoluzione al passato, così mi piace definire la mia scelta naturale.

Oltre ai vini naturali, anche un metodo classico e vitigni internazionali, ti piace rischiare o c’è altro dietro a queste scelte?

Ci piace rischiare o meglio ci piace sperimentare, mio padre ha deciso di realizzare lo spumante “Primo Nicchia” già prima del mio arrivo in azienda, rifermentandolo attraverso il suo stesso mosto. Ci piace ricordare quello che è stato il nostro passato.

Negli ultimi anni c’è una rivincita dei vini laziali, quali sono le caratteristiche che i vini di questa regione hanno come tratto distintivo?

Partiamo da una zona in cui si facevano le romanelle anche con il Cesanese, per questo in passato era difficile fare e parlare di qualità. Negli ultimi anni si è ricominciato ad apprezzare i vini del Lazio perché si valorizza sempre più il territorio, noi 4 anni fa abbiamo impiantato il Trebbiano Giallo perché da un filare rimasto del nonno avevamo capito il grande patrimonio sensoriale che custodiva. Insieme a noi ci sono tanti nostri colleghi, c’è un intero movimento che spinge nel preservare i sentori del territorio, tendando di conservarne intatti i profumi senza modificarli o correggerli. Il terreno vulcanico sul quale ci troviamo è il nostro tratto distintivo.

Il Covid che ripercussioni ha determinato in una realtà come la vostra?

La chiusura dei ristoranti e delle attività al dettaglio ha determinato un calo per quanto riguarda le nostre vendite, nonostante la nostra produzione si attesti sulle venti mila bottiglie. Noi siamo molto presenti nella nostra Regione tra Roma, Ostia e Fiumicino, in questo ultimo anno siamo peraltro riusciti a realizzare una piccola esportazione verso la Corea del Sud. Siamo riusciti a tamponare questa situazione, che per noi  non è stata così tragica, grazie al turismo di prossimità, quindi alla realizzazione di visite e degustazioni qui da noi quando è stato possibile farle.

Siete ripartiti con le degustazioni e le visite in cantina, come si svolgono ad oggi queste attività?

Le nostre visite e degustazioni sono sempre organizzate per gruppi contingentati, con un massimo di otto persone, tutto si svolge in vigna anche se non rinunciamo al passaggio nella nostra cantina perché è come se entrassimo all’interno della colata lavica del vulcano.

Cosa ti aspetti da questa ripartenza?

Sicuramente mi aspetto che continui questo trend positivo legato al turismo di prossimità, che sempre più persone si interessino alla nostra zona perché finalmente si è compreso che abbiamo tante bellezze anche vicino casa.

Dove e come ti vedi da grande?

Oggi ho trentaquattro anni e da grande mi vedo a vivere in campagna qui vicino alla nostra cantina, continuando a produrre sempre lo stesso numero di bottiglie e dedicandomi all’ospitalità, questa è una cosa che vorrei tanto fare.

Tufaio Pas Dosè Spumante Metodo classico 2017 Giallo dorato, al naso zampillano come se fossero goccioline i profumi di questa bollicina così identificativa del proprio territorio d’appartenenza. Pinot Bianco al 100% per uno spumante che compie il processo di remuage e sboccatura rigorosamente a mano, riposando per 24 mesi sui lieviti. Sentori di pesca gialla si intervallano alle note più agrumate della buccia di cedro,  i profumi delicati dei fiori di camomilla si percepiscono dal calice, nuance minerali ribadiscono la propria presenza sia al naso che al gusto. Profumi di nocciole tostate, burro fuso e piccola pasticceria completa il bagaglio olfattivo. Sorso intenso e deciso, la freschezza predomina sulla sapidità per lasciare posto a una nota leggermente amarognola che si palesa sul finale.

Prima Nicchia Spumante Metodo Ancestrale Agli occhi abbaglia per il suo colore giallo oro con una bollicina intensa e prolungata. Un vino vulcanico, che sorprende per il suo ampio bagaglio di profumi. In questa bottiglia la matrice vulcanica del terreno immediatamente si evince, mostrando senza indugi il suo carattere decisamente minerale. Fiori freschi di campo e gelsomini riempiono questo bouquet floreale, sentori di frutta tropicale, come l’ananas, si abbracciano ai profumi di mela cotogna e miele. Al sorso riempie e avvolge con un’intensità tipica di un vero fuoriclasse. Sorso prolungato e destinato a durare nella memoria come un ricordo difficile da dimenticare.

Ammarìa Cabernet Sauvignon 2019 Leggendo l’etichetta si scopre un’intensa dichiarazione d’amore che Claudio Loreti ha voluto fare alla moglie Maria, dedicandole nel nome questa bottiglia. Rosso rubino compatto, che al naso irrompe con la sua carica di profumi così netti e decisi. Un vino camaleontico, che al primo sorso mostra un aspetto del proprio essere, che si evolve e si modifica, procedendo con un altro assaggio anche a distanza di ore. L’affinamento per dodici mesi in barrique di primo passaggio si evince dalla morbidezza dei profumi percepiti, accompagnati costantemente dalla mineralità. Il riposo nel calice risveglia profumi di prugna e marasca accompagnati da petali di rose, spolverate di povere di cacao amaro, tabacco e caffè. Tannini presenti ma delicati per un vino dalla struttura imponente e dalla possibilità di vincere sul tempo, predisponendosi a un lungo invecchiamento.