Resistiamo e combattiamo: la ricetta anticrisi dello chef Ettore Moliteo

 

Ettore Moliteo è lo chef al Mater Terrae dell’hotel Raphaël, l’unico ristorante di alta cucina vegetariana della capitale. È un giovane serio e preparato, schivo quanto basta a sottrarsi dalla ribalta così amata dai cuochi, disarmante nella sua sincerità quando l’intervista, che doveva concentrarsi sulla formazione, si sposta inevitabilmente sul tema che ci riguarda tutti, il Coronavirus. Una sciagura che si sta abbattendo sulla nostra nazione come uno tsunami, resa visibile ed amplificata dal silenzio surreale che si percepisce proprio nelle sale vuote dei ristoranti, dove l’unico rumore che si ode forte e chiaro è la suoneria del telefono, che squilla fastidioso per annunciare che sì, un’altra disdetta è arrivata. Per non perdersi d’animo, il mondo della ristorazione e dell’albergatoria studia le misure per correre ai ripari, o quantomeno per limitare i danni, ma ancora una volta è il buon senso la via migliore da seguire, e in questo il pensiero di Ettore non fa eccezione. “Da circa una settimana abbiamo avuto un calo abbastanza importante di parte di turisti stranieri – conferma -, è iniziato tutto negli ultimi giorni, quando l’epidemia ha cominciato a estendersi dalla Lombardia verso sud raggiungendo Roma. Purtroppo le compagnie aeree estere non ci hanno aiutato, cancellando molti voli e quindi anche i turisti che erano nostri ospiti e dovevano restare più giorni sono stati costretti ad andarsene a causa di voli soppressi. Per noi è un bilancio pesante, considerando che solo il 10% della nostra clientela è italiana”.

È un nemico di cui conosciamo poco, il Coronavirus, di lui sappiamo solo che si propaga a grande velocità, ma la stima per la messa a punto di un vaccino è di mesi, forse un anno. Nel frattempo l’Italia non sta a guardare, e il mondo della ristorazione anziché leccarsi le ferite sceglie la via della razionalità e del buonsenso. “Noi attuiamo sempre le politiche di sicurezza – precisa Moliteo – adesso ad esempio lavoriamo indossando dei guanti in lattice per preservare gli ingredienti. Siamo da sempre abituati a lavarci spesso le mani, però in questi giorni prestiamo una maggiore attenzione”. E i fornitori? “Gli ordini sono molto ridotti – dice – così come il personale. Stiamo cercando di limitare al massimo gli sprechi, ma sappiamo che questa situazione prima o poi riguarderà tutti noi”. Tra gli chef, romani e non solo, si cerca di creare una rete di salvataggio, ma l’idea giusta tarda ad arrivare, e il panico inizia ad essere qualcosa in più di una semplice sensazione. “Molti dei miei colleghi hanno chiuso il ristorante e questo non è un buon segno – continua Ettore Moliteo -. Cerchiamo di resistere, combattiamo, pensiamo a strategie di marketing da applicare quando la tempesta sarà passata, cerchiamo di fare delle agevolazioni, delle promozioni. In albergo lo stiamo già facendo, ad esempio a chi ha prenotato la camera offriamo altri servizi come il transfer o altro, cerchiamo di invogliare la vendita in generale. Facciamoci forza, insieme cerchiamo di eliminare questa paura che c’è tra la gente, non infondata ma forse neppure  così grave”.

La paura si vince combattendo l’ignoranza, e a questo proposito va sfatato il mito del ristorante vegetariano che serve due foglie di insalata e poco più. La cucina di Ettore, prima di essere coloratissima, è gustosa e sostanziosa, affonda le radici nelle sue origini siciliane ben evidenti. Ci si alza da tavola soddisfatti, insomma, sia per il pasto che per il meraviglioso contesto in cui viene consumato. Una delle terrazze più belle e intime della Roma antica, letteralmente incastrata tra le cupole delle chiese e i palazzi storici, a due passi reali da piazza Navona. Ma come si diventa chef di un ristorante vegetariano? “Sono qui da 3 anni – risponde Ettore -. Ancora non ci sono delle vere e proprie scuole che ti insegnano questo metodo di cucina. Io ho imparato al Joia con Pietro Leeman che mi ha formato nel 2015. Rispetto alla ristorazione convenzionale è il modo di pensare che cambia, ad esempio imparando a bilanciare i piatti con l’utilizzo di proteine naturali come il sedano e il tofu, che lavorati in un certo modo danno risultati interessanti. Bisogna appagare il cliente, non dobbiamo solo fare piatti salutari, ma anche belli e sostanziosi. Una persona non si può alzare dal tavolo e avere ancora fame, questo è il principio. Io, rivisitando la tradizione soprattutto siciliana, riesco a proporre ricette che nascono vegetariane come la caponata”. Dicevamo che i piatti sono anche belli. “Sì, dalle verdure otteniamo un sacco di colori, non utilizzo mai coloranti chimici in cucina, quindi rosso = barbabietola, carota = arancione. E poi niente zuccheri o farine raffinate”.