Romeo, che diceva di vendere auto usate //Storie di Roma

Siamo proprio agli inizi degli anni sessanta. Armando al Pantheon era poco più di una bottiglieria e la mattina era frequentato da personaggi che adesso non esistono proprio più. Personaggi che facevano parte del vissuto quotidiano di una Roma che, a quei tempi si presentava forse, un po’ provinciale, ma sicuramente più romantica e verace di adesso. Il Pantheon era un paese dentro la città. Un posto dove ci si conosceva tutti, dove tutti sapevano tutto degli altri e dove la condivisione non era una forzatura  ma un piacere. In questo contesto, tra l’altro piazza della Rotonda era un luogo di ritrovo per i sensali che commerciavano in ovini, bovini, somari e manodopera per la pastorizia, si inseriva a pieno merito anche Romeo che, usando “Armando” come ufficio, vendeva automobili usate. Parliamo delle vecchie Topolino, le Fiat 1400, le Fiat 600, le Giulietta Alfa Romeo, gli autocarri da trasporto. Vi confesserò una cosa, in verità, a me, Romeo, ricordava molto Alberto Sordi che, nel film “Il segno di Venere”, cercava di vendere un’automobile di dubbia provenienza a Peppino De Filippo e che nonostante le infinite rassicurazioni e chiacchiere non ci riuscì. Ecco Romeo era proprio così, tante chiacchiere e pochi risultati. Io personalmente non ricordo di avergli mai visto vendere una macchina a chi che sia, arrivando persino a dubitare che queste macchine esistessero per da vero ma, a parte ciò, lui aveva un carattere allegro, scherzava con tutti e il suo gioco preferito era quello di portare il suo interlocutore, di solito i garzoni che venivano a consegnarci la spesa, a pronunciare la domanda  – Chi?-  a cui lui invariabilmente rispondeva  -‘Sto caxxo!!! – mettendosi subito dopo a ridere felice per la sua battutaccia! Che ne so? Per fare un esempio, domandava a “Fabio il macellaretto”: – Ma quello che va in giro per Campo de’ Fiori a di che sei stupido, è un amico tuo? –  e allo stupito – Ma chi? – di Fabio, il gioco era fatto.

Teatro-Marcello-Portico-Ottavia-Roma

Fra queste sue vittime predestinate ce n’era una che non riusciva proprio a far fesso. Era Carletto, un furbacchione che veniva tutti i giorni da Trastevere per consegnarci la pasta fresca e le uova. Lui, col fatto che era un trasteverino “scafato” quando il nostro lo interpellava, come diciamo noi a Roma, stava in “campana” e non rispondeva a domande che riteneva sospette. Passava davanti a Romeo, grugniva un qualche saluto e inforcando la bicicletta che usava per le consegne, spariva al volo. Romeo, questa cosa, non riusciva a mandarla giù, per lui era una questione di principio, a tutti i costi, doveva riuscire a fregarlo.  Noi tutti sapevamo del suo patire e su questa cosa: riuscirà a fregarlo o no, facevamo anche delle scommesse. Io ero del partito dei no, ma Armando che conosceva bene il marpione, non aveva dubbi: – Lo frega, stai sicuro che, prima o poi, lo frega!.

Eccoti che una mattina, Romeo fermò il ragazzo e con faccia serissima e interessata gli chiese: «Senti un po’ Carle’, tu che lavori nel campo da tanti anni e me dai l’idea de esse’ uno intelligente e preparato, me poi risponne a ‘sta domanda? »

Il ragazzo lo guardò incuriosito, stava li, li, per filarsela ma poi, visto che Romeo era serissimo, dopo un attimo di esitazione:

«Che ve s’è sciorto sor mae’ ?» gli chiese

Romeo non aspettava altro.

«Ma tu che te ne intenni, me sai di’, le ova per quanto tempo se mantengheno fresche?»

Carletto d’istinto rispose:

«Fino a dieci giorni potete sta’ tranquillo, sor Mae”!»

«Ne sei sicuro?» ribatte l’artista.

«Certo che so’ sicuro!» rispose Carlo firmando la sua fine che, come una mannaia gli piombò tra capo e collo.

«Ma allora come che….io c’ho ‘ste du’ ova che dopo 75 anni so ancora freschissime!» gli buttò là Romeo indicandosi il basso ventre in maniera molto eloquente e mettendosi a ridere.

Un applauso e fragorose risate, partirono anche da tutti noi che, pur con finta noncuranza, stavamo aspettando la stoccata!!! Il pischello si fece una risata anche lui ma nel salire sulla bicicletta gli disse:«Sor Monsiù, le ova vostre, so fraciche da un pezzo. Comunque, nun me ce fregate più !» E così fu!