Fundim Gjepali: il nuovo arco tra Italia e Albania

18 domande per conoscere Fundim Gjepali, classe 1981, nato a Shijak (Durazzo) che arriva in Italia nel 1996 ed oggi è cuoco-arco tra l’Italia e l’Albania. Executive Chef del “Padam Boutique Hotel & Restaurant” di Tirana e dell’ “Antico Arco” di Roma, si sente cittadino del mondo, teme l’inquinamento, ama l’autunno, ammira profondamente le eccellenze artigianali gastronomiche italiane e non crede nei confini, “perché il mediterraneo può stare tutto in un piatto.”

Ho conosciuto Fundim Gjepali una mattina in ufficio, durante una delle nostre tante riunioni con gli chef per capire che tipo di lavoro stiano conducendo, quali siano i loro nuovi progetti, quali le critiche e le riflessioni sul contemporaneo panorama della ristorazione. Mi ha subito dato l’impressione di un uomo solido, sveglio, con uno spiccato piglio imprenditoriale ma incline al sorriso, caparbio, carico di voglia di fare e fare bene. Non sapevo ancora che fosse lo chef del ristorante “Antico Arco” dal 2008, (Porta San Pancrazio – Roma), il nome mi suggeriva qualcosa ma non sapevo ancora che fosse albanese, né potevo immaginare quante domande e quanto interesse avrebbe generato in me questa nuova cognizione.

Quindi, curiosa come un gatto, sono andata a trovarlo e a farmi raccontare il suo punto di vista, ordinando con rispetto dal suo menu personale una porzione della sua vita, una della sua formazione, una della sua cucina ed una della sua visione dell’Italia. Per i piatti del giorno, la carta dei vini e i dolci ho poi programmato di raggiungerlo in Albania, così come ho fatto, per approfondire la conoscenza di una terra vicina e sconosciuta con un Reportage Enogastronomico e Culturale in quella che viene definita “la Terra delle Aquile”. (Ma questa è un’altra storia da leggersi presto sul nostro futuro FoodBook cartaceo).

Quando sei arrivato in Italia e perchè?

Era il 1996, l’Albania era un Paese in guerra, molto problematico, sono arrivato in Italia facendo base da mio cognato che già viveva a Roma, per cercare qualcosa di meglio, una vita migliore. La mia famiglia è di agricoltori ed allevatori, non abbiamo sofferto direttamente, ma i problemi economici, la situazione difficile, la crisi finanziaria, 50 anni di dittatura isolata e molto feroce, avevano reso l’atmosfera pesante. Noi tutti sognavamo di andare via. Di andare a lavorare fuori per far rinascere la nostra Albania e questa volontà l’ho portata nel mio cuore. Fin da piccolo sono stato un sognatore, mi sono sentito sempre cittadino del mondo. La mia era una famiglia patriottica, ma io sono cosmopolita, i confini per me non hanno senso, il mediterraneo è uno solo. Come nella mia cucina. 

Cosa pensi della tua Albania e del tuo popolo?

Nonostante mi sia realizzato in Italia, la mia volontà è stata sempre quella di tornare per ridare qualcosa al Paese in cui sono nato, che ho sempre visto con grandi potenzialità. Lì sono nati uomini importanti ed io non mi sono mai sentito inferiore. Questa cosa mi ha fatto sempre sentire carico, ho sempre pensato che quell’Albania lì era temporanea, proprio perché conosco la volontà e la tenacia che possiede il popolo albanese. Gli anni ‘90 sono stati difficili anche perché sono coincisi con lo svuotamento delle carceri, che ha inciso tantissimo sulla reputazione del nostro Popolo. A Tirana oggi ci sono circa trentamila italiani che risiedono, lavorano e vivono un’Albania diversa, un’Albania che può fare business, con tanta energia che in Italia non si trova più.

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Come hai iniziato a lavorare in cucina?

Sono arrivato da mio cognato, ero minorenne e non potevano prendermi a lavorare ufficialmente. Ma la situazione era diversa, non c’erano i controlli che ci sono adesso, soprattutto in provincia. Così ho iniziato a lavorare in un agriturismo, ho lavato i piatti per neanche un mese poi lo chef, rendendosi conto della mia manualità (complice la mia macelleria di famiglia), mi ha detto che ero sprecato e mi ha portato in cucina. Avevo 15 anni, in un anno ho imparato tantissimo: tutti i tagli di carne, la pasta, il pane. Sono quelle gavette faticose che sono fondamentali nella vita. Il contatto con il cibo buono e le materie prime è stata una grande scuola per capire tutto, da come si lavora a come si impiatta, da come si conserva a come si fanno gli insaccati.

E poi cos’è successo? Come ti sei formato?

Da lì le stagioni in grandi alberghi della costiera romagnola, poi “Al Ceppo”, ancora adesso icona della ristorazione romana dal 1964, dove sono entrato in contatto con una grande materia prima ed ho imparato a padroneggiarla. Poi ho fatto tutto quello che potevo fare, sono stato in tutte le situazioni da cui potevo imparare, in tutti i forum della gastronomia, con la grinta e la curiosità di fare, di studiare, di approfondire.

Hai citato “la gavetta”, quanto è importante nella crescita professionale di un cuoco che voglia intraprendere seriamente questa professione?

La gavetta è tantissimo, ma oggi come oggi c’è solo una piccola percentuale di cuochi che accetta spiritualmente di farla, perché è pieno scorciatoie, che però sono ingannevoli. Adesso spesso capita che hai un amico che lavora lì, si libera un posto, si va e si passa dalle basi, che non hai, alle tecniche gourmet. Io strappo i CV quando vedo 3 mesi qui e 3 mesi lì. Non ci si può fare affidamento, perché non si può capire una cucina in così poco.

Ben oltre le mode e le tendenze cosa credi sia davvero importante in cucina?

Secondo me un cuoco deve conoscere tutto, dai prodotti dell’ azienda agricola alle eccellenze di nicchia, deve soprattutto capire cosa significa allevare al naturale, la differenza con gli allevamenti intensivi, il sapore del pesce pescato. Ha più senso la cultura gastronomica delle tendenze, che sono in continuo cambiamento e che passano di moda. Poi l’Italia è davvero Paese spettacolare, con grandi artigiani: qui si tocca con mano delle materie prime che altrove puoi solo sognare.

Come hai selezionato i fornitori dell’Antico Arco e su quali principi basi le tue scelte?

Io sono maniacale da questo punto di vista. Conoscono i nostri fornitori uno e per uno e non abbiamo un solo allevamento intensivo, dalle uova, ai piccioni, al formaggio: noi ci crediamo. Io non ho paura di nulla, ma l’inquinamento mi fa terrore. La gente fa finta di niente, come se non fosse una cosa importante e non c’è bisogno di diventare vegani per salvare la terra, esistono tante possibilità, tanti modi per produrre energia pulita.

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Mangiare sano è quindi diventato un lusso?

L’eccellenza non arriva alla grande distribuzione. Anche mangiare un buon salmone selvatico o il semplice latte che sappia di latte o l’olio Evo o un pollo sano, è diventato difficile. Le persone dovrebbero ricevere più informazioni. In Italia si può ancora mangiare bene a prezzi contenuti. Con un pò di fantasia si può vivere bene e di qualità spendendo poco. L’agricoltura, d’altronde, non si è mai sostenuta da sola, queste cose si fanno solo con le sovvenzioni statali, della Comunità Europea, garantendo un prodotto migliore a tutta la popolazione.

 

Cosa pensi degli italiani? Nel tuo percorso hai mai subito qualche tipo di resistenza o pregiudizio?

Io amo gli italiani, qui esistono dei grandi realizzatori di sogni. Tante sono persone squisite, con tanti valori. Io ho vissuto sempre a Roma, e Roma è davvero una città aperta. Sono stato accolto sempre bene dai colleghi e dai media, che si sono avvicinati a me con curiosità. Non mi sono mai sentito discriminato, inferiore. Le gelosie nel mondo del lavoro sono normali, ma il razzismo no, non l’ho mai subito né percepito e sono stato ospite di persone di ogni fazione politica, ben oltre i luoghi comuni.

All’Antico Arco avete una Sala e Cucina decisamente cosmopolita, questa inusuale convergenza di vite e culture cosa genera?

Genera successo, concentrazione, economia, energia, voglia di fare bene, di fare famiglia e squadra. La prima domanda che rivolgo non è “da dove vieni”, ma “cosa sai fare?”. Oggi all’Antico Arco coesistono 10 differenti etnie, perché dove c’è multiculturalità ci sono energie in circolo. La formula del successo, ironizzando un giorno con mio padre, si è spesso rivelata questa: “più lontani li prendo e più funzionano meglio”. Inoltre questo è un posto che da serenità, la maggior parte dei ragazzi che lavora qui sono entrati giovani, adesso hanno moglie e famiglia.

Torniamo al 2008, cosa significa per te questo anno?

Un anno importantissimo. Mi arrivò voce che cercavano qualcuno in cucina all’Antico Arco. Con Patrizia Mattei e Maurizio Minore, il marito, è nato subito un feeling, hanno investito tanto su me. Ci siamo capiti subito. E’ stato l’incontro che mi ha cambiato la vita. Poi il mio lungo percorso qui dentro ha loro dimostrato che avevano visto bene. Dopo qualche anno mi hanno fatto socio e questo posto è diventato la mia casa a tutto tondo. Io sono arrivato qui fidanzato, adesso sono spostato ed ho due figlie. Oltre la crescita professionale anche quella umana è importante.

Quando sei arrivato all’Antico Arco già conoscevi la cucina romana? Qual è lo stile di cucina che qui proponete?

Già conoscevo i piatti tradizionali romani, le basi più importanti, e non sono mai stati semplici da realizzare. Per quanto sia una cucina povera, qui vogliamo sublimarla e non è stato facile imparare le tecniche per mantecare alla perfezione la cacio e pepe, renderla cremosa senza strappare il formaggio. Adesso Amatriciana, Carbonara e Cacio&Pepe fanno parte di me, sono 3 piatti che piacciono tanto ai nostri clienti, che abbiamo rivisitato ed alleggerito secondo il nostro stile usando materie prime buonissime, sgrassando il guanciale, cercando di mantenere inalterato il gusto in una versione più leggera, calibrato su ogni stagione. Per esempio, quando il pecorino ha per una stagionatura troppo salata, lo tagliamo con il parmigiano, e non ne facciamo un mistero.

Quali sono le materie prime che preferisci utilizzare?

Non esiste una materia, esiste la stagione! Non ho preferenze, amo quello che la terra offre, è lo chef che deve valorizzare il prodotto.

E allora qual è la stagione che preferisci?

L’autunno. L’autunno mi emoziona, escono dei piatti pazzeschi con i funghi, la zucca, le castagne, i tartufi. E’ una stagione che mi risveglia gli ormoni gastronomici.

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Filetto di agnello in crosta di nocciole con cavolfiore e tartufo nero – Chef Fumdin Gjepali – Antico Arco, Roma

Come nascono i tuoi piatti? Qual è la filosofia che li genera e di quale visione si fanno ambasciatori?

I piatti devono essere golosi, come quando da piccolo vedevi una torta e non riuscivi a resistere, e come per il Polpo grigliato, quinoa rossa e salsa barbecue che abbiamo tra gli antipasti. Il segreto è questo: piatti buoni, golosi, non troppo complicati, perché non bisogna dimenticare mai che l’evoluzione dello chef non va di pari passo a quella del palato del cliente.

Qual è il piatto su cui nessuno avrebbe scommesso che ti ha dato maggior soddisfazione e relativo gradimento di pubblico?

Il kebab aperto, nato da un’idea una sera qualunque: carne di agnello laziale e coscia d’anatra arrostite, misticanza romana, quella vera, con salsa al cetriolo con zenzero, cipolla rossa e salsa piccante home made con pomodoro confit, impiattato sciolto, molto moderno. Sulla stessa scia quest’anno abbiamo rivisitato un altro classico, uno spiedino di carne con verdure. Semplice, buono e che piace. Qui la gente viene per mangiare e mangiare bene, certi della qualità di ciò che sarà servito loro.

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Kebab aperto – Chef Fundim Gjepali – Antico Arco, Roma

Quali sono i piatti dell’ Antico Arco in cui hai amalgamato le tue origini albanesi con le abitudini italiane?

Uno su tutti: Uovo confit, yogurt, crema di asparagi e tartufo. Un piatto della mia famiglia, di mia nonna che abbiamo tenuto in carta circa 4 anni e c’è ancora chi ce lo chiede e se lo fa preparare appositamente. Poi l’ Agnello con le nocciole. Il piccione, sempre come lo faceva mia nonna nel camino, riproposto con le ciliegie alla vaniglia e le patate affumicate. La gente non lo sa, ma quelle sono le mie radici.

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Uovo confit, yogurt, crema di asparagi e tartufo – Chef Fundim Gjepali – Antico Arco, Roma

Che tipo di cucina proponi al Padam di Tirana? E l’Albania è pronta ad accogliere una cucina più complessa?

L’Albania in sé è pronta, ma ancora non regge una cucina di altissima qualità perchè se non funziona il ceto medio alcune filosofie di cucina non riescono ad attecchire. Al “Padam” abbiamo in carta numerosi piatti dell’Antico Arco che mi piace affiancare ai grandi classici internazionali sui quali gioco. La cucina albanese possiede dei piatti poveri ma buonissimi come i byrek, gli agnelli arrosto, le zuppe, le preparazioni a base di verdure e pasta fillo stesa ancora con il mattarello come una volta. Una cucina di contaminazione tendenzialmente turca. Ed esistono tanti piatti che gli chef albanesi non hanno il coraggio di rivisitare. Come le rane, la quaglia o le animelle, che si utilizzano anche tantissimo in Albania e che io preparo alla diavola, leggermente piccanti con patate e lime, impanate con polvere di peperone e peperoncino.

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Ho ringraziato, abbracciato e salutato Fundim Gjepali come si fa con i cari amici, stringendoci la mano con la promessa di rivederci in Albania per conoscere da vicino, con e tramite lui, le tradizioni, i luoghi, la cultura, i cibi, i vini e le molteplici sfaccettature di una terra vicina e sconosciuta che, come scriveva Indro Montanelli, è “una e mille”.

Sara De Bellis

FUNDIM GJEPALI – Excecutive Chef

“ANTICO ARCO”

Piazzale Aurelio, 7, 00152 Roma RM – Italia

http://anticoarco.it/

“PADAM BOUTIQUE HOTEL & RESTAURANT”

Rruga Papa Gjon Pali II, Tirana 1001, Albania

http://padam.al/#restaurant