I sapori dell’Umbria rivivono nei piatti di Paolo Trippini

William Turner, il grande vedutista del XIX secolo che incarnò l’incantamento del Bel Paese in quell’Italia romantica meta di Grand Tour, lascia nei suoi quadri l’impressione della memoria dei suoi occhi. Per ogni città, ogni paese, ogni tragitto un segno da lasciare indelebile sulla tela, quelle timide pennellate quasi velate che rimandano all’ideale di un sogno: un paesaggio onirico, che appartiene ad un altro tempo. Così nel 1828 Turner lasciò memoria di Orvieto in una paesaggistica veduta del piccolo borgo umbro. Quei colori, quelle sfumature dai toni autunnali, si riversano nei piatti di Paolo Trippini, Chef de La Badia * ad Orvieto e del Ristorante Trippini a Civitella sul Lago; lui che ama l’estate e i suoi sapori, ma predilige trasformare l’autunno in cucina in un territorio – come l’Umbria – non baciato dalla salsedine e dal blu profondo del mare. Come immersi in un fitto bosco, folate di vento cangiano il tempo e la stagionalità dei prodotti, assioma indissolubile dello chef, ben saldo e radicato alla tradizione che come solide mura protegge la storia di una famiglia votata alla ristorazione che ebbe inizio negli anni ’60 con il nonno Giuseppe. Mentre a Roma Alberto Sordi girava “La mia Signora” nonno Giuseppe apriva “Da Peppe se pappa”, un’idea di accoglienza che il nipote Paolo ha mantenuto all’interno del suo ristorante. Il territorio verdeggiante, che si mescola al ceruleo lago, fa da sfondo a un’esperienza culinaria indimenticabile. Nonostante questo radicamento al sottobosco lo Chef ha dovuto fare una piccola deviazione, per la clientela internazionale, e inserire nel menu prodotti ittici mantenendo, però, sempre intatta la propria identità che caratterizza la sua attività.

Non fare il cuoco mi manca – mi dice – Essere in cucina. La ristorazione oramai è una grande macchina imprenditoriale: bisogna curarla, starci dietro e prestarle le giuste attenzioni. Non dico che manca la passione, sento solo la nostalgia dello “scorrazzare” tra una pentola e una padella. Se adesso pensassimo ad un pittore intento a raffigurare l’immagine dello Chef, lo vedemmo posizionato in sala, tra le chiacchiere dei commensali, gli stessi che: hanno alzato l’asticella. Una crescita culturale sulle conoscenze culinarie, che rendono le loro aspettative sempre maggiori. Una parentesi malinconica che passa in secondo piano quando, rientrando in cucina, Paolo Trippini ha la possibilità di poter cucinare per i suoi ragazzi, la sua squadra, come la chiama lui, quei volti soddisfatti e devoti quanto lui al sacrificio di un lavoro che ti impegna a 360°. Nutro un gran rispetto per i miei ragazzi; ogni volta, al termine del turno, credo sia doveroso far loro un regalo. E cosa, se non un pasto cucinato con amore: Il mio modo per dire grazie! L’unica cosa che so fare è cucinare; non mi chiedete di riparare qualcosa, montare un mobile, non ne sono capace, mi sento goffo. Un mestolo al posto di un martello, e mi sento a casa, sicuro.

A proposito di casa, quando torna nella sua di casa, cosa prepara per sancire quell’intimo momento di condivisione che è la cena, dove gli sguardi stanchi di una giornata faticosa si rigenerano e si possono finalmente rilassare?

In realtà, non vorrei deluderti, ma cucina la mia compagna. Sai, però, cos’è che mi concilia con la vita e mi dona conforto? (suspance) Una bella tazza di latte freddo in cui poter intingere una buona brioche o dei biscotti. Proprio come piace a me.