Il Master Wine Gabriele Gorelli: “Oggi sono quello che volevo essere”

Un vero gentleman del vino, Gabriele Gorelli, classe ’84 di Montalcino è il primo Master Wine italiano ed è il 418° esponente del The Institute of Masters of Wine di Londra, la più prestigiosa organizzazione dedicata alla conoscenza e al commercio del vino. La notorietà ricevuta, che lui stesso ritiene fin troppa, non era prevista. Sette anni fa quando intraprese questo lungo percorso di studio Gabriele voleva essere quello che è oggi, questa strada gli ha permesso di crescere non solo come professionista ma soprattutto come uomo. Il vino ha sempre fatto parte della sua vita, sin da piccolo, grazie al nonno Giancarlo, che con il suo mezzo ettaro di vigna a Montalcino, gli ha aperto un mondo che ha fatto suo. Il 26 febbraio è giunta la proclamazione come Master Wine, la certificazione a un titolo che lui già sentiva suo. Il mese prima dell’esame Gabriele è diventato anche papà, un evento che ha reso questo momento ancora più ricco di significato. Uomo garbato e generoso, lo testimonia il fatto, che lui stesso ritiene ingiusto il poco spazio che è stato riservato all’amico e collega, Matteo Montone, a seguito del raggiungimento del titolo di Master Sommelier. Per Gabriele il vino è condivisione, un mezzo che permette di far nascere relazioni destinate a durare nel tempo, a cui, il Sistema Italia, dovrebbe riservare maggiore attenzione.

Gabriele, dopo il titolo di Master Wine è cambiata la tua vita?

Certo che è cambiata sono passato da avere prestigio ad avere notorietà, già prima del titolo facevo quello che un Master Wine dovrebbe fare, quando poi è arrivato il riconoscimento si sono aperte parecchie opportunità anche con le aziende. La grande energia che prima riservavo solo al master ora la indirizzo verso queste importanti relazioni.

Il vino per te è da sempre una questione familiare, tuo nonno era tra i più piccoli produttori di Brunello di Montalcino, è stato lui a trasmetterti questa passione?

Mio nonno paterno Giancarlo produceva vino diciamo a livello hobbistico, aveva mezzo ettaro di Brunello a Montalcino e lo imbottigliava, sono 13 anni che non c’è più. Lui mi ha insegnato la parte del lavoro in cantina e in vigna e questo mi ha affascinato, faceva il postino e quando è andato in pensione si è dedicato all’azienda. Mio nonno materno si chiamava Assunto, era un agronomo classe ’23, che non ha mai esercitato la sua professione. I miei nonni sono l’esempio che se vuoi davvero fare vino puoi farlo indipendentemente dagli studi fatti. A Montalcino vent’anni fa la situazione era differente, tutta incentrata sulla produzione, trascurando la comunicazione, io mi sono inserito all’interno di questo anello debole, che oggi vedo ampliamente ricoperto. Sono entrato nel mondo del vino, volendo trattare dell’immagine e della sua comunicazione.

Sei il primo Master Wine italiano questo cosa può significare per il nostro Paese?

Il Master Wine è una figura che attraversa tutta la filiera di produzione del vino, riuscendo a metterlo in un contesto anche geopolitico, questa è un’istituzione inglese, che non essendo produttori diretti si sono aperti al mondo. L’Italia non aveva mai avuto un Master Wine non esisteva qualcuno che parlasse il loro linguaggio e avesse la loro formazione e non c’era la capacità del Sistema Italia di arrivare a certi livelli. Ora con me, come già successo, c’è qualcuno che siede al tavolo dove si  prendono importanti decisioni commerciali e si sviluppano trend. È un tavolo di macro tendenze globali, 418 persone provenienti da 32 paesi differenti, è bello vedere come la semplicità di comunicazione anglosassone aiuti nell’avviare un processo di condivisione, in maniera sana e pulita senza forzare nulla.

Il settore del vino italiano ha causa della pandemia ha subito forti ripercussioni, qual è l’attuale stato di salute?

La situazione è delicata ma non disastrosa, nel 2020 a causa della pandemia abbiamo dovuto accontentarci solo di specifici canali per l’uscita del vino. Sospendendo fiere ed eventi le aziende hanno speso meno soldi, riuscendo la limitare i danni dovuti dalle mancate vendite. Oggi un’azienda deve essere più segmentata possibile, avendo canali e mercati differenti, se questa ha una consistente anagrafica di clienti può barcamenarsi. I canali dell’ off trade sono quelli che hanno dato più ossigeno, la gdo ha fatto crescere le vendite per alcune tipologie di vino, vedi il Vermentino come varietà, è cresciuto in valore. Il Prosecco ha chiuso positivamente più 500 milioni di bottiglie vendute, Brunello e Barolo sono stati venduti prima dell’ingresso dei dazi imposti da Trump, limitandone i danni. Tutto questo accadeva nel 2020, il 2021 non avrà queste possibilità e bisogna pensare al post pandemia.

Quali sono le soluzioni da adoperare per superare questo periodo di stallo nel mondo del vino?

Io sono sempre stato un forte sostenitore delle relazioni, le aziende devono avere delle relazioni sane e nutrite con i propri stakeholder, non contano solo i numeri. Questi rapporti salvano sia  l’azienda che il cliente perché permettono a entrambi di trovare soluzioni per limitare i danni. L’e-commerce ha triplicato la propria crescita anche se non sostiene tutte le perdite subite. La pandemia ha accelerato i tempi perché molti si sarebbero orientati agli acquisti online per il vino. Anche la parte di comunicazione verso il cliente finale, che spesso veniva lasciata indietro, parlando solo con gli importatori o i ristoratori, dal 2020 c’è stata la necessità di una verticalizzazione della comunicazione che dall’azienda arrivasse al cliente finale, riuscendo anche ad attrarre. C’è la ricerca del rapporto umano tra produttore e consumatore, l’emblema della vita di campagna è quello che il cliente ricerca. Questo è l’anno in cui si farà un enoturismo di qualità quello bello no mordi e fuggi, un turismo dolce e meno spot che ci ridarà la voglia di sole, calore e relazione.

Chi vuoi ringraziare per esserti stato vicino durante il Master?

Sicuramente la mia fidanzata, che seppur con una dose di responsabilità, perché mi ha consigliato lei di partecipare, ammetto che mi ha supportato tanto in tutte le fasi. A lei devo molto perché è riuscita a consolarmi, passo dopo passo abbiamo raggiunto la cima della montagna, a lei va il mio ringraziamento e quando siamo diventati genitori, per il mio primo mese sono stato latitante, ma è stato e sarà l’unico mese lontano da mio figlio. Non posso non ringraziare i miei compagni di studi storici Andrea Lonardi, direttore operativo di Bertani Domains, e Pietro Russo enologo di Donnafugata, loro si devono preparare all’esame e si appoggiano a me. Si è creato un gruppo di lavoro leale e coeso.

Sei stato contatto dal mondo delle istituzioni, dopo il riconoscimento raggiunto, per rilanciare il vino italiano?

Si, il primo è arrivato da uno dei partner del master, ossia Grandi Marchi, a livello regionale Stefania Saccardi, vice presidente della Regione Toscana, mi ha subito contattato. Questi sono dei tempi particolarmente duri per programmare, ho la sensazione che tanti si siano trattenuti perché non sanno cosa vogliono fare ma va bene, perché credo che ci sia bisogno di una cabina di regia dedicata al vino, dove io potrei dare il mio contributo, considerando l’importanza del vino per il nostro Paese.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto lavorando a qualcosa ma mi ritaglio dello spazio per un incarico istituzionalizzato per promuovere il vino italiano verso l’estero, non voglio lavorare Italia su Italia perché già ci sono tanti professionisti che lo fanno. Negli ultimi mesi ho lavorato per il mercato Usa,  per quello giapponese e in Vietnam, dove c’è un mercato immaturo che potrebbe dare i suoi frutti.

Quale sarà la regione rivelazione per i prossimi anni?

Credo che sarà quella Regione che ci darà dei vini che non si potranno replicare altrove, vini dai tannini delicati, dai profumi di frutta rossa, con poco legno, con una sapidità e leggerezza che li rende bevibili, in Francia li chiamano vini Glu Glu è uno stile che si può ottenere in diverse regioni. Come i Valpolicella Classici, che hanno una nota salina che li rende non complicati. C’è bisogno dei cosiddetti vini “Grimaldello”, complessi ma non complicati che bevono tutti dagli appassionati ai neofiti.

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