La chimica in pasticceria, dalla farmacia al sac a pochè //intervista

Palermitana di nascita, donna dal piglio forte ma spronata da un limpidezza e gentilezza che si riflette nei suoi sagaci occhi azzurri, Rita Busalacchi è una pasticciera che si sta imponendo sulle scene dell’arte dolciaria italiana. La passione per i dolci la accompagna fin dalla più tenera età, maturando col la crescita ma senza offuscare la mente: Rita consegue la laurea in Chimica e Tecnologie farmaceutiche prima di dedicare la testa e le mani ai laboratori da cui uscirà pasticciera. Il rigore degli studi e le conoscenze tecniche fanno di lei una chimica dei dolci, senza inficiare minimamente nel gusto, anzi apportando la componente di correttezza nell’esecuzione nel bilanciamento degli ingredienti e ricerca di nuove prospettive. Affiancata nel percorso formativo da grandi interpreti internazionali, il suo valore e lavoro è stato riconosciuto ultimamente anche dall’Accademia Maetsri Pasticceri Italiani.

Il tuo percorso di studi non prevedeva la pasticceria, eppure oggi sei una stimata e riconosciuta professionista; quando hai sentito la passione per i dolci farsi largo nei pensieri? E come hai capito fosse la strada giusta?

Ho sempre avuto la passione per i dolci fin da quando ero piccola: ricordo che con mia mamma il pomeriggio preparavo biscotti e torte per la famiglia. All’età di vent’anni presi in mano il mio primo vero libro di pasticceria stile francese, da lì capii che quella sarebbe diventata la mia strada.

Quale percorso di formazione hai seguito per imparare l’arte della pasticceria?

Dopo l’università decisi di partire per la Boscolo Etoile Accademy dove entrai inizialmente come corsista e in seguito come stagista. Studiare in una delle migliori scuole d’Italia ed essere affiancata dai migliori chef pasticceri è stato un modo per me per apprendere molto velocemente e tuffarmi in un mondo che avevo sempre sognato.

Quale è stato il primo dolce che hai riconosciuto come tuo, che portasse la tua firma?

Il primo dolce che portava la mia firma è stato la “Dolce Pistacchio”: è stato il primo dolce che creai dal mio rientro in Francia. Tutt’ora questo è quello che più mi rappresenta e che più propongo ai miei corso come cavallo di battaglia: un perfetto equilibrio tra sensualità del pistacchio, l’acidità del lampone e la cremosità di una corposa crema diplomatica alla vaniglia.

La cucina può prevedere improvvisazione, mentre la pasticceria richiede rigore come una formula matematica: i tuoi studi ti hanno aiutato in questo?

Grazie alla mia laurea sicuramente ho apportato una mentalità chimica all’interno della pasticceria. Negli ultimi anni ho messo a punto un sistema matematico di bilanciatura che rende, qualsiasi utente dal professionista all’amatore, libero di potersi creare la propria ricetta in base al gusto immaginato. Tutta via mantengo un lato molto libero e creativo tipico della cucina perché il rigore è importante ma non bisogna dimenticare che la pasticceria è un lavoro sopratutto artistico.

Quali sono state le esperienze lavorative che maggiormente hanno influenzato il tuo modo di rapportarti alla pasticcieria?

Le esperienze più importanti sono state sicuramente il laboratorio di Luca Montersino dove ho affinato le tecniche di produzione, il laboratorio di Michalack dove ho rivoluzionato il mio modo di pensare, il laboratorio di Pierre Hermè dove ho appreso le tecniche di alta pasticceria francese e il laboratorio di Spinnato a Palermo dove ho avuto l’onore di lavorare con un grande professionista e il mio grande maestro Maurizio Santin.

Quali sono state le difficoltà maggiori nel lavoro in laboratorio?

Il lavoro in laboratorio è un lavoro duro e stressante; la vera difficoltà è riuscire ad avere un buon rapporto umano e fare squadra con i propri colleghi. Se si riesce a creare un buon ambiente anche i lavori più stressanti risulteranno più leggeri.

Insignita del titolo Pasticcere Emergente per AMPI, Accademia Maestri Pasticceri Italiani, solo pochi mesi fa, cosa significa per te?

Il premio Ampi è stato un grande riconoscimento per me, ricevere un premio inaspettato ed essere premiata per il 25esimo anno dell’Accademia è stato non solo un onore ma un modo per me per capire che sto lavorando nella direzione giusta.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che desidera diventare pasticcere?

Alle nuove leve consiglio di avere spirito di sacrificio, tanta umiltà di studiare e di non smettere mai di sognare. La caparbietà e la voglia di fare premieranno sempre prima o poi.

Cosa vuol dire per te “dolce moderno”? E quanto nella tua visione si contrappone alla pasticceria tradizionale?

Per me modernità non significa creare dolci dalle forme creative ma migliorare tecnicamente anche prodotti tradizionali grazie allo  studio e alle nuove tecniche oggi presenti. Penso che la modernità debba essere solo legata allo studio di sapori nuovi senza però dimenticare che un dolce non deve essere solo visivamente bello ma deve essere sopratutto buono da mangiare.

Quali sono per te le differenze tra un dolce da pasticceria e uno da ristorazione? Escludi in futuro di tornare a lavorare in un ristorante?

La pasticceria da ristorazione è una pasticceria con pochi limiti , ti permette di creare consistenze forme che in laboratorio non sarebbe possibile. Ho già lavorato in un paio di ristoranti, e chi lo sà magari un giorno tornerò a vestire il ruolo di responsabile di pasticceria in un ristorante.

I tuoi progetti futuri?

Il mio sogno è quello di aprire un attività  che possa portare la mia firma e vorrei realizzare questo progetto insieme a due persone importanti. Il progetto spazierà dalla cucina alla pasticceria, in collaborazione con lo Chef Franco Marino che si occuperà della parte salata e la Pastry Chef Valentina Mancuso per la parte di pasticceria francese.

Il tuo pasticcere di riferimento chi è?

Il mio pasticciere di riferimento è Guillaume Mabilleau per la sua forte innovazione, semplicità e ricerca del gusto.

Lo strumento che non può mancare fra le mani di un pasticcere e perché?

Il sac a pochè. A mio parere oggi i pasticcieri hanno dimenticato questa antica arte che richiede tanta manualità, studio.

L’ingrediente che vorresti sempre avere in laboratorio e perché?

La Vaniglia, adoro il suo profumo e il sapore che da alle preparazioni, lo trovo un aroma elegante e senza tempo.

Il tuo dolce preferito quale è?

Il babà per la sua consistenza spugnosa e quella bagna fresca, un dolce che potresti mangiarne a quantità.

Il dolce che vorresti preparare?

Zuppa inglese, una rivisitazione tecnica ma che mantenga i sapori classici di un dolce senza tempo.

Il dolce che vorresti mangiare?

È un buon tiramisù, adoro il contrasto dell’avvolgenza del mascarpone e l’amaro del caffè.