“La vita, amico mio, è l’arte dell’incontro”. Intervista a Marco Pucciotti, atipico regista di format enogastronomici di successo.

La vita, amico mio, è l’arte dell’incontro”, non è solo il titolo di un album del ‘69 di Vinicius De Moraes, con Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo, è anche ciò che continuo a pensare mentre parlo con Marco Pucciotti, faccia a faccia con l’unicità di un pensiero, con l’inusuale approccio imprenditoriale di un ragazzo, classe ’82, che ha istintivamente fatto propria “l’arte dell’incontro”, traducendola in business.

Trovo le persone, ci creo il progetto intorno e infine cerco il locale, è così che ho sempre fatto”, in queste sue parole è racchiusa l’essenza della sua filosofia professionale fatta di intuito, coraggio, creatività, conoscenza, condivisione, convivialità e lungimiranza: valori umani che si intrecciano potenziando un’innata quanto innegabile capacità imprenditoriale.

Chi infatti possiede la sensibilità di leggere le persone, l’intelligenza di saper cogliere le occasioni e di saperle incanalare nell’imprevedibile mare dei propri progetti, riesce a beneficiare di un potenziale umano che non potrà mai essere sostituito da nessun asettico capitale economico d’investimento.

Bisogna sapersi mettere sempre in gioco e in discussione, credere nei soci e nelle persone con cui condividi il progetto, sia nei momenti belli che in quelli brutti, senza mai dimenticare quali sono i traguardi prefissati.

Ed i suoi traguardi per il momento sono 13. Si, 13 locali in 11 anni, per ognuno di essi ha disegnato addosso un tatuaggio e sono tutti format di successo, in Italia come all’estero. “Quello che per me ha funzionato è stato costruire i miei format attorno alle persone, diversificare l’offerta mantenendo inalterata la qualità offrendo quello che cerca la gente: una buona pizza, una buona cucina gourmet, una trattoria evoluta, una buona focaccia, una buona birra, un buon cocktail, una bella atmosfera.

Ha in mente grandi progetti e nessuna intenzione di fermarsi, perché sceglie i suoi collaboratori su base empatica, verificando le capacità di ognuno su quella empirica, e quando trova un vero professionista, lo fa suo.

Così è stato per Epiro, bistrot romano dal sapore parigino, con i bravi e sofisticati Marco Mattana e Matteo Baldi, gli chef, Alessandra Viscardi, la maître, e Francesco Romanazzi, il sommelier; per  Santo Palato con la giovane quanto grintosa chef Sarah Cicolini; per Sbanco con il grande Stefano Callegari, artista di impasti e farciture; per The Italian Job con Giovanni Campari il mastrobirraio e la partnership di Birrificio del Ducato; per il recentissimo Blind Pig con Mattia Ria e Egidio Fidanza, i barman; per i Barely Wine con i publicans Mirco Gaffi e Francesco Capuana; per Hop&Pork con Fiorenza Morisi, che lo gestisce, e per il nuovo misterioso progetto che fa capo a Giuseppe Milana

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Nonostante questa imponente squadra di amici e soci, ha ancora tanti sogni chiusi nel cassetto, altri si stanno realizzando, altri, per il momento, rimangono segreti, ma nel silenzio compongono nuove strategie di sapori per definirsi e, rapidamente, affermarsi.

La condivisione è ciò che rende questo lavoro il più bello e leggero al mondo”, così mi dice mentre mi racconta che ha aperto il suo primo locale a Roma nel 2007 -l’Hop&Pork, sulla via Tuscolana- che fa ancora 500 aperitivi al giorno, tutti i giorni, anche oggi.

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Per non farsi mancare nulla ha poi puntato Londra aprendo diversi Pub, (quattro per la precisione), esportando birra artigianale italiana grazie ad un fortunato crowdfounding e traendo un vero successo londinese dal suo “The Italian Job”; adesso invece pensa a Milano ed altri noti amici-professionisti da coinvolgere in un saporito e solido progetto.

Perchè la sua vita è caleidoscopica, costellata di incontri e volti, città, spunti creativi, stimoli umani, aneddoti e cambi di rotta. Come quello decisivo per la sua vita, che da catering in “giacca, cravatta e papillon” lo ha portato ad indossare panni più comodi come “jeans, felpa e cappello da baseball” per padroneggiare con disinvoltura la sua nuova passione ed appendere definitivamente “l’uniforme” al chiodo.

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Il bello è che continua ad investire, a creare, a credere nel potenziale umano ancor prima dei conti economici, ad immaginare nuovi format, a diversificare, a viaggiare. Se doveste incontrarlo vi stupirà con la sua umiltà, con il suo tono pacato di voce, con le sue idee lucide ed intelligenti e con la sua insolita voglia di rimanere ben nascosto dietro le quinte.

In effetti ho dovuto attendere un pò per farmi concedere questa intervista, ma sono stata felice di aspettare e di realizzare che dentro ad un imprenditore di successo possa davvero celarsi un ragazzo semplice quanto sicuro della propria filosofia meritocratica, con un grande cuore e una grande mente, animato da un’instancabile voglia di fare grandi cose buone, che non ha paura di svelarci qualcuno dei suoi segreti e di fornirci preziosi consigli. Scopriamo quali.

Qual è il segreto di Marco Pucciotti?

Facile: credere nelle persone e aver voglia di mettersi in gioco ogni volta.

Da quanto tempo fai l’imprenditore nel settore Food&Beverage e come è avvenuto il tuo “changing life”: raccontami la tua storia.

I primi locali li ho presi in gestione nel 2004, ma è nel 2007 che è iniziato il mio percorso da imprenditore. Ho sempre militato nella ristorazione, ho frequentato l’istituto alberghiero, poi il tecnico per il turismo, infine l’Università Beni Culturali per Operatori del Turismo, e per tutto il percorso di studi ho lavorato negli storici catering di Roma, Vanni, Ottaviani, LeBonTon ecc

sempre in giacca e cravatta, sempre scarpe scomode e senza cappello, fino alla svolta del 2007 dove ho appeso “l’uniforme” al chiodo, mi sono messo il berretto e ho dato il via a tutto questo.

Secondo la tua esperienza, quali qualifiche o requisiti bisogna possedere per essere un imprenditore di successo?

Bella domanda, non credo esista la ricetta di elisir di lunga vita, di certo bisogna sapersi mettere sempre in gioco e in discussione, credere nei soci e nelle persone con cui condividi il progetto, sia nei momenti belli che brutti, senza mai dimenticare quali sono i traguardi prefissati.

Come nascono i tuoi locali e quanto è importante per te la componente umana per edificare un progetto vincente?

La mia fortuna e il mio orgoglio sono loro, i miei soci, ogni singolo locale è costruito intorno a loro e sono loro a renderlo unico! Io do loro solo una piccola spinta di incoraggiamento.

“Condividere” fa bene agli affari?

Credo sia tutto, almeno per me, con dipendenti, soci, clienti, fornitori, condividere idee, progetti, ma anche una birra o una bella mangiata, la condivisione è ciò che rende questo lavoro il più bello e leggero al mondo.

La giusta location, un solido business plan, un buon commercialista, uno staff affiatato, un buon food cost… Qual è l’elemento chiave nella realizzazione concreta e buona riuscita di un locale?

Anche in questo caso mi sento di essere abbastanza atipico. Tutto importante: location, staff, food cost, commercialista, personale, ci mancherebbe. Ma come dico spesso ci sono tre modi di fare impresa:C’è chi prende un locale, crea un progetto, cerca le persone… e fallisce; C’è chi crea un progetto, trova il locale, e cerca le persone… e sono circa l’80% degli imprenditori che conosco e in cui non mi rispecchio; E poi c’è chi come me, trova le persone, ci crea il progetto intorno e infine cerca il locale… è così che ho sempre fatto.

Qual è stato il primo locale che hai aperto e perchè?

Una piccola Enoteca di 40mq a Cinecittà nel 2007 perchè avevo deciso di togliermi i completi da pinguino e tornare a vestire in jeans, felpa e cappellino per rimettermi in gioco con una mia attività in periferia.

Quanti locali hai aperto fino ad oggi e come hai formulato i tuoi format?

All’attivo ho 13 attività, ma in passato due ne ho vendute e una l’ho inglobata in un progetto più grande. I format come detto prima sono idee, progetti e skill condivise con i miei soci volta per volta.

Quanti vorresti aprirne? Hai un obiettivo specifico?

Mai dato un limite, sono “stanchino” ultimamente lo ammetto, ma sarei bugiardo se dicessi che ho deciso di andare in pensione.

Qual è il locale che, ad oggi, ti da maggiore soddisfazione?

Beh, Londra non è proprio dietro l’angolo, e fare impresa a 2.000 km di distanza non è propriamente facile ne il mio modo appunto di fare impresa.


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Perché sei arrivato a Londra? Cosa pensi del Made in Italy e del valore di esportarlo?

Londra è Londra, non c’è Brexit o Rivoluzione che tenga, sempre all’avanguardia, sempre attenta, sempre in mutamento, attenta alle mode e ancora oggi innamorata del Made In Italy vero e verace, il format del “The Italian Job” è da sempre proprio quello, Birra Artigianale Italiana e Food di chiara contaminazione Italiana. 

Comunicazione, Burocrazia, Fornitori, Uffici stampa… Dimmi una cosa che ti soddisfa e una che cambieresti di questo nostro mondo enogastronomico.

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

Quali sono i maggiori rischi che fanno parte del tuo lavoro?

Siamo in Italia, è inutile vedere sempre tutto rosa e fiori, di facile non c’è nulla e i rischi sono sempre tanti, per quello si chiama IMPRESA .

Qual è la tua fortuna?

Sono un ragazzo fortunato, sempre al posto giusto al momento giusto.

Su quali progetti vuoi concentrare i prossimi tre anni?

L’inaugurazione del Blind Pig Roma il Cocktail Bar, due cantieri in corso con apertura metà febbraio e spero un terzo progetto da realizzare entro un anno con un altro grande Imprenditore, Professionista e Amico, magari a Milano. Questo quest’anno, oltre non so.

L’Italia è ancora un buon posto per investire?

Come faccio a dire di no? Ma come faccio a risponderti di si?

Oltre a Roma dove vorresti aprire il tuo prossimo format?

Entro un anno con un altro grande Imprenditore, Professionista e Amico, magari a Milano.

Quale consiglio daresti a chi voglia a aprire un proprio locale?

Non sono tipo da “fatelo”, non è facile nè economico fare impresa in Italia, ma se fare ristorazione è la vostra vita, il vostro credo, la vostra passione, allora buttatevi, siate imprenditori di voi stessi, ma non nei luoghi della movida o al centro di Roma, scendete sotto casa, guardatevi intorno e domandatevi cosa manca e cosa fa per voi, non fermatevi al “non c’è niente e nessuno in questo quartiere”, 11 anni fa Cinecittà era terra di nessuno, e ora l’Appio/Tuscolano è la casa e la culla di tutte le mie attività.

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