Il fatto era che il suo corpo, sgraziato ed ingombrante, faceva un rumore, ogni volta che tentava di muoversi, veramente fastidioso.
La luce, che filtrava da sotto la porta, era la prova che lei ancora non dormiva. Si fece coraggio. Si rassicurò pensando che aveva fatto tutte le cose per benino e che quindi lei non poteva immaginare neppure lontanamente che in quel momento lui, scalzo e sudato per la tensione, si trovava tra il salotto e la cucina con il coltello tra le mani.
Eh sì! Riuscire a prendere il coltello era stato il suo capolavoro. Lo aveva sfilato dal cassetto facendo in modo che lei non se ne accorgesse; infatti, mentre era intenta a preparare uno dei suoi deliziosi dolci che poi avrebbe consumato il giorno dopo durante il solito tè con le amiche, se l’era fatto scivolare nella manica della giacca senza fargli fare il benchè minimo rumore. Sapeva benissimo che prenderlo a quell’ora della notte sarebbe stato impossibile: il rumore l’avrebbe certamente svegliata. Ora era tra le sue mani e presto sarebbe stato utilizzato. Provò a fare un piccolo passo. Macchè! Troppo rumore. Il sudore gli imperlò la fronte e allora si rassegnò ad aspettare che la luce si spegnesse e, come un gatto in agguato, non si mosse più. Passò mezz’ora. Un’eternità per lui! Finalmente fu il buio. Aspettò ancora dieci minuti. Silenzio. Si fece nuovamente coraggio e, cautamente, aprì la prima porta (aveva oliato bene i cardini) non cigolò. Avanzò nella stanza buia fino ad intravedere l’altra porta. Un fascio di luce e gelo lo colpì in pieno. Tremò dall’eccitazione. L’acciaio del coltello brillò freddo tra le sue mani. Affondò il primo colpo con perizia, il secondo da vero maestro. La fetta di dolce scivolò docilmente tra le sue mani grassocce. “ La dieta? “ mormorò la sua coscienza. “Osvaldo!” urlò una voce che fece irrigidire la sua bocca pronta a mordere. Si voltò disperato e, vedendola sulla soglia della cucina, gridò: “Mamma! E che cazzo! Non dormi mai!“