Leonardo Romanelli è il principe degli outsider. Viaggia senza passaporto in un mondo, quello del food, che coltiva fazioni, recinti ed etichette.
Fiorentino, classe 1963. Lo guardano con sospetto, perché sfugge alle catalogazioni. Non si sa che animale sia. Ha lavorato per SlowFood, per Repubblica, per l’Espresso, per la Rai e per le private, per la radio e per il web, per Intravino e per il Gambero Rosso.
È cuoco, è insegnante in istituto alberghiero, è recensore di ristoranti, è esperto di vini, è attore. E si è scoperto anche scrittore di narrativa, con un delizioso libriccino, “Racconti in nuce. Storie di risvegli e vite quotidiane” (Mauro Pagliai Editore), che ho avuto l’onore di presentare a Milano, qualche mese fa.
Quello che di certo non è? Uomo di poche parole. Non serve nemmeno intervistarlo. Basta porgergli un titolo e parte col monologo.
TELEVISIONE
“Io ho partecipato a “Chef per un giorno”, come giudice, dal 2006 al 2010 su La7. Uno degli ultimi esempi di trasmissione fresca e brillante legata al cibo. Ogni volta, c’era un personaggio del mondo dello spettacolo che cucinava. E noi dovevamo giudicare i suoi piatti, senza sapere chi fosse. Uno dei format meno protettivi nei confronti dei protagonisti. Perché eravamo messi alla prova anche noi. Se sbagliavamo a individuare un ingrediente, non c’erano tagli. L’errore andava in onda.”
GIORNALISMO DI SETTORE
“Il problema principale è legato al concetto di scrittura. C’è poca voglia di trovare uno stile sincero. A me piacerebbe leggere qualcuno che sia capace di raccontare le sensazioni e non solo il piatto. La pura descrizione a livello minuto è stancante. Non ci si sforza di cercare un linguaggio adatto alla nostra materia, non si studia, non ci si applica. Si affronta la materia con superficialità e dilettantismo.”
COLLEGHI CRITICI
“Sono poche le persone con le quali riesco a dialogare senza che si finisca in un discorso di invidie e gelosie. Il fatto di non essere omologabile mi rende un po’ isolato, ma non in senso negativo. Sono autonomo. E quando sei autonomo, sei solo.”
I GIOVANI ASPIRANTI CRITICI
“Incontro ragazzi che mi dicono: mi garberebbe tanto fare quello che fa lei. Allora io gli chiedo di mostrarmi quel che hanno scritto. Niente. Mi rispondono che non hanno scritto nulla, ma gli piace mangiare. Insomma, gli piace questo mondo, ma non gli piace lavorare per arrivarci. Così si spiega perché vanno di moda gli influencer.”
ESSERE CUOCO PER UN CRITICO
“Aver fatto il cuoco mi permette di capire meglio quali sono i dettagli tecnici e le problematiche che riguardano un piatto. Ma questa comprensione non deve essere un percorso che ti porta a giustificare tutto. Come cuoco capisci i passaggi, ma come critico devi tenere conto soprattutto del risultato. Altrimenti, rischi di non comunicare con il consumatore.”
CONFLITTI DI INTERESSI
“Guarda, io credo anche nel critico che spontaneamente sente l’impulso di valorizzare talenti.
Bonito Oliva, per dire, sostenne la transavanguardia. Però lui è rimasto un critico autonomo e indipendente. Se sei pagato dai ristoranti, fai un altro lavoro. Diventi un promoter. E fai arrabbiare anche i pierre perché gli fai concorrenza sleale”
I GIOVANI DELLE SCUOLE ALBERGHIERE
“La televisione e i giornali hanno focalizzato l’attenzione su sommelier, cuochi e pasticceri. Non si alimenta la passione per la sala. E i ragazzi non vedono la ricchezza di questo lavoro che è a diretto contatto col pubblico ed è culturalmente molto interessante: racconti belle storie, devi conoscere le lingue, essere informato su tutto quello che accade in città…”
E TU CHE FARAI DA GRANDE?
“Ho sempre tanto entusiasmo. Resterò senz’altro in questo settore. Ma mi piace sperimentare cose nuove. E, come ho sempre fatto, cercherò di inventarmele.“