Luca Giavi: Prosecco Doc tiene ma la comunità del vino italiano è una, si vince o si perde tutti insieme

È una realtà dinamica e articolata, quella del Consorzio Prosecco Doc, in grado di fare grandi numeri che permettono di non risentire della crisi che si sta abbattendo sul comparto vinicolo. Importante è restare all’erta e ripensare il sistema lavorativo adottando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, senza però voltare le spalle all’approccio umano. Ne parliamo con il direttore Luca Giavi, ospite della rubrica #whateverittakes.

Sul Prosecco Doc i dati al momento sono confortanti.

Fino adesso, toccando ferro, è andata abbastanza bene. Non è che detto che continui così, però non possiamo lanciare allarmi per il momento, questa è la verità, stanno tenendo le previsioni e quindi non ci lamentiamo. Con tutti i problemi che ci sono se qualcuno può evitare di lamentarsi è sempre un buon segnale.

Il Consorzio del Prosecco Doc è una realtà complessa, ci può dare qualche numero?

Il Consorzio rappresenta in totale circa 12.000 viticoltori, 1200 vinificatori e 350 case spumantistiche. È una realtà complessa, sì. L’imbottigliato del 2019 ha raggiunto i 486 milioni di bottiglie come Prosecco Doc.

I prodotti presenti nella GDO stanno reggendo bene, in alcuni casi benissimo. Quali sono i segnali negli altri comparti?

Quello che stiamo cercando di fare è innanzitutto monitorare le situazioni a livello di indagini, per capire quali sono i mercati che ancora reggono. Segnali incoraggianti anche al di fuori della GDO li abbiamo dagli Stati Uniti, qualche riscontro positivo lo avevamo fino a qualche giorno fa anche da parte del nord Europa, che non aveva dato quei segnali di chiusura che si erano registrati in Italia e Spagna in questa attività di monitoraggio. Adesso invece ci stiamo attivando ad esempio per facilitare il contatto tra il mondo della produzione e il consumatore con le vendite online. Stiamo cercando di fare un portale dove inserire tutte le aziende che commercializzano online.

È giunto all’improvviso il boom del delivery e dell’e-commerce, le cose si stanno evolvendo rapidamente.

Molto rapidamente, basta considerare quanto poco eravamo abituati a fare ordini online, ora invece conosciamo tutte le piattaforme possibili e immaginabili. Prima anche la questione logistica ci portava alla pianificazione di un certo numero di appuntamenti al giorno, adesso le piattaforme sono totalmente esplose perché di fatto, non avendo più necessità di spostarsi da un luogo all’altro, riesci a interfacciarti con qualsiasi angolo della terra. Ieri eravamo in 5 persone in collegamento, 3 dall’Italia e 2 dagli Stati Uniti, ciascuno comodamente a casa sua.

Pensa che questo modo di lavorare sopravvivrà al Coronavirus?

Io sono convinto che almeno una parte rimarrà, non dico con i ritmi attuali anche perché mi dispiacerebbe. Ho sempre avuto il piacere di instaurare un rapporto anche fisico, con la stretta di mano, l’abbraccio, il bacio alla donna…sarebbe triste pensare che non potremmo tornare a fare tutto ciò, anche se quantomeno all’inizio dovremo chiaramente rivedere molte cose. Di sicuro abbiamo preso atto di una nuova modalità di rapportarci agli altri per cui alcune cose le manterremo, fa parte dell’evoluzione. Qualcuno continua a dire che niente sarà più come prima, e io sto aggiungendo che non è detto che sarà peggio.

I grandi eventi della primavera – estate sono stati cancellati. Quale riflesso ha questa situazione sul Consorzio?

La quantità di trasferte che noi facevamo era tale che veramente ci manca un pezzo di vissuto. Sul fatto che possa avere dei riflessi pratici, li stiamo avendo quotidianamente sulla gestione delle nostre attività, sui risvolti poi a livello di Denominazione speriamo che non ci siano, o che siano quantomeno molto contenuti. Dobbiamo riorganizzarci, parlando con le colleghe che si occupano della promozione e valorizzazione, dobbiamo rifare i calendari, riprogrammare tutta l’attività con delle incognite che sono enormi perché non sappiamo ancora quando si chiuderà questa fase e, in quella successiva, non sappiamo se potremo spostarci liberamente, se avremo dei tempi di quarantena nei paesi che andremo a visitare e al rientro in Italia. C’è un mondo da andare a ripensare, rivedere, ma speriamo quanto prima di tornare ad una condizione normale.

Ognuno di noi sta “ripensando” la propria modalità lavorativa. Quali nuovi strumenti dovremmo usare per promuovere il vino italiano?

Dovremmo alternare la presenza fisica a delle attività legate alle nuove tecnologie. Ci sono fruizioni a realtà aumentata, il nuovo approccio alle degustazioni guidate, noi alcuni tasting li conduciamo a distanza. Oggi fortunatamente le piattaforme sono tante e tali che ci consentono di avere una relazione e un feedback costante anche con chi sta dall’altra parte del mondo. Chiaramente il prodotto deve arrivare fisicamente, ma noi possiamo restare “di qua”. Realtà aumentata, multiproiezioni eccetera sono le nuove frontiere con le quali ci dovremo misurare e già stiamo facendo confronti con partner tecnologici per individuare le soluzioni esistenti adottate magari da altri settori per trasferirle nel nostro. Ci si inventa qualcosa ogni giorno.

Tornando a bomba: il Prosecco Doc è per il momento immune dalla crisi, sentite in qualche modo la responsabilità di dover fare da traino per le aziende vinicole in difficoltà?

Sì, sentiamo la responsabilità e ci siamo fatti carico di portare avanti delle istanze anche guardando agli altri. Nessuno fa niente da solo. Devi vivere in una comunità, la comunità del vino italiano è una, noi siamo una parte che, anche se è molto grande, ha la consapevolezza della responsabilità nei confronti degli altri. Il sistema produttivo ha bisogno di liquidità in questo momento, anche perché le aziende che noi rappresentiamo, quelle 350 case spumantistiche, sono soggetti appartenenti a realtà multinazionali, e piccoli produttori che fanno la filiera completa dal vigneto alla bottiglia, che hanno canali distributivi diversi. Non può esserci un soggetto che vince e altri che perdono. Al di là del rapporto con le altre denominazioni, si vince o si perde tutti assieme. Le esigenze di un sistema vanno condivise, adesso ci va bene, ci auguriamo che continui ad andar bene, ma non è che su questo ci sediamo e non ci occupiamo degli altri, di chi, anche in questo momento, ha difficoltà. La necessità maggiore ritengo sia quella della liquidità dell’azienda per poter andare avanti e dotarsi di tutti gli strumenti possibili al momento in cui saremo in grado di capire veramente la situazione, perché adesso ci muoviamo tutti come dei pugili un po’ suonati. Quando avremo capito bene cosa sta succedendo e dove andremo, avere degli strumenti idonei per operare sarà importante. Mi preoccupa moltissimo il comparto turistico, l’hotellerie, la ristorazione, esercizi che hanno delle grossissime difficoltà.

Dovrete sostenere anche loro.

Il nostro sistema produttivo sarà a fianco di queste realtà per individuare le soluzioni migliori e, ribadisco, sono realtà da sostenere perché senza di loro avremo delle grosse difficoltà. Pensiamo all’alto Adriatico che è il nostro comparto turistico di prossimità, a come affronterà la prossima estate. Saranno problemi e dovremo affrontarli con un sistema paese, mi auguro, con un sistema comunitario e, da parte nostra, cercheremo di dare il nostro contributo.