Mauro Uliassi: tutti vogliono ricominciare ma nessuno sa in che modo

Quale futuro nella ristorazione? Ne parliamo con Mauro Uliassi chef patron dell’omonimo ristorante a Senigallia, tre stelle Michelin, ospite di oggi a #whateverittakes.

La ristorazione è immobile da quasi un mese, oramai, e ancora non si conosce la data esatta della riapertura. Lei come si sta organizzando?

Diciamo che è difficile anche minimamente pensare a come ci si potrà organizzare perché non ci sono le basi per poter fare pensieri di questo genere. Tutto è subordinato a quello che succederà da qui a un paio di mesi, subordinato a delle regole governative che sicuramente ci saranno e quindi poi uno potrà formulare delle ipotesi. Noi dovevamo aprire il 28 di Marzo, questo sarebbe stato un anno pazzesco perché le Marche tra l’altro sono state valutate dalla Lonely Planet come seconda meta più bella del mondo, per cui eravamo pronti a fare un 30% in più di lavoro. Il 20 di Marzo avremmo assunto 35 persone e invece tutto quanto si è bloccato, lasciandoci disorientati. Le notizie che hai quotidianamente sono sempre una diversa dall’altra, le ordinanze una diversa dall’altra. Ora sembra che il comparto della ristorazione e hotellerie potrebbe forse, non si sa, riaprire tra un paio di mesi, quindi maggio-giugno, ma bisogna vedere come, quindi è tutto un po’ per aria, c’è il problema del contagio e tu devi assumere delle persone. Ma come le assumi? Lavori con le mascherine? E quanta gente potrà stare dentro un ristorante? La nuova situazione è anche economicamente molto difficile. Sono tantissime le valutazioni da fare e tu non riesci a coglierne il significato. L’emergenza sanitaria deve essere risolta, il virus deve essere domato, dominato e controllato. Solo a quel punto sarà possibile passare alla fase 2, che è appunto quella di valutare come rimettersi in piedi da un punto di vista economico. Tutti hanno voglia di fare, di ricominciare, ma nessuno sa esattamente come.

Il Governo ha emanato il decreto Cura Italia, cosa si aspetta dalla Regione?

Non mi aspetto niente. Non sono abituato ad aspettarmi le cose dagli altri, ma ad attivarmi personalmente. Poi se dall’esterno c’è un riconoscimento, un aiuto, io finché possiamo fare da soli, con le nostre possibilità così faremo, magari lasciando spazio a chi ne ha più bisogno. In questo momento penso si debba sviluppare in tutti un senso delle cose, se hai bisogno chiedi, se non ne hai e puoi fare per conto tuo lasci favorire qualcun altro. È veramente difficile, io in questo momento non ho bisogno di niente, ma a fine marzo dovevo assumere 35 persone ma quando riaprirà il ristorante non lo potrò fare perché non so quale sarà il panorama di lavoro, ho un’incertezza totale, e se assumessi 35 persone mi troverei poi a non poter pagare gli stipendi e a dover chiedere aiuto alla Regione. Tutto questo è ipotizzabile solo se uno intravede una strada da prendere, perché oltre al cibo che puoi consegnare a casa, il take away, in questo momento i ristoranti non hanno molte chances per potersi riciclare. A parte il discorso del turista straniero che non ci sarà si potrebbe sfruttare il fatto che tutti gli italiani rimarranno in Italia e quindi si potrebbe aprire un nuovo mercato, quello italiano appunto, e questo potrebbe essere favorevole al mondo turistico-alberghiero, ma rimane il fatto che tu non sai come tutto questo avverrà, come riorganizzare la ristorazione. Si dice che nessuno potrà andare al mare, quindi se chiudono le spiagge saltano tutti i progetti. Chi va al mare? Chi va negli alberghi? Chi va nei ristoranti? Non lo so, è possibile che ci siano periodi molto difficili da affrontare, ma è anche possibile che tutto si risolva velocemente e che con il caldo il virus scompaia. Un’altra cosa che si dice per poter organizzare il lavoro è quella di fare dei test, delle analisi del sangue ai vari addetti, ma bisogna trovare un sistema molto facile perché non si può ipotizzare che le persone vadano tutte in ospedale a farsi fare le analisi. Dovrà esserci un kit da cui possa risultare che hai gli anticorpi. Allora se tu hai dei dipendenti con gli anticorpi Covid sei tranquillo, puoi lavorare gomito a gomito senza nessun problema, ma anche queste sono ipotesi. Se questo non fosse possibile fai il tampone, ma il tampone bisogna farlo ogni 15 giorni. E comunque non sei protetto dai clienti, perché anche loro dovrebbero essere certificati. Tu potresti prendere solo persone che hanno la certificazione e che possono venire a mangiare da te. Son tutte cose che sembrano fantascientifiche, ma se il problema non si risolve non è possibile fare progetti.

Ieri la giornalista Eleonora Cozzella ospite a #whateverittakes ha detto che la clientela del ristorante potrebbe cambiare, nei giorni precedenti alcuni suoi colleghi chef parlavano della necessità di riformulare la proposta, alla riapertura, in modo da livellare i prezzi.

Io il mio mestiere lo so fare. Il gruppo di lavoro che ho con me è fatto di professionisti, quindi non è un problema adattarsi ad una nuova situazione, è l’ultima cosa di cui mi posso preoccupare. In qualche modo le persone non rinunceranno mai al divertimento, è un problema secondario, ognuno saprà come adattarsi e come ricreare dei fatturati per poter stare in piedi. Se tu hai fatto ristorazione ad altissimi livelli, non c’è nessun problema a farne anche un tipo più popolare. Puoi smezzare i prezzi, invece di costare 150 euro puoi far pagare 100 euro, 80 euro. Il problema rimane sempre il come. Fintanto che tu non hai un’idea precisa di come potrebbe essere la situazione, qualsiasi idea è campata per aria. Per noi fare ristorazione più popolare è facile anche stando su una gamba sola e con un braccio legato. È chiaro che poi tu adatti la tua situazione al mercato, per cui ti proponi con un’offerta che sia accessibile a tutti. In America, per esempio, nessuno cucina perché non le hanno neanche, le cucine, solo dei piccoli angoli-cottura, moltissimi ristoranti lavorano con la consegna. Ho un amico a Miami, ha chiuso il locale per mancanza di clienti però sta facendo 800-900 pezzi da asporto tutti i giorni. Questo in Italia non c’è, forse esiste nelle grandi città ma nelle periferie molto meno. Altre considerazioni, a parte queste, non si possono fare.

La quarantena, oltre a comportare sofferenza economica, ha anche dei risvolti psicologici.

Chi è fortunato e ha una grande casa, soffre meno, ma penso a chi vive in uno spazio ristretto da dividere con più persone. Uno dei più grossi timori che io ho è una sorta di scompenso sociale che può esplodere da un momento all’altro.