Il “Prosciutto di San Daniele” non è solo un eccellente crudo figlio dell’artigianato di questo paese, ma un consorzio a tutela di un’omonima e pregiatissima DOP italiana; 31 aziende produttrici a capo di un Disciplinare rigido e della lavorazione di un prodotto la cui materia prima, ovvero cosce di maiale, deve avere origine esclusivamente da animali nati e allevati in dieci regioni: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria.
La lavorazione della materia prima, poi, è frutto del rispetto di un procedimento antico, ereditato dalla tradizione di un luogo magico: San Daniele. Un’area geografica dove è necessario arrivino le cosce macellate fresche nel minor tempo possibile (secondo il disciplinare è vietata qualsiasi forma di congelamento delle carni), per poi essere lavorate ricreando il ritmo delle stagioni, con l’utilizzo di sale marino e senza l’aggiunta di additivi chimici o di conservanti.
A San Daniele la natura è generosa, regalando alla stagionatura del prosciutto l’aria buona necessaria a renderlo unico, grazie all’incontro tra i venti salmastri dell’Adriatico e quelli montani delle Alpi Carniche, in un territorio dove umidità e temperatura sono controllate dalle terre moreniche e dalle acque del Tagliamento, uno degli ultimi fiumi europei a conservare il suo corso originario.
Si può riconoscere il San Daniele, anche dietro ogni bancone, basta essere attenti ad alcuni particolari e senza dubbio, in seconda battuta, grazie soprattutto all’utilizzo dei sensi. Metteteli a fuoco quei prosciutti appesi e trovatene uno che assomigli a un violino, con ancora a capo lo zampino e con a cavallo del gambetto il marchio del Consorzio, fatevelo affettare finemente e vedrete il suo colore rosso rosato sul magro, circondato da un grasso perlaceo. Il suo profumo dolciastro si diffonderà nell’aria e quella dolcezza sarà la stessa che ritroverete appena lo metterete in bocca, sciogliendosi. Se questo vi piacerà, difficilmente lo dimenticherete.
Il prosciutto a San Daniele è una cosa seria, da secoli nel Friuli ci sono mestieranti che controllano la regolazione della temperatura e dell’umidità, che capiscono l’avanzare della stagionatura controllando l’aspetto esterno delle carni, annusandone il profumo e tastandone la consistenza. Quello che mangiamo è il risultato di mastri prosciuttai, mani che con cura applicano il sale, ricoprono la parte scoperta con la sugna per proteggerla e per evitare che si secchi, un’attenzione per ogni particolare che consente il ripetersi di una tradizione secolare.
Proteine nobili, grassi e minerali, da sempre il prosciutto crudo è considerato un alimento completo e ricco per qualsiasi tipologia di alimentazione (tranne quella veg ovviamente), ma la verità è che poi c’è prosciutto e prosciutto. Come in tutto, ci sono cose buone perché sanno di buono, e cose buone perché sono fatte bene e magari sanno anche di buono; a prescindere dai gusti è giusto dare valore alle cose fatte bene, secondo tradizioni e regole antiche, capaci di rispettare la natura dell’alimento e la salute di chi ne mangia.
Anchetta, Cotenna, Fiocco, gambetto o stinchetto, marezzatura, noce, punta, stucco, sugna e zampino; tutto questo è prosciutto crudo, tutto questo e molto di più è il Prosciutto di San Daniele.
Tagliatelo a mano o a macchina, fatevelo tagliare come volete, ma quando lo mangiate lasciatelo in bocca il tempo necessario affinché la conquisti, ovvero un secondo, lasciate che si sciolga e poi immaginate un paese del Friuli, dove l’aria è buona e dove 30 aziende non bastavano a mantenere la tradizione, ce ne sono volute 31 e come spesso accade, un po’ di più si lascia sempre, che le cose buone non avanzano mai.
#ariadisandaniele