SANTO PALATO, pensaci tu! – Excellence Magazine

Ritrovarsi una domenica mattina di primo settembre con l’estate alle spalle. E’ quasi ora di pranzo, il tempo è umido, il cielo è incerto così come le decisioni sull’annosa questione domenicale: dove andiamo a mangiare? Mare, lago, montagna, campagna, sagra di paese o gita scanzonata furi porta? E poi di cosa ho voglia? Pasta, carne, brace, pesce, etnico, fusion, tradizionale ruvido o gourmet impegnato? Troppe alternative per poterle focalizzare, troppe per poterle gestire e contenere tutte. Ansia. La scelta, indolente e curiosa, ricade sulla città e sulla ricerca del perduto calore delle trattorie metropolitane, di sapori che siano riconoscibili, di sostanza, di lunghe preparazioni e sughi riposati che possano darti l’illusione che qualcuno stesse davvero aspettando te.

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Quindi, mentre tutti sono al mare, inseguendo gli ultimi raggi di un già troppo timido sole, si profila l’inattesa soluzione: SANTO PALATO. Dal suo “debutto in società”, il nome mi ha fatto pensare ad una esclamazione, ad una forma letteraria per celebrare il gusto, ad una definizione per imbrigliare la devozione al sapore accompagnata da quel senso di appagamento e gioia interiore. Tutte supposizioni le mie perché mai, fino a quella domenica, avevo ancora varcato quella soglia.

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Il gioco è presto fatto. Troviamo posto e, puntualissimi, allineiamo i piedi sotto al tavolo. Il clima è rilassato e luminoso, accogliente, da serena trattoria di quartiere, con i tavoli di legno e marmo, le sedie snelle, le tovagliette di cartapaglia, le posate diverse, i bicchieri spessi. Mentre una lavagna introduce i piatti del giorno, consultiamo le opzioni di un menu in cui alberga felice la tradizione romana e tanto, tanto quinto quarto, e la fame, che non era tanta, si moltiplica per magia. Ecco vedi, “Santo Palato”!

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Per iniziare scegliamo una “Terrina di lingua e coda con salsa verde e giardiniera di verdure” e un “Uovo, parmigiano e piselli”. Mentre inganniamo l’attesa osservando divertiti le locandine alle pareti su tema futurista, arriva a sorpresa un cadeaux di “pizza croccante fatta in casa e mortadella e un cicchetto di vino bianco e gazzosa”: un inizio inaspettato e travolgente nella sua assoluta semplicità.

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L’arrivo della terrina e dell’uovo è invece un altro paio di maniche. La terrina infatti, elegante e cromaticamente ricercata, è presentata affettata, sovrapposta, impreziosita da una corposa salsa verde, equilibrata nella sua acidità, che chiude la gamma aromatica di un piatto che ha solo un difetto -sarà la fame, sarà l’amore per il quinto quarto-, la sottile grammatura totale.

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“L’uovo con parmigiano e piselli”, presentato in una fondina immacolata, si rivela essere un uovo cotto a bassa temperatura, coccolato da una spuma sifonata di Parmigiano e flambata in superficie che nasconde uno sottobosco di piselli saltati in padella. L’uovo, fatto per rompersi e per fondere il suo umore liquido al parmigiano, fa il suo dovere e diventa un ottimo modo carico di ricordi per finire il primo cestino di pane, come fossimo a casa di zia.

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Superati di slancio gli antipasti cresce l’aspettativa per i primi che abbiamo ordinato nella modalità assaggio doppio per nulla togliere né alla pasta fresca né a quella secca. Ecco quindi arrivare una fumate e cremosa “Cacio e Pepe” (grande il Maestro Mauro Secondi) e una “Carbonara” con guanciale croccante, giusto per testare le basi ed onorare la tradizione romana. Soddisfatti e quasi sazi, aspettiamo il secondo.

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Nell’attesa arriva un assaggio di “trippa”, buonissima nella consistenza (lunga vita a  Roberto Liberati), con un sugo deciso e neve di pecorino, che scompare dal piatto di portata quasi all’istante dando un nuovo perchè al secondo cestino di pane che evapora in un’eroica e dovuta scarpetta, (tutta colpa di Bonci!).

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L’attesa e l’aspettativa a questo punto cresce per il “Cuore bovino scottato, funghi cardoncelli, salsa di visciole, cuori di lattuga e uovo di quaglia”, perché difficilmente riesco a trovare il cuore in carta ed è una delle consistenze che più prediligo. Quindi lo vedo arrivare, lucido, svettante, bellissimo. L’assaggio conquista ancor di più dell’impiattamento, che è curato con precisione architettonica. Poche parole per definirlo. Un piatto per me perfetto, goloso, appagante, articolato in un gioco di consistenze e sapori, così definiti e piacevoli da far risultare quasi inessenziale la presenza dell’uovo di quaglia, che pur serve a creargli una salsa, chiude un contrappunto di cuori di lettura e note di fresca croccantezza.

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D’accompagno, e per non farsi mancare nulla, il contorno del giorno, altro che insalatina: “friggitelli alla scapece”, leggeri nella loro importanza aromatica di aglio, prezzemolo e menta, realizzati con sapiente mano leggera. Tanto che me ne è rimasta la voglia.

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Quindi, dopo un litro di vino alla mescita, al dolce ci siamo arresi, anche se ho visto arrivare ai tavoli accanto un interessante “maritozzo con crema al mascarpone”, che non mi farò mancare alla prossima visita. E poi c’è Sarah, che da buona padrona di casa a fine servizio fa il giro dei tavoli e con la quale siamo rimasti a parlare di vita, cucina e ristoranti, fino alle 17.

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Lei che gioca con la tradizione e celebra il quinto quarto, lei che se non avesse conosciuto i suoi fornitori -che sono diventati anche amici e fidati consiglieri-, avrebbe cambiato città, lei che se non avesse scoperto la passione pulsante per la cucina, avrebbe fatto il medico, lei che se non avesse lasciato la cucina gourmet per abbracciare le schiettezza e la semplicità, non si sarebbe ritrovata qui oggi, a ventotto anni, a gestire da sola la sua trattoria di quartiere, a dormire sulle sedie se necessario, a mandare avanti il suo progetto, il suo credo fatto di tavoli di legno e vecchie ceramiche, immaginati per accogliere il gusto, che ritrova la gioia di sedersi a tavola e di esclamare a se stesso: “Santo Palato, per fortuna che ci sono!”.

Santo Palato, piazza Tarquinia 4a/b, Roma, Telefono +39.06.7720735 // Aperto solo a cena, la domenica anche a pranzo. Chiuso il lunedì.