È nella piccola e affascinante isola di Salina che Cantine Colosi ha scelto di impegnarsi in un progetto che da 10 anni regala una bellissima interpretazione del vitigno principe dell’isola, la Malvasia. Tradizionalmente vocata alla produzione di vini dolci, mostra un volto molto sicuro di sé nella versione secca che ha messo d’accordo pubblico e addetti ai lavori. Ma Secca del Capo – questo il nome dell’etichetta – è molto più che un semplice vino: è il fondamentale punto di svolta nell’intero percorso aziendale, oggi condiviso da Piero Colosi e dal figlio Pietro.
Colosi è da sempre un’azienda biologica: vi sentite in sintonia con il nuovo governo “green” che ha portato alla nascita del Ministero della Transizione Ecologica?
Il concetto di green e bio ha abbracciato la nostra azienda sin dal principio, prima che questo stile di vita diventasse una necessità per il benessere collettivo, dunque siamo felici delle dichiarazioni rilasciate al Senato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi in merito all’attenzione al comparto agricolo e alla cosiddetta “svolta green”. L’agricoltura italiana nel suo insieme merita davvero la massima attenzione in un’ottica di ulteriore valorizzazione: ha un posto di assoluto rilievo in Europa, oltre che a livello di sicurezza alimentare, anche per essere la più ecosostenibile, con oltre 70mila aziende agricole bio, ed è innegabile che con la crisi la filiera del cibo sia diventata ancor più una fonte primaria di lavoro e di ricchezza del Paese.
Per quanto ci riguarda, la scelta di operare con una forte attenzione all’ecosostenibilità e alla produzione biologica non ci è stata mai imposta, ma è legata puramente al luogo in cui la nostra azienda è nata e cresciuta. Salina, terza perla dell’arcipelago delle Eolie, è a tutti gli effetti un’isola “green”, vocata completamente alla viticoltura e alla coltivazione dei capperi. Qui il biologico è di casa, la straordinaria presenza della macchia mediterranea garantisce una biodiversità unica di flora e fauna, il suolo vulcanico ricco di sostanza minerale unito alla brezza dei venti permettono di creare un ecosistema ben equilibrato e bilanciato che non ha bisogno di forzature o stravolgimenti ad opera dell’uomo. La visione di un mondo ecologico è condivisa da tutti gli abitanti dell’isola, prova ne sono gli incentivi sulla produzione di energia pulita e l’abolizione dell’uso della plastica monouso; scelta adottata nei comuni di Malfa, Santa Marina e Leni. L’ottica di cambiamento è quindi avvertita anche in una piccola comunità come la nostra, sebbene siamo comunque consapevoli che tutti i cambiamenti possono presentare dei disagi.
Cosa significa essere viticoltori in una piccola isola del Sud?
Essere viticoltori in una piccola isola come Salina significa essere attorniati dalla natura, da paesaggi mozzafiato e dal mare cristallino, vivere dei ritmi che non fanno parte delle grandi città; sicuramente è un grande vantaggio. Bisogna comunque precisare che per altri versi lavorare su un’isola vulcanica è molto impegnativo: la maggior parte delle operazioni effettuate in campo vengono svolte interamente a mano, dalla messa a dimora delle barbatelle, alle fasi di potatura, fino alla raccolta vendemmiale. Tutte queste operazioni, svolte per l’appunto in maniera interamente manuale, caratterizzano ulteriormente il tipo di lavoro effettuato nei vigneti, che assume il nome di “viticoltura eroica”. Tra gli “svantaggi” non dimentichiamo la quasi totale assenza di acqua: quest’ultima viene infatti trasportata con navi cisterne e distribuita esclusivamente per usi domestici. L’unica fonte di acqua è quella piovana; per questo motivo le coltivazioni non possono essere irrigate. Da non sottovalutare che i costi delle materie prime sono molto più alti in quanto i trasporti incidono molto, e che la possibilità di spostamento dall’isola alla terraferma è subordinata alle condizioni metereologiche qualora si presentino avverse e dalla disponibilità (in inverno notevolmente ridotta) di navi ed aliscafi.
Negli ultimi anni i vini vulcanici si stanno prendendo delle belle soddisfazioni, riscuotendo un successo sempre maggiore…
I vini vulcanici continuano a riscuotere un grande interesse sia in Italia che all’estero. Se inizialmente si è trattato di un fenomeno unicamente circoscritto ai critici internazionali e agli appassionati più esperti, ora anche il consumatore finale è sempre più attento e incuriosito da vini che si distaccano dai soliti standard -come note floreali o fruttate – per scoprire profumi e sapori più particolari e tipici del suolo vulcanico quali la sapidità e la mineralità, note inconfondibili che soltanto questi terreni sono in grado di donare perché vi è una forte relazione tra i suoli vulcanici e la complessità gustativa che poi si ritrova nei vini. Pur nelle varie differenze che si trovano tra vini provenienti dalle varie zone vulcaniche, è innegabile che la composizione di basalto, tufo, pomice presente in questo tipo di suoli doni alcuni tratti comuni molto interessanti e apprezzati come una maggiore struttura, di una grande profondità espressiva e quei caratteristici e affascinanti sentori di iodato, di roccia e di pietra focaia.
La vostra etichetta icona Secca del Capo compie 10 anni. Una interpretazione di Malvasia delle Lipari fuori dagli schemi, ma allo stesso tempo così territoriale. Al naso è un susseguirsi di sentori aromatici amplificati da una leggera brezza marina, mentre in bocca il sorso è fresco, fuso con una sapidità che pare un omaggio al nome dell’isola in cui il vino è nato.
Il nome “Secca del Capo” racchiude in sé un doppio significato: il primo è dovuto alla lavorazione dell’uva Malvasia, coltivata nella zona di Capo Faro, nella versione secca. Il secondo ricorda che i vigneti da cui deriva questo vino si affacciano sul mar Tirreno, dove in direzione Panarea, a tre miglia dalla costa il fondale si alza generando una secca denominata appunto “Secca del Capo”. Durante la vendemmia, le uve di Malvasia raccolte esclusivamente a mano vengono sottoposte a diraspatura e pigiatura soffice; il mosto così ottenuto viene lasciato criomacerare per alcune ore in pressa satura di azoto per facilitare l’estrazione della componente aromatica e polifenolica, minimizzando nel contempo le ossidazioni. Questa fase è indispensabile per solubilizzare nella matrice tutti i precursori aromatici che verranno a loro volta liberati nel vino durante la fermentazione alcolica. Il mosto viene riscaldato alla temperatura di 16°C, condizione prefissata per l’inoculo dei fermenti e l’avvio della fermentazione alcolica. La fermentazione, dopo una prima fase tumultuosa che dura 2-3 giorni circa, segue una cinetica via via più lenta; fino al completo esaurimento degli zuccheri fermentescibili. Dopo 15-20 giorni Il vino è sottoposto ad un ultimo travaso per garantire la separazione della frazione limpida dalle fecce di fermentazione; questo verrà poi conservato a temperatura controllata in vasche di acciaio inox fino all’imbottigliamento. Una volta stappata la bottiglia, questo vino esprime delle caratteristiche peculiari e uniche che talvolta possono stupire chi non si è mai interfacciato coi profumi dell’isola di Salina. La tipicità del vitigno e la lavorazione in assoluta riduzione esaltano la frazione “tiolica”, con note vulcaniche che fanno da contorno olfattivo a sentori di agrumi e frutta gialla che si avvertono man mano che il vino si apre nel bicchiere. Al palato si avvertono la forza glicerica e la componente tannica, che si completano bilanciando la nota salmastra dovuta alla mineralità del terreno; seguono sensazioni agrumate che donano complessità e armonia al prodotto.