di Clara Ippolito
Naturale al 100%, non pastorizzata, non filtrata, ad alta fermentazione: questo è il profilo di una straordinaria birra artigianale che prende il nome dall’omonimo monastero, culla dell’ordine agostiniano, che l’ha prodotta dal XII secolo fino al 1978, quando il diritto di produzione viene ceduto alla famiglia Van Steenberge. La sua patria è Ghent, cittadina belga di cui ha presto superato i confini per arrivare altrove, anche in Italia, dove è distribuita dalla Peroni. I suoi ingredienti sono acqua, malto d’orzo, riso, luppolo e lieviti (uno dei quali è il ceppo originale Jerumanus dell’Abbazia St. Stefanus), elementi preziosi dosati secondo la tradizione dei monaci trappisti. Ogni bottiglia è lasciata maturare in cantina per un minimo di tre mesi, poi la fermentazione continua in bottiglia fino a diciotto mesi, quando raggiunge uno spettro aromatico complesso. Dopo novanta giorni la birra St. Stefanus risulta fresca e fruttata, bionda, con un colore ambra chiaro e una schiuma cremosa e persistente, con nuance dolci di caramello, sentori di pompelmo, mela verde, chiodi di garofano, cannella, banana e un tocco di pesca al naso. In bocca il sapore è equilibrato con un finale di acidità e luppolo secco. Il delicato processo che rende questa birra unica è oggi seguito con totale dedizione dal mastro birraio Jef Versele, un giovane appassionato che realizza i suoi spumeggianti gioielli con grande perizia. Insieme a lui l’abbiamo gustata all’Hotel Bernini Bristol di Roma, presso L’Olimpo Roof Restaurant, abbinata agli intriganti piatti dello chef Michele Simioli: un matrimonio perfetto tra eccellenze della tavola.