La storia di Pasquale Librandi e del suo olio inizia alla fine dell’800 con Michele trisavolo di origini arbëreshë, molti meno ulivi e la stessa terra di Calabria. Siamo in provincia di Cosenza, nel nord-est della regione sulle colline Joniche pre-silane racchiuse tra il Parco Nazionale della Sila a Sud, il Mar Jonio ad Est, il Parco Nazionale del Pollino a Nord. All’interno di questo scenario naturale si trovano quattro comuni di origine albanese o Arbreshë, dove nel XV secolo fu concesso alle genti di questo popolo di rifugiarsi e qui nel tempo mantennero tradizioni, lingua e identità. È qui che si trova Vaccarizzo Albanese sede dell’oleificio Librandi, con i 205 ettari e 26 tenute tutti condotti con agricoltura biologica, da dove si ricavano le olive, gli agrumi, i fichi.Il padre di questa grande azienda, nata come un sogno e come tale concretizzatasi, è Pasquale che nel corso della sua vita si è sempre definito un imprenditore visionario, un uomo che ha voluto investire in qualcosa in cui credeva ed amava con tutte le sue forze: la sua terra. Prima macellaio e poi commerciante e frantoiano, da sempre olivicoltore, è partito dai pochi ma centenari uliveti di famiglia per costruire nel tempo un’azienda che oggi porta il suo nome, acquistando nuovi appezzamenti ed impiantando più di 50 ettari di nuovi uliveti, utilizzando cultivar mai viste prima nella zona.
Oggi, dal 2012 al comando dell’azienda ci sono i figli, i Librandi bros: Pino, Carmela, Lucia, Angela e Michele che si prendono cura, proprio come faceva papà Pasquale, dei loro ulivi e dei loro frutti con un obiettivo sempre più chiaro: portare la Calabria sempre più negli albi degli oli di qualità e far riscoprire cultivar autoctone anche al di fuori dei confini regionali.
Come ci spiega Lucia Librandi, responsabile delle pubbliche relazioni e comunicazione dell’azienda: “La coltivazione dell’olivo in Calabria interessa oggi oltre 180.000 ettari, il settore dell’olivicoltura rappresenta, per la Calabria, grande importanza non solo dal punto di vista economico, essendo la seconda regione in termini di produttività, ma anche come patrimonio varietale da tutelare e valorizzare. Sono oltre 30, infatti, le cultivar autoctone presenti. Negli anni le aziende hanno puntato sempre di più a valorizzare la produzione olearia in termini di qualità e posso dire con orgoglio che siamo stati i capostipiti in questo senso. Fu una sorpresa infatti per gli addetti del settore, al nostro primo ingresso sul mercato, il riconoscimento, con il primo premio, dell’Ercole Olivario, uno dei più antichi e rinomati concorsi sull’extravergine. Da allora, dal primo anno, non abbiamo mai smentito la filosofia che ci contraddistingue, ossia quella di posizionarci sul mercato con la continuità qualitativa delle nostre produzioni. Tutto ciò ci ha permesso di entrare nelle guide più prestigiose del settore con un posizionamento stabile nel tempo. Ecco direi che la strada da percorrere è a senso unico, rinunciare alla quantità per la qualità e lavorare seriamente”.
Anche quest’anno le Tenute Librandi Pasquale hanno emozionato i giudici del Gambero Rosso con uno straordinario monovarietale di Nocellara del Belice che ha ottenuto le tre foglie. Lucia è soddisfatta e non lo nega e ci racconta quest’olio: “Siamo felici di questo riconoscimento, è la conferma di un lavoro sulla qualità che ogni anno ci impegniamo a portare avanti. La Nocellara del Belice è un olio dal fruttato intenso, di tipo erbaceo, con sentori di carciofo, mandorla e pomodoro. È una cultivar Siciliana che nostro padre ha voluto impiantare in Calabria in un nuovo impianto negli anni ’90. Ha un frutto dalla polpa delicata che necessita di grandi accortezze dalla raccolta alla lavorazione. Ed è per questo che, la raccolta avviene a mano, ponendo la massima cura per non danneggiare il frutto e la lavorazione entro pochissime ore dalla raccolta. Pur essendo un’oliva che ha una resa in olio molto bassa, ogni anno ci regala un extravergine che ci emoziona con i suoi profumi e che ci da grandi soddisfazioni con premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali”.
Dal 1997 nella Tenuta Librandi inizia una vera rivoluzione, Pasquale decide di convertire l’intera superficie aziendale di 200 ettari in agricoltura biologica. Nuovi metodi di coltivazione, nuovi strumenti, un’attività completamente nuova che cambia anche l’approccio culturale verso questo lavoro.
“Sì esatto, per l’epoca è stata una vera e propria rivoluzione – conferma Lucia Librandi – che richiese importanti modifiche alla conduzione aziendale: Fare agricoltura biologica è un’attività impegnativa perché i mezzi per nutrire le piante e per difendersi dai parassiti sono più costosi e perché si produce di meno rispetto alla convenzionale. Ma allo stesso tempo ci ha permesso di ottenere prodotti di altissima qualità, rispettando la Natura. Non si tratta di semplici tecniche di coltivazione, quelli che portiamo avanti sono gesti di amore nei confronti dei nostri familiari, perché è così che consideriamo la terra e gli alberi. Produrre Olio Biologico, di ottima qualità senza danneggiare l’ambiente e la salute umana, questo è il nostro obiettivo primario”.
Il concetto di qualità è presente fin dall’inizio nella produzione Librandi, ma spesso è un concetto inflazionato, dietro cui c’è una meticolosa lavorazione e il rispetto di alcune condizioni da cui non si può prescindere come ci spiega la portavoce dell’azienda: “La produzione di un ottimo olio extra vergine di oliva richiede minute e molteplici attenzioni in ogni fase, dal campo al frantoio, fino allo stoccaggio ed al confezionamento. Un extravergine di qualità deve rispettare alcuni parametri che sono essenziali affinché si possa definire tale, per esempio selezionare le olive con la massima cura, raccoglierle al giusto grado di maturazione, scegliere cassette rigide e forate per il trasporto, far passare poche ore fra la raccolta delle olive e l’estrazione dell’olio, assicurarsi che le olive siano correttamente defogliate e lavate prima della frangitura, scegliere un ciclo di lavorazione a freddo nel quale non siano mai superati i 27 gradi di temperatura e infine filtrare l’olio per l’eliminazione di eventuali ulteriori micro particelle acquose”.
Operazioni produttive che mettono insieme tradizione e innovazione, dove la tradizione è data dalla cultura, dalle piante, dal territorio e l’innovazione è l’apporto tecnologico di cui oggi non si può fare a meno. “La tecnologia, l’innovazione, la ricerca, ci permettono di ottenere oli con caratteristiche chimico fisiche e qualità nutrizionali e organolettiche eccellenti. Oli che si distinguono per un alto contenuto di composti fenolici, ossia le sostanze ad azione antiossidante presenti nell’extravergine”, sottolinea Lucia Librandi.
Nel concetto di innovazione annoveriamo anche la comunicazione, materia e lavoro quotidiano di Lucia, a cui chiediamo quanto sono preparati e attenti i consumatori, e soprattutto come fare per aumentare l’educazione all’olio di qualità?
“La cultura dell’utilizzo di un extravergine di qualità non è così diffusa come si pensa, specialmente nel nostro Paese, mentre diversa e più attenta è l’attenzione posta dai consumatori stranieri. Il consumatore medio, in generale, non si preoccupa di conoscere cosa distingue un extravergine da un altro, né di saperne la provenienza. Come azienda poniamo molta attenzione alla diffusione dell’educazione al consumo di un olio di qualità sia con le visite guidate in frantoio sia affiancandoci ad associazioni che operano in questo campo. Inoltre sosteniamo le scuole che organizzano corsi di assaggio, sia per coloro che vogliono avvicinarsi al mondo olivicolo solo per ampliare la loro personale conoscenza, sia per coloro che vogliono intraprendere una carriera in un panel ufficiale di assaggio degli oli.
Ma come deve essere un olio di qualità? E’ bene essere consapevoli che un olio extravergine di oliva di qualità deve essere profumato all’esame olfattivo, deve ricordare l’erba fresca appena tagliata, sentori vegetali e all’esame gustativo deve presentarsi con sentori di amaro e piccante, mentre un olio di bassa qualità puzza di aceto o di rancido e all’esame gustativo risulta grasso e untuoso”.
E arriviamo infine a uno degli aspetti più creativi e che più ci ha affascinato quando abbiamo incontrato questa azienda, il packaging. Unico, elegante e che colpisce nella sua scelta di forme, linee e colori minimal, ma che hanno dentro storia e valori di una terra. Lucia ci racconta: “La scelta del nuovo packaging è stato un punto di svolta per la nostra immagine. Sentivamo da tempo l’esigenza di un cambiamento, per valorizzare ancor di più i nostri prodotti, dargli una nuova veste grafica, ma non volevamo una soluzione che fosse troppo scontata. Volevamo suscitare curiosità nel consumatore e nello stesso tempo far emergere anche sulle bottiglie, la ricercatezza e la cura che ci mettiamo nel produrre i nostri oli. Inoltre volevamo rimanere ancorati a quelle che sono le nostre origini Arbereshe, mostrare anche nel packaging come possono convivere tradizione e innovazione. Nel nostro territorio, molti sono i comuni, fondati nel ’400, dopo l’invasione Turca in Albania e il nostro paesino “Vaccarizzo Albanese” è uno di quelli. Oggi le nostre etichette non sono solo linee e colori, segni senza storia, ma disegni stilizzati che derivano da frammenti delle icone bizantine delle nostre Chiese di Rito Greco”.
Prima di salutare Lucia ci facciamo presentare il resto della squadra, i cosiddetti Librandi Bros: Carmela, Angela, Lucia, Michele e Pino. “Siamo cinque fratelli e nel corso del tempo tutti quanti siamo tornati in azienda. Abbiamo tutti conseguito altri percorsi di studio e di vita, ma un filo ci lega alla passione che era di nostro padre e che è diventata anche la nostra. Collaboriamo in tutto e tutte le decisioni vengono prese insieme, perché prima che un’azienda siamo comunque una famiglia. Carmela è la nostra Business controller, si occupa di amministrazione e vendita. La chiamiamo la memoria storica dell’azienda, visto che calpesta il pavimento del frantoio da quando aveva 5 anni; Angela è responsabile del controllo qualità, dirige personalmente le attività di trasformazione in frantoio: è il “mastro frantoiano” di famiglia. Assaggiatrice professionista e capo-panel, è responsabile della definizione dei Monocultivar e della composizione degli altri; Michele, agronomo e responsabile legale, è specializzato in olivicoltura, supervisiona personalmente tutte le operazioni colturali svolte e le cure praticate in azienda; Pino, è responsabile del parco macchine aziendale, si occupa degli acquisti ed è il risolutore dei problemi in azienda”.
E così l’azienda Librandi Pasquale si conferma una storia di territorio, la storia di una famiglia, di un sogno che si è realizzato con la passione e il lavoro di tutti.