«Erano gli anni ’80, quelli in cui la frenesia veniva contrabbandata come modernità. Portinari ebbe l’intuizione di intercettare la contrapposizione contro il fast-food, che decretò anche il successo del marchio, ma andò oltre, definendo la lentezza come filosofia di vita», commenta Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e attuale presidente a livello internazionale.
Restituire la tavola al gusto, al piacere della gola, questa era “la scommessa proposta per un progressivo quanto progressista recupero dell’uomo, come individuo e specie, nell’attesa bonifica ambientale, per rendere di nuovo vivibile la vita incominciando dai desideri elementari.” Ma il movimento non è rimasto fermo alla vecchia gourmandise e si è evoluto, favorendo la diffusione dei temi legati alla gastronomia, con la nascita della casa editrice Slow Food Editore; organizzando eventi come il Salone del Gusto e Cheese che permettono ancora oggi a migliaia di persone di conoscere prodotti e ricette delle tradizioni locali, all’epoca definiti poveri o “di nicchia” e oggi orgoglio identitario anche per le tavole dei ristoranti stellati; e battendosi per difendere la biodiversità delle materie prime, con l’Arca del Gusto e i Presìdi Slow Food. Il passaggio ideale di tutto questo è stata la nascita dell’Università di Scienze Gastronomiche, un laboratorio di conoscenze ed esperienze che coinvolge studenti da 50 nazioni.
Fino al 2004, quando, con il primo Terra Madre, Slow Food porta a Torino 5000 persone da 150 Paesi e segna un’altra svolta epocale: «Quando abbiamo visto tutti quei contadini, allevatori, pescatori, artigiani, abbiamo capito che la gastronomia avrebbe potuto diventare uno strumento di riscatto anche in paesi dove si soffre la fame. Il cambio di pelle è stato dirompente: oggi le nostre sfide sono la difesa dell’ambiente, la lotta alla cementificazione, il contrasto della malnutrizione, che vuol dire obesità nei paesi ricchi e fame nei paesi poveri, con la differenza che i primi scelgono la loro dieta, i secondi la subiscono. E poi c’è la necessità di restituire dignità al mondo della produzione agroalimentare di piccola scala, affinché i contadini non siano più l’ultima ruota del carro ma la chiave di una nuova ruralità, unica via per invertire la rotta di un mondo stravolto che altrimenti ci soffocherà», conclude Petrini.