Alberto Grandi: usi e costumi al tempo del Coronavirus

Autore di volumi di successo tra cui “Denominazione di Origine Inventata” e “Parla mentre mangi”, Alberto Grandi affida a #whateverittakes le sue considerazioni sugli italiani a tavola al tempo del Coronavirus.

Oltre ad essere uno scrittore, lei è docente universitario.

Sì, il prossimo anno cambio, quindi andiamo direttamente a quello che insegnerò e non a quello che ho insegnato. Insegnerò Storia dell’Integrazione Europea e Storia dell’Alimentazione all’Università di Parma, sono professore associato.

Alcuni volumi da lei scritti recentemente parlano proprio di alimentazione. A questo proposito la quarantena sembra aver cambiato le nostre abitudini, abbiamo ricominciato a fare il pane in casa.

Ovviamente stiamo vivendo una fase di trasformazione profonda, sia nei consumi ma anche nella produzione, le due cose saranno correlate. Io, già prima di questa crisi, avevo detto che secondo me qualcosa stava cambiando, per cui tutto queste cose sul Made in Italy, le tradizioni italiane, si stavano indebolendo come effetto sul mercato, però questa vicenda è un catalizzatore di un cambio di modalità di consumo al quale assisteremo nei prossimi anni.

Stiamo assistendo al boom del delivery e non eravamo preparati.

Questi dal mio punto di vista sono gli effetti diretti e immediati della situazione particolare nella quale stiamo vivendo. Siamo chiusi in casa e quindi o ci produciamo noi da mangiare, quello che possiamo comprare nei supermercati lo compriamo, e se vogliamo fare un’esperienza diversa ci facciamo portare il cibo a casa. Più o meno l’abbiamo fatto tutti in queste settimane. Queste modalità in qualche modo sopravviveranno, sto pensando al dopo, a quando potremo uscire. C’è anche da dire che andare al ristorante sarà più complicato, molti ristoranti, bar, pizzerie, tavole calde chiuderanno perché non riusciranno a superare questa fase difficile. Ci sarà qualcosa che modificherà un po’ tutti i consumi e forse il delivery, il fast food e le modalità di consumo che si stanno rafforzando in questa fase sopravviveranno meglio.

Sta già pensando a scrivere un libro sull’italiano a tavola nel post Coronavirus?

In realtà no, io stavo scrivendo ma il mio editore, Mondadori, mi ha detto che tanto per il 2020 non fanno uscire libri quindi è inutile che faccia questo sforzo. Stavo scrivendo un libro un po’ più divertente, “A tavola con la peste”. Volevo raccontare cosa succedeva nel passato durante le gravi epidemie e come si mangiava. Vedo sui social tutti i miei amici che si lamentano, dico “guardate, state sul divano a mangiare pop corn e roba varia, non lamentatevi perché qualche secolo fa andava molto peggio quando succedevano queste cose”. Avevo iniziato a scriverlo, il libro, adesso sono un po’ fermo, ma mi piaceva questo paragone tra la nostra condizione e quella del passato.

Alcuni, paragonando il Coronavirus alla Spagnola, sostengono che si tornerà alla normalità e che prima o poi ci dimenticheremo di tutto, vittime, restrizioni, etc.  

La questione è complicata. Fare paragoni col passato è impossibile perché la nostra società post industriale non hai mai vissuto una condizione come questa e quindi facciamo un parallelo con una realtà che aveva un contesto totalmente diverso. È vero anche che la storia ci dice che dopo queste grandi crisi la reazione è sempre molto veloce. La gente ha voglia di tornare alla vita, alla socialità e convivialità, però è anche vero che noi in questo momento sconteremo una crisi economica molto pesante, quindi i cittadini avranno meno soldi da spendere per andare al ristorante. Non dimentichiamo gli effetti sul turismo, che probabilmente sarà il settore che soffrirà di più e a sua volta si porterà dietro la ristorazione, i bar. Io sono convinto che tutto cambierà e probabilmente si riscriverà il mercato. Per tornare ai livelli dell’anno scorso non basterà che finisca l’epidemia, ci vorrà un periodo che oggi non so quantificare, ma non sarà quantificabile in pochi mesi, ci vorranno anni per tornare al livello e alle modalità di consumi, ammesso che ci si torni, di un anno fa.

Tornando alle abitudini che forse rimarranno o forse no, il desiderio di preparare in casa alimenti come il pane e la pizza nasconde il bisogno di conforto almeno tra le mura domestiche?  

Sì, io ho una famiglia abbastanza numerosa, c’è mia figlia che sta facendo un salame dolce in questo momento. Per noi italiani è sempre stato così, il cibo ci dona conforto e adesso non potendolo vivere nella dimensione conviviale, sociale, ci ritiriamo in casa cercando di ricreare quelle situazioni che avremmo potuto vivere in compagnia. Questa può essere una spiegazione psicologica, io non sono uno psicologo però mi sembra che la reazione sia quella, forse è la spiegazione più semplice, più banale, ma anche questo è un elemento che potrebbe sopravvivere alla crisi. Finita l’emergenza, probabilmente rimarrà anche questo. Io guardo sempre alla mia esperienza quotidiana, avevamo smesso o quasi di farci da mangiare in casa e invece adesso siamo costretti a tornare a farlo. E questo probabilmente è qualcosa che rimarrà. Sta arrivando la Pasqua, a Mantova noi mangiamo agnolini, e molti li faranno in casa.

È in atto una selezione piuttosto dura, a tutti i livelli.

È chiaro che questa crisi selezionerà, molti ristoranti chiuderanno ad esempio, è brutto da dire ma è evidente che ci sarà una crisi di liquidità e altre conseguenze economiche che poi avranno un effetto anche sul sistema della ristorazione. Anche questo indurrà a cercare altre modalità di consumo. Per la prima volta avremo un problema di offerta, negli ultimi anni l’offerta di ristorazione era esplosa e tanti dovranno chiudere, probabilmente già stanno chiudendo. Riducendosi l’offerta per forza di cose la domanda si dovrà adeguare.

La convivenza forzata imposta dalla quarantena per alcune famiglie sta avendo risvolti drammatici sotto il profilo psicologico.

Mi verrebbe da rispondere da economista, più che da psicologo. Come al solito sono le condizioni di partenza che determinano il risultato finale. Se la famiglia è solida è chiaro che questa condizione potrebbe addirittura rafforzarla. Se invece preesistevano situazioni difficili, la convivenza forzata le potrebbe esasperare. Io però in generale sono convinto che questa dimensione domestica che stavamo perdendo sopravvivrà anche dopo. Ho questa immagine, speranza forse. Non so neanche se sia un bene o un male, perché immagino che ad esempio un ristorante non sia contento che la gente rimanga a casa. Mi sento di poter dire che l’eccezionalità della situazione comunque avrà degli effetti di lunga durata sui nostri comportamenti, sia di consumo che sociali.