“Qui ho creato qualcosa che ha a che fare con la mia memoria e, contestualmente, anche con il futuro”. Ci accoglie così Arcangelo Dandini, tra i più amati artigiani del gusto nel cuore di Roma. Una persona spontanea, come spontanei sono i suoi piatti, frutto di studio ma soprattutto di un minuzioso lavoro di ricerca nel vissuto, nelle radici più profonde. Una passione tramandata di generazione in generazione, a partire dai bisnonni paterni. “La mia è una cucina che ha una base storica di vita vissuta – esordisce Arcangelo, chef patron dell’omonimo ristorante di via Giuseppe Gioacchino Belli (zona Prati) – , ma che comunque deve inserirsi in un contesto. Mi diverto a collegare alcuni passaggi delle mie giornate da bambino attraverso i rumori o la temperatura atmosferica, a un determinato cibo. Ho addirittura messo su carta alcuni sogni d’infanzia, contestualizzandoli. È stato divertente creare piatti scavando nel passato, nei sogni. Adesso poi, dopo i quarant’anni, è diventato spontaneo ricollegare una situazione a un cibo e di conseguenza diviene automatica la sua trasformazione”.
L’avventura de L’Arcangelo inizia nel 2003, con la preziosa collaborazione di Stefania, compagna di vita, esperto sommelier e perfetta padrona di casa. Qui la tradizione si respira in ogni dettaglio, dall’arredamento alle foto di famiglia che decorano le pareti. Tutto quello che si trova nel ristorante è memoria, comprese le macchinine disposte sui tavoli, parte integrante dell’infanzia di Arcangelo Dandini. Il cibo è il veicolo, il filo conduttore attraverso cui si compie il viaggio gastronomico. Poi c’è il menu, dove regna protagonista la cucina romana, quella storica, rivisitata con estro dallo chef nativo dei Castelli Romani che ha girato l’Europa per arricchire il bagaglio culturale e gastronomico che oggi può senza dubbio vantare. “Dopo la vendita del ristorante dei miei genitori ho deciso di entrare in società nel Richelieu, il locale dove avevo lavorato. Era il 1990 e da lì è iniziata un’avventura impegnativa e piena di sacrifici, nuove sfide e tante soddisfazioni”. Chef, appassionato di arte, musica e letteratura. L’unione di queste caratteristiche hanno contribuito alla pubblicazione del primo libro – Memoria a Mozzichi – e al completamento del secondo. Memoria a Mozzichi non è solo un libro di ricette, ma una sorta di scatola dei ricordi, come quelle che teniamo in soffitta, con i momenti più belli della nostra infanzia. “Nei miei libri – racconta Arcangelo –parto sempre dalle ricette, ma dietro c’è una parte di me, un vissuto. Cerco di spiegare a livello introspettivo che una ricetta non è mai staccata dal mio mondo, anzi proviene sempre da una situazione che conosco, che ho vissuto. Ad esempio mi diverto a ripensare a mia nonna che mi faceva assaggiare alcune ricette, o a mio padre che me ne faceva provare altre.
A questi ricordi, momenti precisi ben fissati nella mia memoria, abbino dei piatti. Tra questi L’Anabasi, un piatto che parla di un viaggio all’interno, legato all’opera di Senofonte, ma quello è un gioco culturale che non deve essere la parte più importante; si tratta di qualcosa che ruota intorno al piatto, che resta il protagonista. È un torchon di fegato d’oca con i biscotti Plasmon, il sale di Maldon e la granella di caramella. Si inizia dal Plasmon (la nascita, ndr) e si arriva alla fine del percorso gustativo ideale, umano, con il foie gras.
Un altro piatto che mi sono divertito a creare è Ritorno al Lago Regillo. È la località dove i miei genitori avevano il ristorante. Il piatto è dedicato a mio nonno materno, che faceva il ranocchiaro. Fette biscottate della mia infanzia e polline, perché il mio primo lavoro è stato l’apicoltore, abbinato al coniglio fritto dorato. I miei piatti sono molto evocativi e vogliono far vivere al commensale una bella esperienza gustativa”.
Della nuova fatica invece svela: “È un proseguimento del racconto di Memoria a Mozzichi. Si parla sempre della mia memoria, della mia famiglia, ma viene dipinto un affresco più specifico dei personaggi, da mio nonno Arcangelo, a cui dedico un piatto legato a un momento della sua vita. Tutto questo è abbinato all’altra mia grande passione, l’arte, soprattutto quella rinascimentale. Quindi quadri legati al personaggio e che addirittura mi riportano alla mente alcuni piatti o viceversa”. Una cucina mai pesante, sempre espressa, che si serve di cotture lunghe solo se lo richiede la ricetta.
“Oggi la gente vuole mangiare bene – riprende Arcangelo – senza appesantire lo stomaco. Io adotto tecniche e metodi di cottura più moderni che rendono il piatto più digeribile, rimanendo però dentro il percorso legato alla tradizione. I grassi devono essere sani e appena sufficienti a ciò che richiede la preparazione. Bisogna fare sempre attenzione all’equilibrio dei condimenti. I tempi di cottura ovviamente non vanno abbattuti, un brasato deve restare brasato e lo stesso vale per lo stufato o per il bollito. Se all’interno di queste cotture viene usato il giusto criterio di equilibrio dei grassi, il piatto non risulterà in alcun modo pesante. La cucina è equilibrio dell’ingrediente, equilibrio delle somme. Se metti più olio del necessario copri i sapori e lo stesso vale per il burro. Voglio lanciare un messaggio: condire poco, il giusto, vuol dire condire bene. È per questo che dobbiamo fare attenzione alla materia prima. Di un olio buono ne serve poco per condire un piatto, e alla fine c’è anche un ritorno economico. Per quanto mi riguarda ho sempre portato avanti questa tesi, ed è importante per me farla arrivare alla mia clientela”.
L’Arcangelo
Via Giuseppe Gioacchino Belli, 59
00193 Roma
photo credits: larcangelo.com