La parole con cui esordisce Silvano Brescianini, neo eletto presidente del Consorzio della Franciacorta sono piene di riconoscenza per il predecessore e propositive per il nuovo incarico: «Ho il privilegio di fare un lavoro che mi piace in un territorio che mi piace, chi prima di me ha impostato il lavoro lo ha fatto molto bene e non c’è tantissimo da inventare ma da perseguire questi obiettivi ambiziosi che sono stati dati anni fa: non è facile ma ci stiamo lavorando.» Già direttore generale di Barone Pizzini e vicepresidente dal 2009, raccoglie il testimone dalle mani di Vittorio Moretti, patron di Bellavista e Contadi Castaldi.
Con sguardo dolce che volge al futuro racconta il movimento dei “Giovani Franciacortini” come «un gruppo di giovani che sono praticamente un terzo del tavolo di lavoro, gruppo che c’è sempre stato ma che negli ultimi anni, grazie all’attività di Francesco Franzini si è rafforzato nella presenza e nelle intenzioni: mi piace vedere al tavolo dei lavori questi giovani.»
Possente nella figura ma garbato nei modi punta dritto al sodo, a quanto c’è da mettere a sistema e far fruttare. «Le cose da fare sono tante, perché da un lato abbiamo tanti progetti di ricerca, alcuni dei quali conosco bene visto che ho anche contributo a far partire, innovativi: oggi la parola biodiversità è tra le più attuali, però noi possiamo dire di aver ideati nel 2014 uno studio in Franciacorta, in collaborazione con un gruppo di agronomi di Sata che ha sede nelle nostre terre, l’Università di Milano con il prof. Valenti e docenti di San Michele all’Adige uno studio sulla biodiversità. Questa lavoro è stato voluto per cercare di capire se è possibile dimostrare che c’è una connessione tra la qualità della terra viva e il vino. È abbastanza facile, ovvio, dire che ci sia una connessione tra il suolo e il prodotto, però a oggi nessuno ha mai pubblicato uno studio scientifico in questo senso. «Sembrerebbe pleonastico eppure la dimostrazione scientifica della correlazione richiede la raccolta sistematica di dati oggettivi e relative valutazioni tecniche, che necessitano di tempo e vendemmie.» «Un paio di anni fa su Wine Spectator Matt Kramer, nel novembre 2016, in un bellissimo editoriale annunciava che l’Università di Davis in California stava per iniziare uno studio in questo senso e commentava scrivendo “è talmente ovvio che vien da dire: perché non ci abbiamo pensato prima?” eppure nessuno fino ad allora lo aveva mai avviato.»
Con orgoglio nella voce e impulso fattivo ricorda che «questo lavoro è partito in e dalla Franciacorta dal 2014 e siamo prossimi alla pubblicazione, perché gli studi – da fonti universitarie – hanno bisogno di un lasso di tempo di almeno cinque anni per essere validi. Non è un lavoro solo sulla Franciacorta, è un lavoro nato qui che però coinvolge aziende da Friuli alla Sicilia» racconta il neo presidente con una visione che denota apertura mentale «non dobbiamo per forza essere da soli, perché quando si parla del vino c’è spesso una battaglia di campanile che suona ridicola. Dovremmo abituarci a guardare il pianeta Terra come lo vediamo da Google Earth» con la prospettiva che si allarga fino a poterlo abbracciare tutto. «Questo studio, condiviso con altre regioni, sta già dando risultati interessantissimi: ogni produttore di vino conosce benissimo quale vigna gli dia le uve più belle, poi non è in grado di dimostrare le ragioni scientifiche. Intervistandoli nello studio si evince che queste vigne corrispondono sempre a quelle con maggiore ricchezza in biodiversità.» A questo punta la ricerca, a dimostrare che non si tratta di coincidenze e i dati raccolti dal 2014 sono confortanti in tal senso.
Ma la ricerca e lo sviluppo che sono alcune tra le parole chiave del nuovo mandato, insieme a export e marketing, non si fermano a questo bensì proseguono. «Con Verona abbiamo fatto uno studio sull’importanza della presenza di alcune piante in vigna» ragionando su quanto sia importante preservare le forme di vita «se cerco l’approccio del tenere la vita e tenerla il più ricca possibile, e gli insetti che mi danno fastidio non li ammazzo per non uccidere che quelli che mi interessano, allora devo trovare punti di interesse affinché vadano ad albergare altrove e non nel vigneto.»
Alla ricerca si affianca anche il sano orgoglio e senso di appartenenza al territorio, alla terra in cui oltre alle vigne affondano le radici anche generazioni di viticoltori «Stiamo lavorando sulla realizzazione di un libro di storia, la nostra storia; siamo talmente assuefatti alle nostre bellezze e alla nostra storia che non siamo capaci di raccontarla all’estero ma nemmeno a casa nostra» lanciando così il cuore oltre l’ostacolo in questo ambizioso progetto di documentazione e racconto della storia di produzione vinicola in Franciacorta. Racconta Silvano Brescianini «il Vescovo di Brescia selezionava il vino dalle decime nel XIII secolo, sceglieva i villaggi da cui attingere il vino migliore; Agostino Gallo scrive che i ricchi bresciani che amavano bere vini effervescenti prendevano i mosti e ne bloccavano la fermentazione buttando le botti nei pozzi – assicurate con le corde – per poi tirarli su in primavera così il vino prendeva a frizzare ed era spumeggiante. Cinquecento anni fa un medico bresciano che ha scritto un libro, Girolamo Conforti, ‘Libellus de vino mordaci’ testimonianza dei vini aspri e mordaci della Franciacorta già allora.» Tutto questo a testimoniare quanta storia ci sia da raccontare sui vini della Franciacorta e quanto ampio e variegato sia il lavoro che si propone la nuova presidenza del Consorzio Franciacorta.