Giuseppe di Iorio/Storie di Chef

di Manuela Zennaro

Hai la fortuna di lavorare in uno dei ristoranti con la vista più bella che si possa immaginare. Come giudichi questa esperienza?
Da 5 anni sono executive chef del ristorante Aroma dell’hotel Palazzo Manfredi. In breve tempo ci siamo affermati nel panorama della ristorazione romana diventando uno degli indirizzi di riferimento. La location è bellissima, siamo l’unico ristorante al mondo con affaccio completo sul Colosseo e in questi 5 anni il percorso professionale intrapreso ci ha consentito di raggiungere traguardi importanti, che del resto erano quelli concordati con la proprietà. Durante il primo anno di attività siamo entrati nella Five Diamonds americana, dopo due anni e mezzo è stata la volta della guida Relais & Châteaux e nel 2014 è arrivata la meritata stella Michelin.

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Raccontaci dei tuoi inizi.
Il mio percorso professionale inizia all’età di 14 anni, frequentando la scuola alberghiera. Al termine degli studi ho lavorato presso un locale al centro di Roma per 8 mesi, dopodiché mi sono orientato verso i ristoranti d’albergo.

Come è nato il tuo amore per la cucina?
Faccio parte di una famiglia numerosa, sono l’ultimo di sei figli. La passione per la cucina mi è stata trasmessa da mia madre che era una eccellente cuoca. All’epoca soldi non ce n’erano e lei, con pochissimi ingredienti, riusciva a realizzare pranzi favolosi. Io cerco sempre di ricordare e riproporre quei sapori che mi hanno fatto appassionare alla cucina.

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Sappiamo che il mestiere dello chef comporta sacrifici in termini di tempo libero. Cosa fa Giuseppe Di Iorio quando non lavora?
Questo è un lavoro che ti dà enormi soddisfazioni, indispensabili per andare avanti perché l’impegno è tanto, passiamo dalle 12 alle 13 ore al giorno in cucina. Tutto questo toglie molto alla vita privata, il pochissimo tempo libero che ho a disposizione lo dedico alla famiglia e a mia figlia. Però, ripeto, i sacrifici vengono ripagati in termini di riconoscimenti e di attenzione da parte dei media. Oggi è il caso di dire che “lo chef” è sulla bocca di tutti. Non manca l’occasione per portare mia figlia sul lavoro, soprattutto in occasione di eventi particolari in cui la presenza dello chef è obbligatoria, e questa è una circostanza che spesso si verifica di domenica. La porto in cucina, facendole vivere tutto come un gioco, per lei è una bella esperienza da raccontare l’indomani ai compagni di scuola.

Sei stato uno dei protagonisti dei Dialoghi della Cucina nel corso della terza edizione di Taste of Excellence, svoltasi a Roma nel mese di ottobre. Ricordo che hai preso una posizione opposta rispetto a quella dei tuoi colleghi relatori, dichiarandoti contrario alla standardizzazione delle ricette e al ristorante a pagamento anticipato.
Riguardo il primo punto, io sono convinto che quando la cucina è ad alti livelli non si debba parlare di standard. Non possiamo disporre tutti i giorni dello stesso prodotto; oggi può essere spettacolare, come ad esempio una spigola all’amo di sei chilogrammi appena pescata, domani non so se avrò a disposizione un ingrediente altrettanto prelibato, e mi devo regolare di conseguenza perché ho il dovere di dare sempre il massimo al cliente. Quindi, tornando alla spigola, se un giorno non è di alta qualità non la posso proporre soltanto perché c’è scritto sul menu. Non ce la faccio proprio, su questo sono intransigente, forse si possono standardizzare le procedure, ma non gli ingredienti. Passando poi al secondo punto in questione, analizzando un contesto come quello in cui mi trovo, con 32 coperti, ogni sera immancabilmente ci sono 2 – 3 tavoli “no show”. Non essendo questa una pizzeria, la prenotazione la devo considerare valida anche se il cliente non viene. Sicuramente “bucare” un tavolo si traduce in un danno economico che alla fine del mese è importante, ma qui non c’è ancora la mentalità pronta per proporre il pagamento anticipato. Da qualche mese chiediamo, all’atto della prenotazione, la carta di credito a garanzia, senza addebito alcuno; il cliente straniero non ci fa caso, l’italiano è meno disponibile perché non è abituato ma del resto è la stessa circostanza che si verifica prenotando una camera d’albergo.

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Aroma ha una collocazione privilegiata, nel pieno centro della capitale e con affaccio sul Colosseo. Altri ristoranti hanno scelto di decentrarsi, per motivi di vario ordine.
Se analizziamo il cambiamento dell’alta ristorazione negli ultimi anni, notiamo come sia fondamentale avere una struttura alle spalle. Oggi molti ristoranti stellati romani si trovano all’interno di complessi alberghieri, circostanza ritenuta impensabile fino a 10 anni fa. Attualmente per poter sostenere i costi è necessario avere un bacino di utenza a cui poter attingere, e in questo caso l’albergo aiuta perché dispone di una sua clientela. I miei competitor sono Henz Beck, Francesco Apreda, Andrea Fusco e tutti i colleghi chef che operano all’interno dei migliori ristoranti d’albergo della capitale. Per la mia clientela è importante la cucina, ma anche la location, che nel caso di Aroma è unica al mondo. Io cerco di regalare un’esperienza ai miei ospiti e faccio di tutto perché sia indimenticabile.