Carlo Caporicci e i tartufi della Tenuta San Pietro a Pettine

“Il tartufo è un patrimonio storico del nostro territorio. Dobbiamo salvaguardarlo”. Carlo Caporicci della Tenuta San Pietro a Pettine ci racconta la sua storia, i suoi sogni e le sue preoccupazioni per il destino del vero tesoro dell’Umbria, sempre più minacciato.

Mentre si siede al tavolo con noi accanto al camino, splendido, della sala del suo ristorante, Carlo Caporicci ci apre con la massima delicatezza, come una mamma che mostra i suoi cuccioli, un cestino colmo di tartufi uncinati raccolti poche ore prima e un tartufo bianco meraviglioso “Una rarità trovarne così – ci confessa – quest’anno è il peggiore che io ricordi per la quantità.” La sua azienda, la Tenuta San Pietro a Pettine sorge sulle pendici dei colli umbri accanto al borgo di Trevi, oggi è considerata l’eccellenza italiana nella produzione del tartufo. Carlo oggi vende i suoi tartufi ai migliori chef del mondo (a proposito, proprio quando eravamo presenti noi, al suo ristorante era seduto come ospite il di nuovo tre stelle Michelin, leggenda vivente, chef Araki). Il suo, prima di essere un business, è un amore sconfinato per il tartufo, un amore che non conosce limiti e confini, un amore che si può leggere immediatamente negli occhi di Carlo, grandi e orgogliosi.

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Carlo, in realtà l’azienda risale ai tuoi nonni che la fondarono subito dopo la guerra.

Sì, furono loro a fondare l’azienda per ciò che riguarda la raccolta, la conservazione e la trasformazione del tartufo. In realtà San Pietro a Pettine come idea anomala di ristorazione è di concezione molto recente, di 4 anni fa. C’è stata la volontà, ad un certo punto della mia vita, di non avere proprio più il filtro tra me e colui che mangia i prodotti che faccio. E’ una necessità che si presenta ad una certa età, quando il business non è più primario rispetto al rapporto che si può avere con la gente. E poi c’è la volontà – e non è populismo, ci tengo a precisare – di rendere accessibile qualche cosa che spesso, più per scelta politica che per reale necessità economica, viene riservato a pochi.”

Infatti l’unicità di questo posto è che grazie al tuo ristorante chiunque può accedere e scoprire l’universo del tartufo senza dovere per forza accendere un mutuo e, anzi, avere così la possibilità di conoscere un prodotto d’eccellenza della nostra terra che ha necessità oggi più che mai di essere salvaguardato.

fettuccine bianco

Come è nata l’idea della ristorazione?

In realtà anche questa è una tradizione che proviene dalla mia famiglia. Entrambe le mie nonne facevano questo mestiere, una a livello professionale, nonna Teresa, la mamma di mia mamma. Da bambino rimanevo sconvolto dalla semplicità con cui lei riusciva a gestire un pranzo per 30 parenti da sola in una cucina minuscola. L’altra nonna invece aveva una macelleria dove si preparavano dei piatti espressi. Il ristorante qui era un sogno che mio padre non ha potuto realizzare, ed è per questo che per me questo posto oggi assume un’importanza ed un valore unico.”

Una passione ed un valore che sei riuscito anche a trasmettere a tua figlia Alice, perché oggi è lei la vera “Dea ex machina” della Cucina di San Pietro a Pettine.

“Noi litighiamo tutti i giorni, perché come tutte le persone che si assomigliano molto caratterialmente c’è amore e odio e scontro a volte. Alice, come tutte le altre mie figlie, ha visto quando era piccola il mio lavoro come quel qualcosa che le portava via l’attenzione del padre. Poi con l’età matura ha realizzato e condiviso questa grande passione che è nata quasi spontaneamente. E’ successo così, lei stava lavorando a Londra e le ho detto: ma perché non rientri e facciamo questa cosa insieme? Senza Alice tutto questo non sarebbe stato possibile realizzarlo, ma neanche senza i ragazzi che sono con lei. Questa forse è la cosa di cui vado più fiero, più della cucina e del tartufo. Una brigata giovanissima ma soprattutto di grande eterogeneità, dove il fatto che non avessero grandi trascorsi o santi in paradiso, senza grandi formazioni alle spalle o mega – più o meno gratuiti- stages alle spalle di stellati che ti sbattono davanti come se fossero il viatico per il paradiso. Addirittura gente come Jacopo, che secondo me è bravissimo in sala (confermiamo nel modo più assoluto n.d.r.) non aveva mai fatto questo mestiere, faceva il pittore in senso artistico, oppure Michael il secondo storico di Alice, che è arrivato qui senza sapere fare nulla, però da bambino portava le lumache a Vissani e serviva la trippa a Michelangelo Antonioni, perché i suoi avevano una trattoria. Queste cose, sai, ti rimangono nel sangue.”

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Parliamo ora del vero protagonista di casa: il tartufo. Tu e la tua azienda vi siete tolti moltissime soddisfazioni diventando fornitori ufficiali di moltissimi chef stellati di tutto il mondo, ce ne vuoi ricordare qualcuno?

“Beh, l’ultimo ad avere scelto i nostri tartufi è stato Niko Romito per il Bulgari a Dubai, oppure ti posso citare Heinz Beck a La Pergola dell’Hilton, o ancora Giorgio Locatelli a Londra, o lo chef che era oggi qui con noi (Araki). Perché poi solo chi passa da qui capisce queste dinamiche, e cioè che questo è un posto che ha questa grande funzione strategica non voluta, però di fatto reale, ossia che chi passa da qua vede che non siamo una semplice azienda, siamo una famiglia con un’unica immensa passione. Però non basta scriverlo su un depliant, perché solo se vieni qua e lo respiri con i tuoi polmoni capisci che non è solo un bluff, ma la realtà. Ti posso anche citare chi ho deciso di non servire quest’anno, che è stato particolarmente drammatico per la produzione del tartufo bianco, ossia Chef Robuchon al Mètropole di Montecarlo e agli altri suoi ristoranti di Londra e Parigi. Noi siamo consapevoli che dobbiamo trattare non l’elaborazione, ma la materia prima originale che è il tartufo, che è finita e che non può essere allungata con un elastico e le esigenze commerciali devono per forza sottostare a quelle che sono le regole imposte dalla natura.”

Infatti questo è stato davvero un annus horribilis per il tartufo in generale. Di norma negli anni “normali” che produzione settimanale riuscite ad ottenere di tartufo bianco?

“Il bianco è tra tutte le specie di tartufo quella più penalizzata in assoluto da una stagione terribile, la peggiore di sempre, perché abbiamo avuto l’estate più secca e calda con picchi di temperatura mai raggiunti prima in queste zone e le specie tartufigene estive, autunnali e invernali ne hanno risentito e purtroppo ne risentiranno ancora nelle stagioni a venire. Quindi noi siamo passati da una raccolta – preferisco parlare di “raccolta” piuttosto che produzione in questo caso – di 25/ 30 kg settimanali a 10/13 kg oggi. Questo è lo stato attuale, con una variante importante in termini di quantità, per fortuna un po’ meno per ciò che riguarda la qualità, che è rimasta alta. In questo caso quindi è importante dire che disattendere le aspettative del cliente in questo campo molto spesso è frutto di ingordigia e avventatezza, di mancanza di conoscenza e coscienza dei propri limiti.”

Carlo tu sei un uomo di quelli che un giorno ne pensa una e il giorno dopo ne fa un’altra, cosa vedi nel prossimo futuro della Cucina di San Pietro a Pettine?

“L’idea è quella di portare un po’ fuori San Pietro a Pettine, il che non significa aprire un altro San Pietro a Pettine a New York o a Londra, perché sono consapevole che sradicare questa situazione da questo luogo, da questa atmosfera e da queste persone significa dargli una visione sbagliata. Ma trovare ogni tanto la possibilità di farla uscire sì, ci stiamo lavorando, una cucina mobile che non è street food, la possibilità ogni tanto di uscire da qui, portare fuori San Pietro a Pettine, ma con le persone che ci stanno dentro.” Un temporary restaurant, quindi?Sì, in qualche modo lo faremo già il prossimo settembre al Taste of Roma perché trasferiremo fisicamente la Cucina all’Auditorium di Roma. Per quella rassegna saremo i primi a presentare ristorazione pur non essendo un ristorante della Capitale. Ma questo concetto ci piacerebbe portarlo fuori anche in altre situazioni.”

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Carlo, io ti ho sempre chiamato “il Talebano” del tartufo, ma sempre in senso positivo. Potrebbe quindi essere l’occasione, quella di portare la cucina di San Pietro a Pettine fuori, per far capire agli altri ristoratori che il tartufo deve essere rispettato per quello che è, non osannato per quello che rappresenta o per la leggenda che lo circonda. Quando tu trovi qualcuno che fa del tartufo un uso inappropriato tu ti alteri – diciamo così – un po’ “Questa è una cosa molto importante, ma allo stesso tempo molto impopolare. Verso i 55 anni uno dovrebbe teoricamente almeno mitigare il proprio carattere, d’altra parte è un’età in cui è anche vero che te ne freghi proprio della diplomazia. Ora io chiaramente non faccio mai degli atti d’accusa ad personam, perché molto spesso è solo frutto di ignoranza della materia più che di frode vera e propria. Ma accusare la pratica, quello sì. Utilizzare tartufi fuori stagione, non maturi, significa non solo rovinare una tradizione, ma anche e soprattutto distruggere una preziosa risorsa del territorio, che già stiamo perdendo.

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TENUTA SAN PIETRO A PETTINE

LOC. SAN PIETRO A PETTINE

06039 TREVI (PG)

UMBRIA IT