Antonio Rallo, Presidente del Consorzio Vini Sicilia Doc, racconta a #whateverittakes le attività di un consorzio giovane e dinamico, alle prese con i problemi causati dall’emergenza sanitaria.
Il Consorzio Vini Sicilia Doc di cui lei è il presidente è relativamente giovane, ma conta un gran numero di aziende in tutta la Sicilia.
Presiedo il consorzio dall’inizio, quindi dalla prima annata di produzione. Il disciplinare è stato approvato a fine 2011 e già nel 2012 avevamo il consorzio che poi è diventato erga omnes, quindi con tutto quello che comporta in termini di promozione, tutela e vigilanza. In pochi anni abbiamo raggiunto e superato i 95 milioni di bottiglie. Attualmente aderiscono 7800 aziende viticole in tutta la regione. La Sicilia è il più grande vigneto d’Italia ancora oggi, con circa 97.000 ettari. Ovviamente è un consorzio che include i produttori di tutta l’isola, quelli che confezionano sono più di 450.
Una realtà molto vasta e variegata, dunque. Come state gestendo l’attuale situazione?
Come filiera abbiamo delle situazioni molto diverse, da azienda ad azienda. Quelle che chiudono la filiera, quindi producono l’uva, la trasformano, la imbottigliano e la vendono e che hanno come mercato soprattutto l’horeca, il consumo fuori casa, per la ristorazione o i bar, ovviamente oggi si trovano in grandissima difficoltà perché hanno praticamente chiuso il loro sbocco principale. Abbiamo aziende che perdono fino al 90% del loro fatturato e altre che invece sono focalizzate sulla grande distribuzione italiana e straniera che stanno tenendo, addirittura qualche cantina è anche in crescita.
Qual’era la situazione prima del lockdown e le attività pensate dal consorzio?
Con la Doc Sicilia eravamo intorno ad una percentuale del 56% di produzione venduta all’estero, e il resto venduto in Italia. In questo periodo abbiamo fatto un consiglio di amministrazione a settimana. Siamo un consorzio molto attivo nel promuovere la Denominazione, oggi abbiamo progetti di promozione su Stati Uniti, Canada, Cina, Italia e Germania abbastanza cospicui. Quest’anno dovevamo investire più di 3 milioni di euro, che non sono una grandissima cifra nel mondo dell’industria, ma sono davvero tanti in quello del vino. In Italia siamo tra i primi tre player per investimenti sul mezzo televisivo, sicuramente lo siamo sui social in Italia e negli Stati Uniti. L’anno è iniziato a gennaio con il problema dei dazi negli Stati Uniti, non si sapeva se avrebbero colpito i vini italiani o meno quindi abbiamo frenato un po’ l’investimento negli States, poi è arrivato il coronavirus e quindi abbiamo continuato a frenare anche su altri mercati. Quando la Cina ha iniziato ad aprire, abbiamo accelerato sugli investimenti social, che non abbiamo mai sospeso in nessun paese che ci vede attivi con le nostre campagne e poi stiamo verificando di settimana in settimana ulteriori investimenti. Ovviamente oggi siamo fermi con la formazione, non possiamo fare i nostri corsi agli stakeholder del vino in Cina, così come negli Stati Uniti per ovvi motivi, quindi non possiamo far degustare le nostre produzioni. Asiamo tutti convinti che bisogna assolutamente riprendere le nostre attività, ovviamente focalizzando le nostre promozioni e i canali che sono più recettivi.
Come valuta l’attuale tendenza di effettuare degustazioni sui social e nelle piattaforme digitali come Zoom?
Sicuramente è un’esperienza diversa perché vivere il territorio che produce questi vini fantastici evoca nella nostra mente un ricordo indelebile. Fare tutto attraverso il web dà altre sensazioni, al di là della bravura di chi conduce. È chiaro che nel nostro caso, e in quello di altre bellissime regioni viticole d’Italia, poter raggiungere un’azienda magari passando attraverso i vigneti e le bellezze naturali dà un altro impatto. Noi abbiamo fatto in questo periodo attività sui social come consorzio, ma anche i produttori singoli, probabilmente c’è un eccesso di utilizzo di piattaforme digitali per la promozione del vino, ma i dati ci confermano che in effetti i contenuti enogastronomici sono quelli che vanno per la maggiore, perché la gente sta in casa e si diletta a cucinare e a cercare vini per i migliori abbinamenti.
Quando inizierà la stagione della vendemmia ci sarà da affrontare il problema della manodopera.
Noi ad oggi in Sicilia non abbiamo problemi perché per fortuna abbiamo manodopera fatta da siciliani o in ogni caso residenti in Sicilia, quindi non abbiamo avuto l’esodo come in tante regioni del nord, che ha messo a repentaglio la raccolta di tante produzioni, soprattutto nell’ortofrutta. Ovviamente speriamo nel buon senso dei siciliani, che continuino a comportarsi bene e tenere le distanze per evitare un incremento dei casi nel prossimo futuro.
La Sicilia non è stata travolta dal virus come alcune regioni del nord. C’è ugualmente un allarme da lanciare?
C’è assolutamente un allarme da lanciare, perché dal punto di vista delle vendite c’è una chiusura di un mercato che vale il 40% in volume e probabilmente anche molto di più, forse anche il 60% al valore che è quello del consumo fuori casa, soprattutto nei wine bar. Poi abbiamo il problema delle vendite dirette in azienda, come dicevamo prima non abbiamo i turisti che ci vengono a trovare, non facciamo visite in azienda e neanche degustazioni. Oltretutto anche il piccolo negozio che serve a garantire acquisti in regione è rimasto chiuso per tanto tempo, ora qualcuno ha riaperto ma la gente cerca di andar nel negozio di prossimità per prendere quello che serve.
L’1 giugno bar e ristoranti riapriranno, ma c’è preoccupazione da parte dei gestori.
Sicuramente c’è molta preoccupazione e per questo noi del vino abbiamo più volte sollecitato degli aiuti consistenti per chi è stato costretto a interrompere la propria attività a causa del lockdown. Il settore più colpito in assoluto è quello che non ha potuto esercitare la propria attività, anche se nelle ultime settimane c’è stata una ripresa attraverso il delivery, ma stiamo parlando di una porzione infinitesimale di quello che è il business del fuori casa in Italia e nel mondo. Tutti noi produttori abbiamo subito gli effetti della chiusura del mercato cinese, abbiamo perso metà del fatturato già a gennaio, avevamo gli ordini in portafoglio e ce li hanno fermati con il container già caricato. Chiaramente quando si è sviluppata l’epidemia in Cina così velocemente hanno cercato di fermare quanta più merce possibile in arrivo nel loro paese. La stessa cosa poi è avvenuta in Italia, abbiamo continuato a spedire negli Stati Uniti fino alla fine di febbraio, poi ci siamo fermati anche lì. È chiaro che le aziende che sono più horeca-oriented sono quelle che hanno subìto i maggiori contraccolpi. Cosa possiamo consigliare? Prudenza. D’altra parte si spera che il clima estivo ci dia una mano a fronteggiare l’emergenza, è chiaro che bisogna ripartire perché se non si dovesse trovare una cura e un vaccino dobbiamo cambiare le nostre abitudini, ma non per questo sconvolgere al 100% la nostra vita. Consideriamo che il vino italiano fa tra gli 11 e i 12 miliardi di euro di fatturato e oggi perdiamo circa 350 milioni di euro al mese, quindi il prolungamento di questa situazione dà un colpo notevole, considerando il fatto che noi raccogliamo una volta all’anno.
A proposito di raccolta, quali sono al momento le previsioni per l’annata 2020?
Sarà un’ottima annata. C’è uva. Non è come il 2019, dove ogni settimana che passava ne vedevamo sempre meno. Considerando però che ci sarà alla fine dell’anno almeno un 10% di consumo in meno se non di più, sicuramente avremo dei problemi. Sono certo che bisognerà prendere presto dei provvedimenti per evitare che ci sia troppo vino, purtroppo.